abbazie
Le case-villaggio dei monaci
Le abbazie, dette anche monasteri, sorgevano di solito in zone isolate, in cima ai monti o fra i boschi, sempre però vicino a fiumi o sorgenti, perché l'acqua era essenziale per l'abbazia, dove vivevano moltissime persone. I monaci (dal greco mònos "solo") avevano abbandonato il mondo e la loro famiglia, per pregare e fare penitenza, piangere i propri peccati e quelli altrui
Le abbazie e i monasteri erano i luoghi nei quali i monaci vivevano in comune sotto la guida del loro padre spirituale, l'abate o il priore (cioè il vice-abate). I monaci seguivano di solito la regola di san Benedetto perché era equilibrata e moderata.
Terminato un periodo di prova, il futuro monaco faceva la promessa solenne e si impegnava per tutta la vita a obbedire all'abate, a non uscire più dal monastero, se non con il permesso dell'abate, a non prendere moglie e a vivere in castità, a non possedere nessun bene personale. Era ammessa tuttavia la proprietà in comune e le abbazie avevano di solito grandi proprietà, spesso donate da ricchi in punto di morte. Costoro, infatti, donando a un monastero i loro beni, speravano di guadagnarsi la salvezza eterna per la buona azione compiuta e inoltre erano sicuri che i monaci avrebbero pregato sempre per la loro anima.
I monaci non lavoravano i campi; solo in caso di estrema necessità prendevano in mano la zappa. Pregavano in cella e soprattutto in chiesa, dove si ritrovavano a intervalli regolari sia di giorno sia di notte. Il loro lavoro era scrivere, riuniti in una stanza comune, chiamata scriptorium. Tutto il giorno copiavano manoscritti e li rendevano più belli dipingendo miniature.
A coltivare le terre provvedevano invece i servi, la cui condizione era molto vicina a quella degli schiavi, e i contadini o, a partire dal 10° secolo, i conversi, 'fratelli' laici (in latino monaci si dice fratres "fratelli") che vivevano come i monaci e abitavano nel monastero; svolgevano però lavori manuali, soprattutto agricoli. Spesso non sapevano leggere e in chiesa occupavano un posto vicino alla porta, nettamente separati dai monaci che stavano nel coro, vicino all'altare.
Nel tempo vari gruppi di monaci decisero di adattare la regola benedettina alle loro esigenze più specifiche. I benedettini riformati più importanti furono i cluniacensi (dal nome dell'abbazia di Cluny, in Francia).
Secondo la regola benedettina ogni monastero era indipendente rispetto agli altri e doveva ubbidire al vescovo. Ma il vescovo, nel Medioevo, spesso agiva più da uomo politico che da uomo religioso e non erano rari prepotenze e soprusi. I cluniacensi, fin dalla fondazione del loro ordine all'inizio del 10° secolo, non vollero sottostare al vescovo e dichiararono di dipendere direttamente dal papa.
Col tempo si formò una rete grandissima di monasteri legati all'abbazia-madre di Cluny. I cluniacensi sostenevano che la chiesa dovesse essere la più bella possibile, perché era la casa di Dio. Le loro chiese erano colme di opere d'arte, di sculture, di vetrate colorate, di pitture, di oggetti d'oro e pietre preziose. I cluniacensi trascorrevano quasi tutta la giornata e molte ore della notte in chiesa, a pregare e cantare tutti insieme. Ritenevano, infatti, che l'occupazione principale del monaco fosse quella di pensare a Dio e ai propri peccati. Vestivano di nero, di lana di pecora di questo colore, in segno di umiltà.
Alla fine dell'11° secolo, in opposizione ai cluniacensi, sorti all'inizio del 10°, la cui vita era diventata troppo ricca e lussuosa, sorsero i cistercensi (dal nome del monastero di Cîteaux ‒ in latino Cistercium ‒, anch'esso in Francia), che affermavano un ritorno al rigore e alla semplicità della regola di san Benedetto. Le chiese dei cistercensi erano nude e senza ornamenti, il nutrimento dei monaci scarso, il vestito povero, di lana chiara, non tinta (ma per i lavori nei quali era facile sporcarsi, i monaci indossavano sopra la tunica lo scapolare, una specie di grembiule di stoffa scura). A partire dal 12° secolo, quando si parlava di monaci neri e monaci bianchi si intendevano i cluniacensi e i cistercensi. Nel 1122 si fece cistercense san Bernardo di Chiaravalle che subito cominciò un'opera di diffusione dell'ordine in tutta Europa. I cistercensi ridussero di molto la durata dell'ufficio liturgico e si specializzarono nel bonificare terre paludose; diboscarono molte zone, trasformandole in campi ben coltivati ed ebbero grandi allevamenti di pecore. Il lavoro più duro era però svolto dai conversi.
Ci è rimasto un documento eccezionale, una grandissima pergamena, dove gli architetti del 9° secolo avevano disegnato in ogni particolare il progetto per la ricostruzione della grande abbazia benedettina di San Gallo in Svizzera, accompagnato da numerose scritte. Si tratta di una pianta così accurata che è stato possibile ricostruire con grande fedeltà il modellino dell'abbazia. Era un luogo molto ampio, completamente recintato. Al centro si trovava la chiesa che aveva due torrioni-campanili: in caso di necessità, servivano per guardia e difesa. Accanto alla chiesa c'era il chiostro, circondato sui quattro lati da porticati, in modo che i monaci potessero pregare e muoversi anche durante la cattiva stagione. Intorno al chiostro stavano il dormitorio, il refettorio e la cantina-dispensa. I monaci passavano direttamente dal dormitorio alla chiesa attraverso un passaggio coperto, molto utile in caso di pioggia e che permetteva di arrivare rapidamente tutti insieme senza prendere troppo freddo. Per lo stesso motivo i monaci dormivano vestiti. Vicino alla chiesa erano anche lo scriptorium e, al piano superiore, la biblioteca.
Il dormitorio poteva ospitare 77 monaci ed era diviso in stanze di circa venti letti ciascuna. Collegati al dormitorio erano i gabinetti (la stanza era riscaldata), la lavanderia e il bagno: rispetto alle abitudini igieniche dell'epoca i monaci si lavavano abbastanza, soprattutto quando erano malati. I monaci prendevano i pasti nel refettorio (collegato alla cucina, al forno e al locale per la preparazione della birra), mangiando in silenzio, mentre un compagno leggeva ad alta voce passi tratti da Vite dei santi o di argomento religioso.
Vicino alla chiesa c'era il luogo di accoglienza dei pellegrini e dei poveri. Le condizioni di viaggio nel Medioevo erano così dure che spesso ci si ammalava: per questo gli alberghi-ospizi erano sempre anche un po' degli ospedali. Lontano dal cuore dell'abbazia erano concentrati gli edifici per le autorità e gli ospiti importanti. Accanto a questi edifici c'erano la scuola per i giovani monaci, la casa dell'abate (che aveva anche cucina, cantina e bagno personali) e tutto il settore dedicato alla cura dei malati: l'infermeria, la farmacia, il luogo per i bagni, i gabinetti e l'orto di erbe medicinali.
Tutt'intorno all'abbazia si addossavano le case dei contadini. L'abbazia produceva più di quello che consumava e perciò di solito, dove c'era un'abbazia, in certi periodi dell'anno si celebrava una fiera, dove arrivavano anche mercanti per fare scambi commerciali.
Una curiosità: il proverbio "l'erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del re" trae origine dal fatto che Carlomagno aveva messo per iscritto tutte le erbe che voleva fossero coltivate nel suo giardino, preoccupato di avere a disposizione tutti i rimedi possibili. Così l'imperatore poteva disporre a suo piacimento di tutte le erbe medicinali che erano di solito coltivate quasi esclusivamente all'interno delle mura dei monasteri.
All'interno dell'abbazia c'erano anche un grande frutteto e un grande orto - nel disegno della pianta di San Gallo sono segnati i nomi di tutti gli ortaggi da piantare, più di quaranta! -, l'alloggio del giardiniere, alcuni locali per l'allevamento delle oche, del pollame, e i relativi alloggi per gli addetti a questi animali. Nell'abbazia lavoravano anche molti artigiani e c'erano molti magazzini: granai ed edifici per i laboratori, mulini e fornaci. C'erano anche l'alloggio dei fabbricanti di botti e ruote, le stalle per i cavalli e i bovini, l'alloggio per i loro guardiani, i locali per pecore e pecorai, per mucche e mandriani, per capre e caprai, per maiali e porcai, per scrofe e giumente e per i servitori addetti alla loro cura. Monaci, contadini, servi e artigiani formavano una specie di piccola città.