ACCELERATORE
. Fisica (App. II, 1, p. 4). - Si considerano in questa voce i varî tipi di macchine acceleratrici di particelle e si aggiornano quindi, oltre la voce acceleratore, betatrone (App. II,1, p. 391), ciclotrone (App. II, 1, p. 584), sincrotrone (App. II, 11, p. 831) alle quali si rinvia per altre notizie. Gli acceleratori di particelle sono macchine elettromagnetiche che si impiegano nelle ricerche di fisica nucleare per accelerare particelle elementari cariche (elettroni, protoni), e più in generale ioni o nuclei denudati completamente o in parte delle loro cortecce elettroniche, allo scopo di conferire ad esse un'elevata energia cinetica. Con queste particelle si bombardano poi bersagli, per lo più fissi; la varietà dei bersagli indica la latitudine di impiego di queste macchine: per ricavare informazioni sulla natura delle forze nucleari, per studiare i legami atomici e molecolari in sostanze cristalline e in molecole anche complesse, per stabilire gli effetti dell'irraggiamento di radiazioni sulla sostanza vivente.
Le macchine acceleratrici accelerano particelle cariche e l'accelerazione si compie sempre agendo sulle particelle cariche con un campo elettrico.
Se una particella di carica pari ad e coulomb è immersa in un campo elettrico di intensità pari a E volt/metro, essa è soggetta ad una forza F pari a:
Se la particella lungo un percorso s è soggetta ad un campo elettrico E, ed è E(s) la proiezione di E nella direzione del moto, la particella, partendo da fermo, acquista nel tratto s un'energia cinetica T data da:
Le [1] e [2] sono valide per ogni macchina acceleratrice; peraltro, da caso a caso il campo elettrico ha diversità di origine e di struttura.
Macchine a campo elettrico costante (acceleratori elettrostatici). - Si stabilisce una differenza di potenziale costante tra gli estremi di un tubo vuoto (tubo acceleratore): le particelle (elettroni, protoni, deutoni, ecc.) vengono immesse da una sorgente opportuna in questo campo ed escono accelerate all'altro estremo del tubo acceleratore. Se il campo E è costante lungo il percorso, la [2] si può semplificare, e diviene:
ove s è dell'ordine della lunghezza del tubo.
Se e si misura in unità di carica elettronica (cioè si assume pari ad uno la carica di un elettrone), allora l'energia cinetica della particella è data in elettronvolt (eV). Il prodotto Es è pari alla differenza di potenziale che si realizza tra gli estremi del tubo acceleratore.
Le macchine elettrostatiche oggi impiegate si differenziano tra loro essenzialmente per il generatore elettrico che stabilisce la differenza di potenziale. Ricordiamo in particolare i moltiplicatori di tensione a cascata o acceleratori di Cockroft e Walton e l'acceleratore elettrostatico di Van de Graaff (v. App. II, 1, p. 840).
Sono queste le macchine di più bassa energia: da differenze di potenziale di 100.000 volt a 5÷10 milioni di volt. Furono le prime macchine acceleratrici usate dai fisici nucleari e ancora contribuiscono allo studio del nucleo.
La varietà ad elettroni è impiegata in biologia (bombardamento di elettroni o di raggi gamma da essi generati - fascio γ, o X, secondo autori diversi), in medicina (per terapia, diagnostica, sterilizzazione), in chimica fisica; degno di nota anche l'impiego di questi elettroni, e ormai su scala industriale, per variare le proprietà chimico-fisiche di varie sostanze.
La varietà a protoni o altri ioni pesanti è impiegata anche quale sorgente di neutroni monocromatici di bassa o media energia: ad esempio si possono accelerare deutoni a 0,5÷1 MeV ed ottenere neutroni di 5÷15 MeV per urto di tali deutoni contro tritio. La reazione precisamente è: D2 + T3 S-107??? He4 + neutrone. Vi sono ormai industrie che regolarmente costruiscono e mettono in commercio macchine elettrostatiche per elettroni e per protoni.
Acceleratori lineari. - Il campo elettrico non è più costante rispetto al laboratorio; nel lungo tubo dell'acceleratore lineare gli elettroni od i protoni immessi trovano un'intensa oscillazione elettromagnetica il cui campo elettrico è diretto nella direzione del moto della particella e varia ad alta frequenza rispetto al laboratorio, ma in modo da accompagnare con fase circa costante la particella lungo il tubo. L'onda si propaga dunque con una velocità media di fase pressoché uguale a quella della particella, che in tal modo è sospinta energicamente in avanti, sino ad acquistare una elevatissima energia cinetica.
Tra gli a. lineari è da ricordare particolarmente quello per elettroni dell'università di Stanford (California, S.U.A.), atto a conferire energia sino a quasi 1000 MeV, e lungo 100 metri. Questo acceleratore lineare può accelerare più di 1011 elettroni per impulso, a un ritmo di 60 impulsi/sec.
È in progetto negli Stati Uniti un a. lineare per elettroni di energia finale tra 10 e 20 GeV: con esso saranno possibili tra l'altro ricerche sulla struttura interna dell'elettrone.
Numerosi, presso industrie e laboratorî, sono gli a. lineari per elettroni di bassa e media energia (3÷20 MeV). Essi hanno impieghi analoghi a quelli delle macchine elettrostatiche per elettroni: la maggior energia permette però di utilizzarli anche per la produzione di neutroni e per lo studio di alti livelli nucleari.
Gli acceleratori lineari per elettroni impiegano in generale dei klystron quali generatori di treni d'onde elettromagnetiche da inviare nel tubo acceleratore: in alcuni casi, si arriva a klystron capaci di una potenza istantanea di 10÷20 megawatt.
Betatroni. - Il campo elettrico acceleratore ha struttura solenoidale ed è ottenuto, per induzione, dalla variazione nel tempo del flusso di un campo magnetico di induzione B; non è più dunque E un campo elettrostatico ma un campo elettrico legato a B (t) dalla nota equazione di Maxwell:
Le particelle accelerate corrono entro un recipiente toroidale (la "ciambella") lungo traiettorie circolari: se n è il numero dei giri di una particella, R il raggio dell'orbita, E il campo elettrico medio nella direzione del moto, l'energia acquistata dalla particella in n giri vale
La traiettoria circolare è imposta da un campo magnetico al quale si dà il nome di campo guida. Il metodo va particolarmente bene per gli elettroni, che sono particelle leggere che navigano a velocità molto prossima a quella della luce, e quindi fanno un grande numero di giri (dell'ordine di un milione) durante il processo di accelerazione; ricordiamo per la sua elevata energia il betatrone da 300 MeV dell'università dell'Illinois, a Chicago negli S.U.A.
Alcune industrie producono betatroni da 10÷30 MeV, impiegati in terapia ed in ricerca medica, oltre che in fisica nucleare. Raramente si impiega direttamente il fascio di elettroni, ma piuttosto si irraggia l'oggetto bersaglio con il fascio gamma. Questo fascio può essere ben collimato ed avere penetrazioni profonde, dell'ordine di varie diecine di g/cm2.
Ciclotroni. - Macchine circolari entro le quali le particelle percorrono una traiettoria spirale a raggio crescente; il campo elettrico acceleratore agisce nel passaggio delle particelle dall'una all'altra di due cavità eccitate a radiofrequenza. In particolare si indicano col nome di sincrociclotroni (o ciclosincrotroni) dei ciclotroni modulati in frequenza, ma che impiegano sostanzialmente il principio di stabilità di fase dei sincrotroni.
Sincrotroni. - È la macchina acceleratrice più recente, che nel campo delle altissime energie ha in questi anni soppiantato ogni altra. Con essa si possono accelerare sia protoni sia elettroni, e fino ad una energia di molti GeV.
I più notevoli progressi degli ultimi anni riguardano appunto i sincrotroni che da energie massime di 300 MeV (1948) sono passati a energie massime di 1200 MeV per elettroni (elettrosincrotroni) e di 28.000 MeV per protoni (protosincrotroni).
Questo progresso è dovuto in buona parte alle nuove conoscenze sulle proprietà di focheggiamento del campo magnetico di guida (v. ottica delle particelle, in questa App.). È comune a tutte le macchine circolari il problema di mantenere in orbita le particelle accelerate, che debbono compiere centinaia di migliaia di giri, ciò che si ottiene dando forma opportuna al campo magnetico di guida. Nel 1951 la scoperta del focheggiamento forte ha permesso di restringere, a parità di raggio, le dimensioni della camera a vuoto (la "ciambella", ove corrono le particelle) con ovvia riduzione del peso e del costo della macchina. Il vantaggio è notevolissimo, indicato dalle seguenti cifre: il protosincrotrone a focheggiamento convenzionale (o gradiente costante) dell'università di Berkeley, California, raggiunge i 6200 MeV e pesa 10.000 tonnellate; il protosincrotrone del CERN, entrato recentemente in funzione, raggiunge i 28 GeV, è a focheggiamento forte (o gradiente alternato) e pesa 3500 tonnellate.
Quest'ultima macchina (fig. 1 e 2) è la più potente oggi esistente; appartiene al Centro Europeo delle Ricerche Nucleari con sede a Ginevra, e del quale anche l'Italia fa parte. Il raggio medio del magnete è di 100 metri, ed il magnete è costituito da una successione di cento segmenti, ognuno lungo circa 6 metri, formanti un grande anello di ferro nascosto in un tunnel toroidale scavato sottoterra. La ciambella ha una sezione di soli 14 × 7 cm, su una lunghezza di più di 600 metri.
I protoni vengono iniettati nel magnete da un acceleratore lineare da 50 MeV. Essi arrivano a 28 GeV ogni 3÷5 secondi, ogni fiotto essendo composto di più di 1010 protoni.
Tutta la macchina è sottoterra per avere una prima difesa contro le radiazioni da essa prodotte. Occorre ricordare che la schermatura delle radiazioni è un serio problema per ogni macchina acceleratrice. I raggi gamma (fotoni) ed i neutroni, cioè le radiazioni non ionizzanti, sono i più difficili a bloccarsi. Si impiegano normalmente strati di calcestruzzo, ferro, paraffina, ecc., con uno spessore dell'ordine di grandezza di un metro per le macchine di minore energia, dei 10÷20 m per quelle di energia massima.
Questa macchina è entrata in funzione alla fine del 1959 e con essa si faranno tra l'altro ricerche sugli antiprotoni, su altre antiparticelle, sui mesoni di alta energia.
Come si è detto, il sincrotrone accelera anche elettroni (elettrosincrotrone). Qui una fondamentale proprietà degli elettroni interviene ad abbassare il limite massimo di energia raggiungibile: gli elettroni perdono energia per irraggiamento quando si muovono di moto non rettilineo uniforme. Queste perdite per irraggiamento, a parità di raggio di curvatura della traiettoria, aumentano all'incirca con la quarta potenza dell'energia dell'elettrone: pertanto appare molto difficile accelerare con i sincrotroni gli elettroni ad una energia superiore ai 5÷7 GeV.
I più potenti elettrosincrotroni funzionanti sono ancora lontani da questo limite. Essi sono attualmente tre, di circa pari energia massima tra 1100 e 1300 MeV: sono quelli degli Stati Uniti, presso la Cornell University, Ithaca, N. Y., presso l'istituto di Tecnologia di California, Pasadena, e quello italiano dei Laboratorî di Frascati (fig. 3, 4 e 5). Quest'ultimo è dei tre quello che può fornire la maggiore intensità di elettroni accelerati. Gli elettroni sono iniettati da un iniettore del tipo di Van de Graaff ad un ritmo di venti fiotti al secondo, essendo ogni fiotto costituito da circa 1010 elettroni. Le cavità risonanti acceleratrici hanno una frequenza propria di 40 MHz (oscillano in quarta armonica), ed una tensione massima di circa 100.000 V. Il raggio del magnete è di circa quattro metri.
È importante sapere che una macchina acceleratrice non è che una parte del complesso dei servizî e laboratorî che naturalmente sorgono intorno ad essa, per permettere al fisico di svolgere la ricerca scientifica alla quale l'acceleratore è destinato.
La costruzione e l'esercizio dei grandi acceleratori impegnano centinaia di fisici e di ingegneri: infatti la macchina in sè è estremamente complessa, è anzi una delle più difficili realizzazioni della tecnica attuale. Inoltre queste macchine lavorano senza interruzione giorno e notte per ottenere il massimo rendimento da strumenti scientifici di elevatissimo costo e che rapidamente invecchiano, e quindi è necessario un avvicendamento di varî turni di lavoro. Si aggiunge ancora che presso una macchina come il protosincrotrone si possono fare più esperienze contemporanee, ognuna complicata da una strumentazione che arriva facilmente all'ordine delle diecine di rivelatori (o contatori) di particelle, e delle centinaia o migliaia di tubi elettronici.
Come si vede, e per le ragioni già dette, nei protosincrotroni si raggiungono le massime energie (sino a 28 GeV); peraltro è in progetto a Leningrado un protosincrotone da 50 GeV, a focheggiamento forte, del peso di circa 20.000 tonnellate.
Nella Tabella I diamo in sintesi le caratteristiche di alcuni recenti acceleratori circolari. Nei ciclosincrotroni invece le particelle sono accelerate sino a energie massime di 600÷700 MeV, ma si hanno fasci di elevata intensità.
Si possono dare varie giustificazioni di questa esigenza dei fisici di aumentare l'energia disponibile nel laboratorio: una può essere la seguente.
Ad una particella di quantità di moto p, secondo i principî della meccanica quantistica, è associata una lunghezza d'onda
ove h è la costante di Planck. Quando una particella veloce interagisce con un nucleo o con altre particelle bersaglio, il punto di interazione ha una indeterminazione spaziale dell'ordine della lunghezza d'onda suddetta (più precisamente l'indeterminazione va misurata nel sistema del centro di massa delle due particelle interagenti e tenendo conto della quantità di moto trasferita nell'urto). Scopo della fisica nucleare di alta energia è anche quello di conoscere la struttura delle particelle cosiddette elementari, e questo scopo può essere conseguito solo raggiungendo un'elevatissima risoluzione spaziale, cioè impiegando particelle di piccola lunghezza d'onda, quindi di elevata quantità di moto e di elevata energia totale. Le macchine acceleratrici di grande energia sono appunto gli strumenti adatti per raggiungere le estreme risoluzioni spaziali.
Bibl.: Handbuch der Physik, XLIV, Berlino 1959; E. Persico, Lezioni sulle macchine acceleratrici, Roma 1959; International conference on high energy accelerators, a cura del CERN, Ginevra 1956 e 1959; F. T. Howard, Cyclotrons and high energy accelerators, Oak Ridge 1958.