z, Z
(żèta) s. f. o m. – Venticinquesima e ultima lettera dell’alfabeto latino, derivata dalla zeta dell’alfabeto greco, che nella forma maiuscola ha lo stesso segno Z (svoltosi da quello originario che era simile a una I con i due tratti orizzontali piuttosto lunghi); la lettera greca fu introdotta in latino per trascrivere la sibilante sonora, ʒ o ∫, che ricorreva nei grecismi sempre più numerosi, e che si è poi conservata nelle voci dotte delle varie lingue moderne, con la pronuncia ʒ in italiano, ∫ in quasi tutte le altre lingue; in alcune però lo stesso segno è servito a indicare anche un fonema diverso, come avviene in italiano (v. oltre), oppure soltanto un fonema diverso, come in tedesco, dove la lettera z rappresenta in ogni caso l’affricata alveolare sorda 〈z〉. Una variante calligrafica della z, nello spagnolo e nell’italiano antico, è stata la lettera ç; altra variante, ancora in uso, è il segno ʒ (detto «zeta lunga» o «zeta caudata»), frequente un tempo nella scrittura a mano, senza valore distintivo da z, che in testi ortofonici si usa invece, in italiano, per contraddistinguere la z sonora (così come altri segni: ż, ź, ẓ). Nella scrittura corrente, la z rappresenta in italiano due diversi fonemi, che in questo Vocabolario sono distinti, ma soltanto nei lemmi in esponente e in genere dove si rende necessaria un’indicazione ortofonica, con i segni z e ż (corrispondente, quest’ultimo, al segno ʒ usato per le trascrizioni fonetiche); sono due fonemi che hanno in comune il punto e il modo dell’articolazione, essendo tutt’e due affricati: il primo (detto z sorda o aspra o dura, meno spesso forte) pronunciato senza vibrazione delle corde vocali (per es. vizio); il secondo (z sonora o dolce, più raram. lene o molle) con le corde vocali in vibrazione (per es. zona). Si tratta in realtà di due suoni composti (seppure sentiti come semplici), risultando la z sorda dall’unione dell’occlusiva alveolare t e della spirante s sorda, la z sonora dall’unione dell’occlusiva alveolare d e della spirante s sonora. La z italiana normale, tanto sorda quanto sonora, non appare mai, se non in pronunce regionali, nel grado tenue: in mezzo a due vocali è sempre di grado rafforzato (es. la zazzera 〈la zzàzzera〉, la zizzola 〈la ʒʒìʒʒola〉), in ogni altra posizione è di grado medio (es. forza 〈fòrza〉, garza 〈ġàrʒa〉); e l’articolo maschile usato davanti a z- è lo, gli: lo zucchero, gli zaini. Tuttavia, è diffusa tra le persone di media cultura una pronuncia di grado tenue di tutte quelle z che sono scempie nella scrittura; ciò dipende da un equivoco dovuto a un’ortografia infelice: la z italiana, sorda o sonora, è sempre stata esclusivamente di grado rafforzato, tra vocali, nelle voci di formazione popolare. Nelle voci dotte si cercò d’imporre nel Rinascimento (non sappiamo se anche prima) la distinzione etimologica tra gli esiti del lat. cti o pti e gli esiti del lat. ti, sicché si scriveva da una parte actione e conceptione come il lat. actio e conceptio, dall’altra natione come il lat. natio; la distinzione rimase anche quando, cominciandosi ad attuare nell’ortografia un criterio più propriam. fonetico, si continuò a contrapporre una scrittura natione o nazione a una scrittura attione o azzione, concettione o concezzione. Era però una contrapposizione artificiale: la tendenza a pareggiare, per questo riguardo, le z delle voci dotte alle z uniformemente rafforzate delle voci popolari si manifestò assai vivamente nell’uso specialmente fiorentino del ’500, come testimoniano varî scrittori e grammatici, alcuni dei quali non ammettevano che la z si scrivesse doppia, in nessuna posizione, appunto perché nella pronuncia era doppia sempre. La Crusca, nella 1a ediz. del suo Vocabolario (1612), riconoscendo l’avvenuto pareggiamento tra la serie di nazione e quella di azione e concezione, fissò per l’una e per l’altra la grafia con una sola z, che era quella della serie più numerosa; accettò invece la grafia tradizionale e prevalente con due z per tutti i casi in cui questa consonante si trova in mezzo a due vocali vere e proprie. Con la sua decisione, la Crusca diede una soluzione definitiva (benché i contrasti continuassero per tutto il ’600) a due altre grosse questioni: la prima era se nei latinismi si dovesse scrivere zi o ti (es. nazione o natione, azione o azzione o attione o actione): questione che, come s’è visto, ebbe risposta positiva per la grafia zi; l’altra era se in mezzo a due vocali vere e proprie la z si dovesse scrivere sempre doppia (com’era l’uso prevalente), ovvero sempre scempia (come voleva qualcuno), ovvero doppia se sorda (es. pozzo) e scempia se sonora (es. rozo), secondo un uso che in quei due secoli 16° e 17° ebbe una discreta diffusione: e fu scelta la prima soluzione. L’ortografia di compromesso sancita ai primi del ’600 dalla Crusca, e tuttora seguita, ha fatto scomparire i segni esteriori d’una distinzione di durata allora in decadenza e oggi quasi scomparsa (quella tra nazione e azzione), e insieme con essi i segni esteriori d’una distinzione di sonorità vivissima oggi come allora (quella tra pózzo e różżo), mentre ha fatto un trattamento diverso a due ricche serie di vocaboli (daziere, indizî, ecc., da una parte; mazziere, indirizzi, ecc., dall’altra) in cui la z si pronuncia alla stessa maniera. La distinzione tra z sorda e z sonora riguarda, in complesso, un minor numero di parole che le distinzioni tra e aperta e chiusa, o aperto e chiuso, s sorda e sonora, giacché la z è assai meno frequente. A differenza però di quelle, la distinzione tra due z vale per tutte le posizioni in cui si possono trovare i due fonemi; ha una base geografica più estesa, in quanto è conosciuta da quasi tutti gli usi dialettali e regionali italiani; infine, sempre a differenza delle altre tre distinzioni sopra accennate, è la sola che presso i poeti (sia pure soltanto dal sec. 13° al 16°) abbia avuto l’efficacia d’impedire la rima. Tra le coppie di parole che si distinguono per il suono della z, la sola veramente importante è quella di razza 〈ràzza〉 «sottospecie» e razza 〈ràʒʒa〉 «pesce» e «raggio»; tra mezzo 〈mèʒʒo〉 «metà» e mezzo 〈mézzo〉 «fradicio», mentre tra mozzo 〈mózzo〉 di stalla e mozzo 〈mòʒʒo〉 di ruota c’è differenza anche nel timbro della vocale tonica. La distribuzione in concreto delle z di voci italiane nella serie sorda e in quella sonora è determinata di regola dalla provenienza. Sono sonore le z derivanti da ζ greco (es. azzimo, dal gr. ἄζυμος; zefiro, dal lat. zephyrus, gr. ζέϕυρος; zizzolo, lat. zizyphus o ziziphus, dal gr. ζίζυϕον), da z araba (es. zafferano, dall’arabo za῾farān), da z persiana (es. bazar, dal pers. bāzār), da di atono prevocalico latino (es. olezzare, lat *olidiare; pranzo, lat. prandium; razzo, lat. radius; zotico, dal lat. idioticus). Sono sorde le z derivanti da z germanica (es. zaffo, dal longob. zapfo), da s araba (es. tazza, dall’arabo ṭāsa; zucchero, dall’arabo sukkar), da s latina (es. zampogna, lat. symphonia), e soprattutto da ti atono prevocalico latino (es. acquazzone, lat. acquatio -onis; aguzzare, lat. *acutiare; azione, dal lat. actio -onis; corruzione, dal lat. corruptio -onis; facezia, dal lat. facetia; nozze, lat. nuptiae; prezzo, lat. pretium; terzo, lat. tertius; vezzo, lat. vitium; vizio, dal lat. vitium). È difficile dare regole empiriche sufficienti a far riconoscere a prima vista quando una z abbia l’uno o l’altro suono. Si può solo osservare che davanti a i semiconsonante la z è quasi sempre sorda (eccezione più notevole, azienda; casi particolari, romanziere, ronziamo, ecc., con i iniziale di suffisso o desinenza); che dopo l la z è quasi sempre sorda (eccezioni più notevoli, Belzebù, elzeviro); che scritta scempia tra due vocali (vere e proprie) è quasi sempre sonora (eccezione più notevole, una serie di nomi personali storici d’origine germanica, come Azone o Azzone, Albizo o Albizzo); che in parole di nuova introduzione, o anche vecchie ma poco note, la z iniziale di qualsiasi origine tende alla pronuncia sonora; che è sorda la z dei suffissi, -anza, -ènza, -ézza, -òzzo, -uzzo (es. speranza, conoscenza, destrezza, barilozzo, animaluzzo), sonora la z del suffisso -izzare (es. armonizzare). ◆ Usi della lettera come abbreviazione e simbolo: nella forma maiuscola puntata, è abbrev. di nomi proprî personali comincianti con questa lettera (Zaira, Zeno, Zaccaria); senza punto, Z è simbolo, in fisica, del numero atomico, mentre con uno zero per indice (Z°) è simbolo del bosone intermedio neutro; in elettrotecnica, è simbolo del collegamento a zig-zag (o collegamento a Z) degli avvolgimenti dei trasformatori trifase. In genetica, cromosoma Z, uno dei cromosomi del sesso in alcune specie animali (per es., uccelli e farfalle) in cui il sesso eterogametico è quello femminile; in questi gruppi, ZW rappresenta la configurazione cromosomica della femmina, ZZ quella del maschio. In biologia molecolare, si indica con Z-DNA una struttura a doppia elica del DNA in cui sono presenti gli usuali legami idrogeno fra le coppie di basi, ma l’elica formata dalle due catene polinucleotidiche è sinistrorsa e non destrorsa. In matematica, z, senza punto e per lo più minuscola, indica tradizionalmente, insieme con x, y, un’incognita, una variabile, un’indeterminata, una coordinata; in partic., la variabile z viene spesso utilizzata per denotare un numero complesso; in algebra, una Z in neretto (ted. Zahl «numero») indica l’anello dei numeri interi. In metrologia, z- e Z- sono simboli dei prefissi, rispettivamente, zetto- e zetta-. ◆ Nel codice alfabetico internazionale, la lettera z viene convenzionalmente identificata dalla parola zulu o zulù.