volonta
volontà (ant. volontade e volontate) s. f. [lat. voluntas -atis, dal tema vol- delle forme volo, volui di velle; v. volere2]. – 1. La facoltà e la capacità di volere, di scegliere e realizzare un comportamento idoneo al raggiungimento di fini determinati: avere v., molta v., una grande forza di v., una v. di ferro, o mancare di v., essere privo di v., avere una v. debole, fiacca, incerta; il problema della v. nel pensiero filosofico antico e moderno; l’alta valutazione cristiana della v. (v. volontarismo); Lo maggior don che Dio ... Fesse creando ... Fu de la volontà la libertate (Dante), il libero arbitrio. In filosofia, attività propria del soggetto autocosciente che, nei diversi indirizzi di pensiero, è variamente posta in relazione con l’intelletto, ora inclusa nell’attività di pensiero e comunque non contrapposta a esso, ora dotata di capacità e possibilità oltre i limiti dell’intelletto. Con riferimento alla divinità, a esseri divini e soprannaturali: il rapporto tra v. divina e v. umana; E ’n la sua [di Dio] volontate è nostra [di noi beati] pace (Dante); v. salvifica, nella teologia cattolica, la volontà di Dio intesa alla salvezza dell’uomo, di tutti gli esseri umani. 2. a. Il fatto di volere, e ogni singolo atto e comportamento volitivo (spesso sinon. di volere1): lo ha fatto con v. deliberata, di sua piena e spontanea v.; esprimere, manifestare la propria v.; tutto sarà fatto secondo la tua v.; non vorrei forzare la sua v.; pretende sempre d’imporre la sua v.; a mia, tua, sua ... volontà, secondo il volere mio, tuo, suo ...; a v., a seconda di ciò che si vuole (talvolta come equivalente di a piacere, ad libitum): può andare o restare a v.; con altri sign.: pane, vino a v., quanto se ne vuole; ce n’è a v., in grande abbondanza. b. In diritto, capacità di intendere e di volere, e quindi di agire: dichiarazione di v., dichiarazione che, in contrapp. alla dichiarazione di conoscenza, ha un contenuto precettivo in quanto è destinata a dettare un criterio di condotta (costituisce il contenuto tipico del negozio giuridico); vizio di v., l’esistenza di condizioni che, alterando il processo di formazione della volontà che si manifesta negli atti giuridici, toglie ogni ragionevole fondamento all’atto voluto (per es., l’errore, la violenza, il dolo, e, in diritto amministrativo, l’eccesso di potere). c. Nel linguaggio politico, disponibilità collettiva a seguire un dato comportamento o a manifestare un atto volitivo: la v. democratica, o di pace, di rinnovamento, ecc., del paese, delle masse popolari; se il governo e i partiti che lo appoggiano non riescono a fare le riforme, non è per incapacità ma per mancanza di v. politica (intesa, questa, come disponibilità ad attuare determinati programmi con cui mantenere fede agli impegni politici verso l’elettorato e verso i cittadini in genere). V. generale, nella teoria politica democratica moderna, concetto basilare, inizialmente elaborato dal pensatore svizzero J.-J. Rousseau (1712-1778), che indica la volontà del corpo politico, considerato come persona pubblica e in cui ciascun membro è parte indivisibile del tutto, sempre rivolta al bene comune e non delegabile ad alcun rappresentante (in contrapp. alla v. di tutti, intesa come la mera somma di volontà individuali, ciascuna rivolta a interessi particolari). d. V. di vivere, nel pensiero di A. Schopenhauer, il fondo oscuro (noumeno) di ogni individuo, costituito da una cieca e irresistibile spinta ad agire e la cui prima manifestazione è la rappresentazione stessa del mondo, cosicché la vita stessa altro non sarebbe che una manifestazione della volontà. e. V. di potenza (anche titolo di un’opera di F. Nietzsche del 1888), nel pensiero nietzschiano, l’esaltazione massima della propria energia vitale, intesa a fini e a valori che superano la vita stessa e la morale corrente (l’espressione appartiene anche al linguaggio com., nel quale è per lo più adoperata e intesa nel suo sign. più ovvio). f. Con valore più concr., ciò che si vuole o è voluto da altri: sia fatta la v. di Dio; se ... non mi assente Premio miglior la volontà de’ fati (Foscolo); non son venuto per fare la v. mia, ma la vostra; al plur., ultime (o estreme) v., le disposizioni testamentarie: scrivere, esprimere, dettare le ultime volontà. 3. Come sinon. di voglia, in varie accezioni: a. Disposizione a fare qualche cosa (rispetto a voglia, ha tono più solenne, implicando una risoluzione più ferma e più consapevole): non ha v. di studiare; avere buona, cattiva v. di far qualche cosa; si è messo a lavorare di buona v.; studia con v.; pace in terra agli uomini di buona v. (v. pace, n. 3 b); l’espressione buona v. si trova usata talvolta anche per indicare benevola disposizione d’animo verso qualcuno, affetto, benevolenza: queste cose, per la buona volontà ch’io ti porto, mi è paruto bene di avvisartele (Leopardi). b. Desiderio: non ho v. di scherzare; volontà lo strinse di saper più innanzi (Boccaccio). c. ant. Passione (contrapposta alla ragione), concupiscenza: mentre che egli, da troppa volontà trasportato, men cautamente con lei scherzava (Boccaccio). 4. In grammatica, verbi di v. (lat. verba voluntatis), espressione con cui nell’insegnamento scolastico si designano i verbi volere, desiderare, preferire e sim., presi in considerazione soprattutto in quanto possono avere una duplice costruzione: coll’infinito, quando il soggetto del verbo dipendente è lo stesso del verbo principale (voglio andare), con che e il cong. quando il soggetto è diverso (voglio che tu vada).