volere. Finestra di approfondimento
Avere un desiderio - V. è un verbo dall’area semantica molto estesa, che va dall’avere un desiderio di qualcosa al formulare un ordine. Per questo ha numerosi sinon. secondo il diverso grado di volontà. Il sinon. più attenuato è desiderare, con il quale si indica un desiderio non necessariamente espresso né urgente, a differenza di v. che, se usato all’indicativo, manifesta, nel momento stesso in cui viene pronunciato, la decisa volontà del parlante: voglio che tu mi dica quello che sai; desidero andare in vacanza. In realtà, molto spesso desiderare è perfettamente sostituibile a v., soprattutto quando quest’ultimo è al condiz.: vorrei parlarti un momento. Talora desiderare è usato come alternativo cortese ed eufem. di v., avvertito come eccessivamente perentorio, spec. alla prima persona del pres. indic.: desidero parlarvi da sola a sola (C. Goldoni). Analogam., spesso si usa desiderare in formule di cortesia e nelle offerte, per es. al telefono: desidero parlare col direttore; chi lo desidera? Oppure al ristorante, al bar, nei negozi e sim.: desidera?; che cosa desiderava?, o semplicemente prego?, o l’ormai diffuso posso aiutarla? (calco dell’angloamericano may I help you?). In tutti questi contesti, che cosa vuole? sarebbe considerato quasi offensivo dal cliente. In effetti la secca domanda che cosa vuoi? (e sim.) è di solito un sinon., a sua volta attenuato e quindi eufem., di enunciati ben più offensivi quali non mi seccare!,vattene!, ecc. Più fam. di desiderare è avere voglia (di), anch’esso avvertito nello stile formale come troppo diretto e quindi spesso evitato: lasciatemi stare, che non ho voglia di sentir commedie (C. Goldoni); non ho voglia di niente (S. Slataper). Fam. è anche l’uso del verbo andare alla terza pers.: ti va un caffè?; non mi va di uscire stasera. Gradire è invece più formale, ed è molto usato soprattutto come formula di cortesia negli inviti e nelle offerte: gradisce una tazza di tè?; padre, gradisca qualche cosa (A. Manzoni); gradisca le mie scuse per l’incomodo che Le reco (A. Fogazzaro).
Forti desideri - Tutt’un’altra serie di verbi si riferisce a un desiderio accentuato: agognare,ambire (a), anelare (a), aspirare (a), bramare,mirare (a), puntare (a). Bramare e il più formale agognare indicano il massimo livello del desiderio, un desiderare avidamente: se bramano assolutamente ch’io narri il mio sogno, sono pronto a servirli (P. Borsieri); egli persisteva ad agognare l’amore nelle forme del godimento, invece di rassegnarsi a gustarlo nelle forme del patimento (G. D’Annunzio). Numerosi sinon., anche fam. e lett., tutti d’origine metaforica, esprimono questo stesso concetto: (lett.) appetire,ardere (per), (fam.) sbavare (per), smaniare (per), spasimare (per), struggersi (per): sbava per una sua amica; gente che spasima per un tozzo di pane (G. D’Annunzio). Aspirare (a), mirare (a), puntare (a), il più formale ambire (a) e il lett. anelare (a), si riferiscono a desideri spesso connessi col potere, con la carriera, col successo e sim., e in genere al voler conseguire un obiettivo ritenuto importante, difficile e molto gratificante (da cui la metafora del centrare il bersaglio, espressa da mirare e puntare): egli aspirava al posto di maestro di casa presso il Senatore (I. Nievo); non miravano che ai danari (A. Fogazzaro); puntare alla promozione; quanti uomini ambiscono a succedermi! (G. D’Annunzio); anelavano al plauso di trentamila spettatori (G. Berchet). Analogo, ma leggermente attenuato, è tendere (a): questo mio progetto tende a tre cose (C. Goldoni).
Avere intenzione - Se si manifesta l’intenzione di fare qualcosa, verbi meno perentori e più formali di v. sono avere intenzione (di), intendere,proporsi (di), ripromettersi (di) e riproporsi (di). Soltanto il secondo indica una ferma volontà (e dunque coincidente talora con un ordine o un divieto), mentre gli altri quattro sono di valore più attenuato e alludono a intenti futuri, benché di solito più concreti dei desideri: io intendo che si proceda coi rigori del fisco (C. Goldoni); che cosa intendi fare?; non intendo sopportare più a lungo questa situazione; mi riprometto di leggere molto, quest’estate; mi sono riproposto di rivedere tutta la pratica.
Esprimere un ordine - Per esprimere un ordine, v. è uno dei verbi più usati: voglio che tu te ne vada. Se un ordine è formulato in prima persona, spesso al posto della costruzione voglio che … si sostituisce il semplice imperat. del verbo dipendente da v.: vattene! Altri modi per comunicare la stessa intenzione sono esigere,pretendere, che indicano un grado intens. rispetto a v.: esigo il rispetto che m’è dovuto (F. De Roberto); pretende che lo accompagni a scuola tutte le mattine. Il verbo ordinare è un sinon. appropriato per lo più se si tratta di ordini in senso letterale, ovvero se la volontà di far eseguire qualcosa è espressa da chi è autorizzato a imporre la propria volontà (per es. in ambito militare, giur. e sim., con qualche uso estens.): il generale ordinò la ritirata. In tutti gli altri casi, è avvertito come troppo perentorio e quindi politicamente poco corretto: ti ordino di tacere! Altri sinon. sono comandare (con le stesse restrizioni di ordinare) e, meno intens., imporre: vi impongo di andarvene. Su un livello più attenuato si collocano decidere (di), deliberare (di), disporre (di), stabilire (di), che esprimono le decisioni o le volontà di qualcuno, talora coincidenti con ordini. Soprattutto il secondo e il terzo verbo sono appropriati a stili burocr. o giur., mentre il primo verbo ha di solito un valore più attenuato: ho deciso di nominarti mio segretario; l’assemblea ha deliberato quanto segue; sono stati stabiliti numerosi licenziamenti. Un’altra serie di verbi esprime la volontà di ottenere qualcosa, non necessariamente sotto forma di ordine. Si tratta di una volontà spesso indiretta, tant’è vero che questi verbi, specie i primi tre, sono spesso usati al passivo o costruiti con il si passivante: chiedere,richiedere,ricercare e gli intens. reclamare e rivendicare (per i quali si rimanda alla scheda CHIEDERE): la bellezza non è dote che vada molto d’accordo con la modestia e con le altre virtù che a fare una perfetta moglie si ricercano (L. Pirandello).