zimbello
zimbèllo (o żimbèllo; ant. cimbèllo) s. m. [dal provenz. cembel «piffero» (che è il lat. *cymbellum, dim. di cymbălum: v. cembalo)]. – 1. a. Allettamento usato nelle tese di caccia e di uccellagione, consistente generalmente in uccelli vivi che con la loro presenza e i loro svolazzi servono a indurre quelli liberi a calare negli appostamenti. Sono uccelli imbracati o accodati e legati a verghette o funicelle che, manovrate dall’uccellatore, li fanno alzare dal terreno dando l’impressione, coi loro brevi voli, di uccelli liberi che si posino nelle tese: toccare, mostrare, alzare, dare lo zimbello. b. estens. Qualsiasi uccello prigioniero che serva di richiamo, tenuto in gabbia o in altro modo, col canto o anche con la sola presenza. c. Tonno lasciato per richiamo nelle camere dell’isola della tonnara. d. In etologia, nome di oggetti o strutture anatomiche che imitano stimoli atti a provocare determinati comportamenti, e la cui esibizione da parte di un animale (z. naturali) o di un ricercatore (z. artificiali) scatena una risposta nell’animale cui lo stimolo viene presentato. Tra gli zimbelli artificiali utilizzati negli studî di etologia si distinguono gli z. supernormali (superstimolo), che rappresentano un’amplificazione dello stimolo, come, per es., una macchia di grandezza o colore esagerati rispetto a quella cui è usualmente abituato l’animale in natura. 2. fig. a. non com. Allettamento, lusinga messa in opera per indurre altri a servire al proprio tornaconto o comunque a fini non buoni: ritruova altro cimbello, Se vuoi che l’augel caschi ne la ragna (Ariosto). Locuz. avv. a z., per z., a scopo di lusinga, di allettamento: le copertine illustrate stanno solo per zimbello. b. Persona che è oggetto di riso e di scherno: da quando si è messa a scrivere poesie, è diventata lo z. di tutti; non ho nessuna intenzione di essere il vostro z.; quei due sono diventati lo z. di tutta la compagnia; lo hanno preso per zimbello.