Accelerazione dei procedimenti amministrativi
Il Consiglio dei ministri del 28.7.2016 ha approvato il regolamento attuativo dell’art. 4 della l. delega 7.8.2015, n. 124, cosiddetto «sblocca procedimenti» o «sblocca opere», finalizzato ad accelerare l’iter dei procedimenti riguardanti opere pubbliche o insediamenti produttivi suscettibili di incidere positivamente sull’economia nazionale. Il regolamento consente al Consiglio dei ministri di selezionare i progetti meritevoli di una corsia preferenziale, di dimezzare i termini dei relativi procedimenti di approvazione e realizzazione e, in caso di inerzia dell’amministrazione competente, di intervenire in via sostitutiva adottando gli atti necessari alla realizzazione dell’opera. L’innovazione normativa, attraverso la semplificazione e una più rapida scansione temporale dell’azione amministrativa, persegue il duplice obiettivo di sbloccare l’attuazione di investimenti di rilevante impatto economico e di far convergere su di essi gli investimenti privati.
Il decreto attuativo dell’art. 4 della l. 7.8.2015, n. 1241 – adottato come regolamento “autorizzato”, ai sensi ai sensi dell’art. 17, co. 2, della l. 23.8.1988, n. 400 – mira ad accelerare la realizzazione di interventi economicamente rilevanti per il sistema Paese, attraverso un meccanismo di semplificazione procedimentale che consente di:
a) individuare, con cadenza annuale, i procedimenti amministrativi per i quali vi sia l’interesse pubblico ad una accelerazione dell’iter (nell’ambito di categorie procedimentali definite ex ante);
b) ridurre, se del caso, i termini per la loro realizzazione fino alla metà;
c) in caso di inerzia dell’amministrazione competente, adottare in via sostitutiva gli atti necessari all’attuazione dell’intervento.
Nel quadro dell’azione riformatrice avviata con l. delega n. 124/2015, il regolamento introduce un terzo strumento di semplificazione che si affianca a quelli sulla SCIA e sulla conferenza di servizi, a loro volta oggetto di decreti legislativi attuativi degli articoli 5 e 2 della medesima delega.
In tutti e tre i provvedimenti assume rilevanza centrale il “fattore tempo”, ovvero l’esigenza – avvertita egualmente in ambito pubblico e privato – che l’intrapresa economica si svolga entro tempi ragionevoli, certi e prevedibili. L’esperienza nazionale degli ultimi decenni testimonia quanto l’incertezza e la lunghezza dei tempi amministrativi siano stati spesso motivo di inefficienza sia per gli enti procedenti e, quindi, per gli interessi pubblici da essi patrocinati; sia per i soggetti privati a vario titolo coinvolti nella realizzazione dell’intervento pubblico e portatori di un interesse all’iniziativa imprenditoriale costituzionalmente rilevante (art. 41 Cost.). Nell’attuale condizione di stagnazione economica, peraltro, risulta considerevolmente accresciuta la rilevanza strategica e ponderale degli investimenti pubblici rispetto agli altri fattori di crescita, cosicché si avverte con la massima urgenza la necessità di garantire la fluidità dei procedimenti amministrativi di approvazione e di attuazione delle opere pubbliche.
Il moderno diritto amministrativo, da parte sua, ha ampiamente maturato la consapevolezza della “dimensione economica” delle discipline legali e riconosce alla tempistica dell’azione giuridica una rilevanza centrale sia alla luce dei principi di rango costituzionale, come l’efficienza e il buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost., quali valori da declinare in concreto con una efficace scansione temporale dell’attività pubblica; sia alla luce dei principi di rango sovranazionale, che riconoscono al cittadino un diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate dalla pubblica amministrazione, oltre che con imparzialità ed equità, anche «entro un termine ragionevole» (si veda in tal senso l’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea).
Dunque, il “fattoretempo” assume oramai la consistenza di «valore ordinamentale fondamentale» e di «componente determinante per la vita e l’attività dei cittadini e delle imprese»2.
Il meccanismo di semplificazione introdotto dal regolamento qui in esame – pienamente integrato nella descritta prospettiva culturale – si configura come una deroga al regime ordinario di approvazione delle opere pubbliche, di cui all’art. 27 del codice appalti3, e si aggiunge ad altri strumenti settoriali di semplificazione e accelerazione dell’azione amministrativa, quali, in particolare:
• la procedura speciale per le infrastrutture prioritarie nazionali prevista dagli artt. 201 e 202 del codice appalti (d.lgs. 1.4.2016, n. 50);
• la l. 21.12.2001, n. 443, in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive (cd. legge obiettivo), abrogata dal nuovo codice appalti ma ancora applicabile a tutti i progetti il cui iter sia stato avviato prima del 18 aprile 2016 (data di entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016);
• i meccanismi procedimentali extra ordinem in materia di protezione civile (v. ad esempio, fra le tante, l’abbreviazione di termini prevista nell’art. 2 dell’ordinanza del Capo del Dipartimento della Protezione Civile 30.5.2015, n. 257);
• l’art. 33, co. 6, d.l. 12.9.2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla l. 11.11.2014, n. 164, che, in relazione agli interventi di bonifica ambientale e di rigenerazione urbana delle aree di rilevante interesse nazionale ha previsto, “in via straordinaria”, il dimezzamento di tutti i termini, eccetto quelli processuali, previsti per l’espletamento di tutte le procedure ad evidenza pubblica.
Ora, se rispetto allo schema procedimentale ordinario (art. 27 d.lgs. n. 50/2016) il decreto delegato configura un meccanismo speciale e derogatorio, rispetto ai modelli settoriali preesistenti sopra richiamati esso ambisce ad un grado di maggiore sistematicità, come reso evidente dalla sua ampia e indifferenziata portata applicativa, estesa ex ante a tutti i «procedimenti amministrativi riguardanti rilevanti insediamenti produttivi, opere di rilevante impatto sul territorio o l’avvio di attività imprenditoriali suscettibili di avere positivi effetti sull’economia o sull’occupazione».
Ulteriore profilo di differenziazione rispetto ai meccanismi acceleratori preesistenti è costituito dal rilievo centrale attribuito alla competenza del Presidente del Consiglio dei ministri sia nelle determinazioni acceleratorie, sia nell’esercizio del potere sostitutivo in caso di inerzia degli organi ordinariamente preposti ai procedimenti.
L’opzione di affidare all’Autorità politica di vertice la sostituzione dell’Amministrazione inadempiente, e quindi l’esercizio di un ruolo di tipo amministrativogestionale, di profilo certamente inferiore rispetto alle competenze di indirizzo politico e di alta amministrazione disegnate nell’art. 5 della l. n. 400/1988, è stata ritenuta, oltre che conforme agli scopi innovatori perseguiti, del tutto in linea con l’assetto costituzionale delle competenze, e ciò in quanto:
• l’art. 95 della Costituzione attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri, tra le altre, la funzione di mantenere l’unità di indirizzo amministrativo, anche promuovendo e coordinando l’azione dei Ministri; e il potere sostitutivo costituisce, appunto, uno strumento di promozione e di coordinamento;
• la scelta ordinamentale in esame ha altresì lo scopo di perseguire il fine, pure di rango costituzionale, del buon andamento dell’amministrazione, quale valore ordinamentale fondamentale in relazione a interventi di particolare rilevanza per l’economia e lo sviluppo del sistema Paese.
Paiono quindi superabili le perplessità destate dalla scelta di affidare all’Autorità politica di vertice l’esercizio dei poteri sostitutivi in caso di inerzia dell’amministrazione ordinariamente competente4.
Il regolamento si compone di sette articoli.
Il primo passaggio del meccanismo semplificatorio, disciplinato all’art. 2, è quello della promozione e della scelta, con cadenza annuale, dei procedimenti amministrativi per i quali vi sia interesse pubblico ad una accelerazione dell’iter di svolgimento.
L’attività di promozione è affidata in parte agli enti territoriali e in parte dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.
I primi, entro il 31 gennaio di ogni anno, possono individuare un elenco di progetti, tra le tipologie elencate all’art. 2, e chiedere alla Presidenza del Consiglio dei ministri che al relativo procedimento siano applicate le disposizioni di cui agli art. 3 (sulla riduzione dei termini procedimentali) e 4 (sul potere sostitutivo del Presidente del Consiglio dei ministri).
Detti progetti devono riguardare rilevanti insediamenti produttivi o opere di rilevante impatto per il territorio, l’economia o l’occupazione, già inseriti nel programma triennale dei lavori pubblici di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 50/2016, o in altri atti di programmazione previsti dalla legge (art. 2, co. 1).
A sua volta, entro il successivo 28 febbraio, la Presidenza del Consiglio dei ministri, anche su segnalazione del soggetto proponente, può individuare progetti non inseriti nell’elenco di cui al co. 1 o in altro atto di programmazione, la cui realizzazione sia parimenti suscettibile di produrre positivi effetti sull’economia o sull’occupazione (art. 2, co. 2).
Dunque, mentre gli enti territoriali promuovono l’attuazione di interventi già inclusi in precedenti atti di programmazione, la Presidenza del Consiglio dei ministri può prescindere dal previo vincolo programmatorio.
A delimitare l’eccessiva astrattezza delle tipologie elencate ex ante nell’ambito delle quali va compiuta la scelta degli interventi, nel testo definitivo del regolamento si è previsto che entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione vengano stabiliti, con separato atto attuativo, i criteri per la selezione dei progetti di cui ai commi 1 e 2 (art. 2, co. 3).
Entro il successivo 31 marzo di ogni anno, tra gli interventi segnalati vengono individuati in concreto i singoli progetti cui si applicano le disposizioni acceleratorie (di cui agli artt. 3 e 4). La scelta avviene con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato previa deliberazione del Consiglio dei ministri e sentiti i Presidenti delle regioni interessate che partecipano, ciascuno per la rispettiva competenza. Il decreto è specificamente motivato con riferimento ai singoli progetti individuati.
Dunque, la selezione dei procedimenti meritevoli della corsia preferenziale opera essenzialmente ex post e in modo flessibile, attraverso l’individuazione in concreto, tra le tipologie generali elencate ex ante, degli interventi in relazione ai quali è maggiore e attuale l’interesse pubblico all’accelerazione dei tempi di attuazione.
Il secondo punto innovativo del meccanismo semplificatorio, disciplinato all’art. 3, è quello della possibile riduzione dei termini di conclusione dei procedimenti, in misura non superiore al 50 per cento rispetto ai termini di cui all’art. 2 della l. n. 241/1990. Si tratta di una misura facoltativa, da inserire nel provvedimento che individua gli interventi da velocizzare, e che può riguardare i termini necessari per tutte le fasi procedimentali occorrenti al compiuto avvio dell’opera, da quelle relative alla localizzazione e progettazione dell’opera, sino a quelle inerenti la sua realizzazione e messa in esercizio. Un certo margine discrezionale consente di estendere la contrazione dei termini a tutti i procedimenti o subprocedimenti in parola, ovvero di limitarla solo a taluni di essi.
La particolare incisività della previsione deriva dal fatto che il potere di riduzione dei tempi (sino al loro dimezzamento) si applica anche alle Amministrazioni preposte alla tutela di interessi pubblici “sensibili” (ambiente, paesaggio, territorio, patrimonio storico-artistico, tutela della salute, pubblica incolumità, compresa la commissione Via), e quindi ad ogni tipologia di procedimento funzionale alla compiuta ultimazione e messa in funzione dell’opera, non essendo contemplata nel testo alcuna eccezione.
Infine, e siamo al terzo profilo innovativo regolamentato dall’art. 4, in caso di inutile decorso del termine procedimentale (che sia quello ordinario o quello rideterminato ai sensi dell’art. 3), il Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, può adottare i relativi atti, eventualmente delegando il potere sostitutivo a diverso soggetto, dotato di comprovata competenza ed esperienza in relazione all’attività oggetto di sostituzione, e fissando un nuovo termine per la conclusione del procedimento, comunque di durata non superiore a quello originariamente previsto.
I poteri sostitutivi sono esercitati previa diffida all’organo competente, al quale, in caso di inerzia, è comunicato l’avvenuto esercizio del potere sostitutivo. Il meccanismo di diffida preventiva è stato inserito nel testo definitivo, su specifico rilievo contenuto nel parere del Consiglio di Stato, onde evitare che il potere di sostituzione potesse essere esercitato senza che l’amministrazione sostituita ne fosse a conoscenza e, ignara di tutto, proseguisse la sua attività eventualmente anche attraverso l’adozione di autonomi provvedimenti.
Al fine di bilanciare l’esercizio del potere sostitutivo con il rispetto delle autonomie locali, nel testo del regolamento (art. 5) sono stati introdotti una serie di criteri preferenziali in virtù dei quali, nei casi in cui l’intervento coinvolga esclusivamente, o in misura prevalente, il territorio di una regione o di un comune o città metropolitana, e non sussista un preminente interesse nazionale alla realizzazione dell’opera, il Presidente del Consiglio delega di regola all’esercizio del potere sostitutivo il presidente della regione o il sindaco. Viceversa, fuori dei casi di cui al comma 1, quando l’intervento coinvolga le competenze delle regioni e degli enti locali, l’individuazione dei criteri per l’esercizio dei poteri sostitutivi è rimessa ad un successivo atto attuativo, da adottare previa intesa in Conferenza unificata ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. 28.8.1997, n. 281.
Si prevede, infine, che le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano adeguino i propri ordinamenti alle disposizioni di principio desumibili dal presente decreto, ferme restando le competenze previste dai rispettivi statuti speciali e relative norme di attuazione.
Nel testo finale del regolamento, su richiesta del Parlamento e delle Regioni, i rilevanti poteri sostitutivi dell’Autorità politica di vertice sono stati ulteriormente mitigati, nel senso che, mentre nella precedente versione il Presidente del Consiglio li esercitava da solo, nell’attuale versione la loro attivazione presuppone la previa deliberazione del Consiglio dei ministri.
I rimanenti articoli del regolamento disciplinano l’individuazione del personale di supporto tecnico amministrativo all’esercizio dei poteri sostitutivi (art. 6) e la clausola di invarianza finanziaria (art. 7).
Anche qui il testo ha subito una parziale variazione nel passaggio tra lo schema iniziale e quello definitivo, poiché in origine si prevedeva che al personale di supporto non venisse riconosciuto alcun trattamento retributivo ulteriore rispetto a quello in godimento, né alcuna riduzione del carico di lavoro nell’amministrazione di appartenenza. Su specifico rilievo del parere del Consiglio di Stato – ove si segnalava come irrealistica l’ipotesi che funzioni così impegnative e delicate potessero aggiungersi puramente e semplicemente agli ordinari carichi di lavoro – la seconda previsione limitativa è stata espunta dal testo normativo.
Resta da aggiungere che per poter trovare piena applicazione il regolamento attende l’adozione di atti attuativi riguardanti la determinazione dei criteri per la selezione degli interventi meritevoli di accelerazione (art. 2, co. 3) e per l’esercizio dei poteri sostitutivi, da definire previa intesa in Conferenza unificata (art. 5, co. 2).
Il regolamento in commento si presta ad una lettura critica sotto il duplice profilo della tecnica normativa di cui è espressione e delle effettive potenzialità applicative della semplificazione procedimentale che introduce.
Il primo spunto di analisi offre una visuale deludente della qualità dello sforzo legislativo posto in essere.
Nonostante il dichiarato intento di snellire e velocizzare l’attività dell’apparato pubblico, il legislatore delegato ha mancato di considerare il rilevante incremento di efficienza di cui può beneficiare l’azione amministrativa per effetto di una compiuta razionalizzazione del quadro normativo di riferimento.
Un grado di maggior chiarezza e funzionalità dell’ordinamento può derivare sia da interventi di delegificazione e abrogazione di disposizioni previgenti, che siano in grado di razionalizzare la disciplina normativa, rendendola più intellegibile e, di conseguenza, limitando in radice i problemi interpretativi indotti dalla stratificazione di successive riforme non adeguatamente coordinate; sia, in misura minore, da un’opera di raccolta e ricognizione ordinata delle discipline di settore.
Alla qualità della regolazione si riconosce oramai il rilievo di elemento fondamentale per la competitività del Paese, per l’effettività dei diritti fondamentali dei cittadini, per l’efficienza delle pubbliche amministrazioni e per l’andamento dei conti pubblici: detto requisito è da riferirsi principalmente alla qualità sostanziale delle regole ma anche, sia pure in misura minore, alla qualità formale dei testi normativi – essendo oramai acquisito il rapporto che lega la chiarezza e l’intellegibilità delle norme giuridiche all’efficacia dell’azione amministrativa e alla tutela delle libertà di impresa e dei diritti individuali dinanzi al potere amministrativo.
Il regolamento in oggetto, pur essendo stato emanato ai sensi dell’art. 17, co 2, della l. n. 400/1988 – norma che consente l’abrogazione delle norme vigenti, anche di rango primario, incompatibili con il regolamento delegato, ovvero la raccolta in un unico testo di tutte le fonti di analoga matrice regolamentare – non fa alcun utilizzo del potere di delegificazione e di razionalizzazione sistematica delle fonti, sicché omette sia di espungere dall’ordinamento i meccanismi legislativi ormai obsoleti o inefficienti, sia di raccogliere le disposizioni settoriali in materia di accelerazione dei procedimenti in un unico testo compilativo.
Eppure l’esigenza di “precisazione” del quadro normativo rappresenta uno dei fili conduttori della riforma Madia complessivamente considerata, come testimoniato sia dall’art. 4 della delega, che incarica il Governo della «puntuale individuazione dei tipi di procedimento amministrativo, relativi a rilevanti insediamenti produttivi, a opere di interesse generale o all’avvio di attività imprenditoriali, ai quali possono essere applicate le misure di cui alle lett. c)»; sia dall’art. 21 ove, «al fine di semplificare il sistema normativo e i procedimenti amministrativi e di dare maggiore impulso al processo di attuazione delle leggi», il Governo viene delegato a «individuare tra le disposizioni di legge che prevedono l’adozione di provvedimenti attuativi, quelle che devono essere modificate al solo fine di favorire l’adozione dei medesimi provvedimenti e apportare le modificazioni necessarie», nonché ad «individuare, tra le disposizioni di legge che prevedono l’adozione di provvedimenti attuativi, quelle per le quali non sussistono più le condizioni per l’adozione dei provvedimenti medesimi e a disporne l’abrogazione espressa e specifica».
Il progetto della riforma muove quindi dall’idea che la semplificazione sia un obiettivo più facilmente realizzabile se si riduce la discrezionalità dell’amministrazione nell’interpretare ed attuare le norme, mandando al legislatore il compito di “precisare” e “individuare” i confini normativi dell’azione procedimentale e sollevando da tale compito apparati burocratici timidi o poco capaci.
Nonostante il chiaro mandato del legislatore delegante e le sollecitazioni espresse nello stesso senso dal Consiglio di Stato nel parere reso sullo schema di regolamento delegato – ove si suggeriva l’esercizio in tutte le sue potenzialità del potere di delegificazione o di ricognizione delle fonti – l’esito del processo riformatore ci consegna un quadro normativo frammentario e disarticolato, composto di norme speciali non coordinate tra di loro e in parte interferenti.
L’assenza di un’opera di razionalizzazione si coglie anche sul piano contenutistico, in particolare sotto il profilo del mancato coordinamento del potere sostitutivo disciplinato all’art. 5 con quello già previsto, in via generale, dall’art. 2, co. 9-ter, della l. n. 241/1990.
Le differenze tra i due poteri e il loro distinto ambito di operatività consentono di ritenerne possibile la coesistenza, in quanto lo strumento disciplinato all’art. 5:
• è un potere sostitutivo a esercizio d’ufficio, mentre quello di cui all’art. 2, co. 9-ter, della l. n. 241/1990 viene esercitato ad istanza di parte;
• è attribuito ad un soggetto diverso (il Presidente del Consiglio dei ministri o un suo delegato) rispetto all’amministrazione ritardataria e non ad un diverso organo della stessa amministrazione;
• riguarda solo alcuni procedimenti (quelli individuati ai sensi dell’art. 2 del presente regolamento) e non tutti i procedimenti ad istanza di parte5.
Una disciplina di raccordo avrebbe consentito di chiarire la coesistenza tra i due poteri in esame, oltre che tra le nuove disposizioni ed analoghi meccanismi sostituti, sempre attribuiti alla competenza del Consiglio dei ministri, previsti nella disciplina generale della conferenza di servizi (art. 14-quinquies l. n. 241/1990) e in quella relativa alla Valutazione di impatto ambientale (art. 26, co. 2, d.lgs. 3.4.2006, n. 152).
Per quanto concerne le sue potenzialità applicative, il nuovo meccanismo acceleratorio sconta alcune incongruenze sul piano della chiarezza e dell’adeguatezza della disciplina.
Quanto al primo aspetto, residuano margini di ambiguità nella regolamentazione dei rapporti tra i poteri ordinari dell’amministrazione competente e quelli, succedanei e sostitutivi, della Presidenza del Consiglio dei ministri. In particolare, il presupposto dell’intervento sostitutivo viene individuato nella ipotesi dell’ «inutile decorso del termine di cui all’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, o di quello eventualmente rideterminato ai sensi dell’articolo 3», quindi in una condizione di inerzia dell’ente primariamente competente. Non è del tutto chiaro, tuttavia, se, laddove l’Amministrazione competente si esprima negativamente in merito all’opportunità di realizzazione dell’opera, questo diniego espresso – integrando una condotta diversa dalla mera inerzia – sia in grado di bloccare l’approvazione e la realizzazione del progetto.
Una tale eventualità potrà verificarsi essenzialmente nel caso di interventi promossi dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, risultando scarsamente plausibile la diversa ipotesi che l’ente territoriale ordinariamente competente dapprima promuova il progetto dell’intervento presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e successivamente ne ostacoli la realizzazione, revocando l’assenso originariamente espresso.
Esaminando quindi il caso del progetto d’opera direttamente patrocinato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 2, co. 2, occorre chiedersi se la valutazione positiva espressa dall’esecutivo sul progetto – ritenuto meritevole per il «positivo impatto» economico e occupazionale – consenta o meno allo stesso governo di superare, con i poteri sostitutivi, il dissenso dell’ente territoriale abilitato ad esprimersi, in via ordinaria, sulla sua approvazione e realizzazione. Il punto non è chiaro e tuttavia segna un passaggio di rilevanza decisiva ai fini dell’effettivo impatto dell’intervento riformatore, al quale viene attribuita una generica capacità di “commissariamento” delle amministrazioni territoriali riottose o inadempienti, la cui consistenza merita di essere puntualmente verificata alla luce delle segnalate ambiguità di contenuto.
La concreta fattibilità della semplificazione procedimentale passa inoltre per la preliminare condizione di una adeguata attività istruttoria avente ad oggetto sia l’individuazione degli interventi da accelerare, sia la calibrata riduzione dei relativi termini.
Il livello delle competenze richieste esige innanzitutto che la struttura dedicata al compito, incardinata presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, venga compiutamente individuata sulla base di requisiti selettivi rigorosi e resa effettivamente funzionante con professionalità capaci, ancorché reperite nell’ambito del personale già in servizio.
Lo stesso svolgimento dell’attività istruttoria non può essere lasciato al caso ma esige una regolamentazione puntuale, attraverso l’elaborazione di linee guida o di schemi operativi in grado di indirizzare il lavoro di scelta dei procedimenti da sottoporre ad accelerazione secondo parametri oggettivi e uniformi6.
Resta infine da segnalare la necessità che la concreta riduzione dei termini procedimentali venga di volta in volta attentamente graduata sulla base di un’approfondita disamina istruttoria che individui scadenze sostenibili e proporzionate agli interessi pubblici coinvolti e alle incombenze gravanti sugli uffici amministrativi incaricati del procedimento, oltre che sui privati coinvolti nella realizzazione del progetto.
La prevista riduzione dei termini può infatti essere fonte di inconvenienti perché – oltre a determinare un probabile aumento dei carichi di lavoro degli uffici amministrativi esistenti e una contrazione dei tempi di espletamento degli adempimenti burocratici da parte degli imprenditori privati coinvolti – va ad incidere anche sull’attività di amministrazioni preposte alla tutela di interessi pubblici “sensibili” (ambiente, paesaggio, territorio, patrimonio storicoartistico, tutela della salute, pubblica incolumità).
Le esigenze che suggeriscono la meditata individuazione di scadenze temporali sostenibili sono d’altra parte le stesse già individuate dal legislatore nella disciplina – simmetrica rispetto a quella qui in esame – dall’art. 2, co. 4, della l. n. 241/1990, che, nel regolamentare la possibilità di fissare termini di conclusione del procedimento in misura maggiore rispetto a quello di novanta giorni (individuato dal comma 3 dello stesso art. 2 come limite massimo alla durata del procedimento amministrativo), contiene un riferimento specifico alla «sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento».
È quindi sul piano della prassi applicativa che va di volta in volta rintracciato un ragionevole punto di equilibrio nel bilanciamento tra interesse allo sviluppo economico e interessi sensibili, in modo da temperare l’impulso a quell’eccessiva preferenza del primo sui secondi che si intravede nell’impostazione teorica delle tendenze riformatrici in epoca di crisi economica7.
Note
1 La legge delega 7.8.2015, n. 124, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 187 del 13.8.2015 e recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», meglio conosciuta come legge Madia di Riforma della P.A., è costituita da 23 articoli, così suddivisi: artt. 17: semplificazioni amministrative; artt. 810: organizzazione; artt. 1115: personale; artt. 1623: deleghe per la semplificazione normativa.
2 Così si esprime il parere del 15.4.2016, n. 929, reso dal Consiglio di Stato sul regolamento in esame.
3 L’art. 27 del d.lgs. n. 50/2016 stabilisce che l’approvazione dei progetti di opere pubbliche venga effettuata dalle amministrazioni competenti (Comuni, Regioni, Stato con i vari Ministeri) in Conferenza di servizi, in base alle regole generali della legge 7.8.1990, n. 241. La novità introdotta dall’art. 27 del codice appalti consiste nel fatto che l’approvazione fondamentale in conferenza di servizi non è più sul progetto definitivo (con doppio passaggio, dunque, su preliminare e definitivo), ma sul nuovo «progetto di fattibilità» (art. 23) più avanzato dal punto di vista tecnico e recante una analisi costibenefici (tecnica ed economica). Tutti gli enti sono obbligati a pronunciarsi su tracciato e localizzazione in sede di conferenza dei servizi sul progetto di fattibilità, e «salvo circostanze imprevedibili» queste decisioni non possono essere modificate nell’approvazione del definitivo.
4 Si veda il citato parere reso sullo schema di regolamento dal Consiglio di Stato.
5 In tal senso si esprimono i rilievi svolti nel parere del Consiglio di Stato.
6 Si veda la nota 5.
7 Il tema è affrontato da Follieri, E., Interessi cosiddetti sensibili e interessi allo sviluppo economico, in www.giustamm.it, 7.7.2016.