NOVALESA, Abbazia di
Abbazia benedettina del Piemonte (prov. Torino), dedicata ai ss. Pietro e Andrea, situata in val Cenischia ai piedi del colle Moncenisio, presso il centro abitato omonimo.N. fu fondata nel 726 da un alto funzionario del regno franco, Abbone, rettore di Susa e della Moriana, che nel 739 legò al nuovo ente quasi tutti i suoi possedimenti al di qua e al di là delle Alpi, aggiungendo così all'importanza strategica della fondazione anche un notevole potere economico.Il complesso conserva ancora l'impianto architettonico delle origini, con quattro cappelle isolate, relativamente ben conservate, e un corpo principale con chiesa, chiostro ed edifici monastici, più volte rimaneggiati nel corso dei secoli, in particolare nell'Ottocento, quando il monastero fu secolarizzato, divenendo prima sede di uno stabilimento idroterapico, quindi residenza estiva del Convitto Naz. Umberto I di Torino. Dopo il passaggio dell'area, con tutti i suoi edifici, alla Provincia di Torino (1973) e il reinsediamento di una comunità benedettina, si sono susseguite nel monastero diverse campagne di scavo e di restauro, che hanno portato a importanti ritrovamenti (Cantino Wataghin, 1979; 1982; 1988a; 1988b; Di Macco, 1979; 1990; Guerrini, 1993).L'abbazia ebbe il suo periodo di massimo splendore in età carolingia, ma di questo momento sopravvivono soltanto le strutture architettoniche delle cappelle di S. Maria Maddalena e di S. Michele (Micheletto, Pittarello, Cantino Wataghin, 1979; Micheletto, 1982), mentre gli unici resti pittorici sono costituiti da un fregio a motivi vegetali nella cappella di S. Maria Maddalena, della seconda metà del sec. 8°, e da una serie di frammenti d'intonaco, trovati nel terreno durante le campagne di scavo degli anni 1978-1991. Rimangono anche, a documentare la prima fase dell'abbazia, numerosi frammenti scultorei altomedievali (Casartelli Novelli, 1979; 1988); invece la ricchissima biblioteca, celebrata dal Chronicon Novaliciense (Cipolla, 1898-1901, II, pp. 97-305), è andata in gran parte perduta o dispersa (Cipolla, 1894; Segre Montel, 1977).Secondo il Chronicon Novaliciense, nel 904 i monaci abbandonarono il monastero di fronte alla minaccia dei saraceni e ripararono, con gli oggetti del tesoro e i libri, prima a Torino e poi a Breme (prov. Pavia), in Lomellina, per rientrare a N. solo alla fine del secolo. Il loro ritorno, che comportò evidentemente il ripristino degli edifici danneggiati, era legato all'iniziativa di Gezone, abate di Breme - da cui in questo momento il priorato di N. dipendeva -, e al nome dell'architetto Bruningo, forse lo stesso che riedificò la chiesa di S. Andrea di Torino. I dati archeologici confermano le notizie del Chronicon: tra la fine del sec. 10° e l'inizio dell'11° vi furono certamente restauri nella chiesa abbaziale, nonché restauri o parziali riedificazioni nelle cappelle, che vennero poi consacrate, probabilmente poco dopo il 1060 (1066), dal vescovo di Ventimiglia; solo la cappella di S. Eldrado fu ricostruita ex novo all'inizio del sec. 11° e dotata di una prima semplicissima decorazione, sostituita in un secondo tempo, dopo alcuni lavori di ristrutturazione interna, dal ciclo pittorico tuttora visibile (Crosetto, 1982).Si deve arrivare agli anni dell'abbaziato di Adraldo (1060-1093/1097) e di Guglielmo di Breme (1097-1129), promotori di un ambizioso programma di rilancio del priorato, per incontrare un'ampia e sistematica campagna di lavori che rinnovò tutta la decorazione pittorica, forse a partire dalla cappella di S. Michele, dove infatti riaffiorano alcuni frammenti di un'iscrizione e di un velario a ricami geometrici, riconducibili alla seconda metà dell'11° secolo. Determinante per le scelte iconografiche dovette essere la presenza o l'arrivo di reliquie al monastero: nel caso della cappella di S. Eldrado, il probabile passaggio tra il 1096 e il 1097 della reliquia del dito di s. Nicola, che non solo diede lo spunto per illustrare la vita del santo, ma sconvolse l'assetto decorativo della cappella, obbligando a separare le Storie di s. Arnulfo da quelle di s. Eldrado e a dipingerle nella cappella del Salvatore. Il ciclo con le Storie di s. Arnulfo, ancora esistente all'inizio dell'Ottocento, è andato perduto con la trasformazione della cappella in abitazione; oggi ne sopravvivono solo pochi frammenti nella conca dell'abside e sull'intradosso dell'arco trionfale, rinvenuti durante i restauri del 1963 (Segre Montel, 1980; 1988). Nelle cappelle e nella chiesa abbaziale, dove rimane una Lapidazione di s. Stefano, lavorarono diversi pittori di un unico atelier lombardo, molto vicino a quello di Civate e allo stato attuale soprattutto valutabile nella cappella di S. Eldrado, tornata a splendere come un gioiello dopo l'ultimo restauro (1988), che ha finalmente rimosso le ridipinture a olio eseguite nell'Ottocento e recuperato, tra l'altro, una rara raffigurazione del Golgota in controfacciata. Questi affreschi, di straordinaria qualità, sono stati per molto tempo assegnati al sec. 13°, in base a un'errata datazione della cappella al 1240, trasmessa da fonti seicentesche, mentre non vi è dubbio che vadano riferiti al periodo romanico, in particolare agli anni 1096-1097, in rapporto con i cicli bizantineggianti piemontesi e lombardi della seconda metà del sec. 11°; è però stato anche proposto di anticipare il ciclo all'inizio dell'abbaziato di Adraldo (prima del 1066), e di riconoscervi la stessa mano del pittore di S. Martino di Aurogo e del lunettone di S. Pietro al Monte di Civate (Valagussa, 1993, p. 10).L'importanza e l'ampiezza della campagna decorativa attuata a N. tra sec. 11° e 12° trovano ulteriore conferma nei frammenti di intonaco trovati durante lo scavo, che testimoniano l'uso di colori costosi come il blu di lapislazzuli, persino nei fregi decorativi a meandro (Cantino Wataghin, Colonna Durando, 1994). Lo stesso prezioso colore venne utilizzato nella lunetta del chiostro, scoperta nel 1975, raffigurante una non meglio identificata donatrice Clara, presentata a Cristo da s. Eldrado: l'affresco si data in questo caso verso il 1130-1140 ed è ancora opera di un pittore lombardo di raffinata cultura, ormai ben aggiornato su quanto si andava producendo in area salisburghese (Segre Montel, 1988; 1994).I lavori proseguirono nel monastero per tutto il sec. 12°, con opere che ancora una volta testimoniano il notevole impegno della committenza abbaziale: se non il capitello di Torino (Mus. Civ. d'Arte Antica), con S. Pietro che accoglie due devoti in paradiso (1130-1140), di cui si mette ora in discussione la provenienza novaliciense (Romano, 1994), certo la grande lunetta scolpita con Cristo in maestà tra i ss. Pietro e Andrea (1150 ca.) - donata al Mus. Civ. d'Arte Antica di Torino dal proprietario ottocentesco dell'abbazia e forse in origine collocata sopra la porta della chiesa abbaziale - e la preziosa cassa-reliquiario in argento sbalzato di S. Eldrado, della seconda metà del sec. 12°, già nell'omonima cappella e ora alla parrocchiale di Novalesa. Della produzione successiva resta invece soltanto un fregio a motivi vegetali e scudi con croce sabauda nel sottotetto di un locale dell'ala ovest del monastero, riferibile alla fine del sec. 13° (Bo, 1988).
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