accordo [prontuario]
L’➔accordo morfologico (di ➔ genere e di ➔ numero) tra i diversi elementi presenta varie forme.
Una sequenza di soggetti può presentare profili diversi e, quanto all’accordo, esiti diversi:
(a) se uno dei soggetti (➔ soggetto) è un pronome personale (io, tu) il verbo è, rispettivamente, alla prima o seconda persona plurale, indipendentemente dalla congiunzione che collega i soggetti (vale a dire e, o, né, asindeto; avremo, ad es., con e: tuo fratello e io abbiamo viaggiato per ore; tu e tuo fratello avete viaggiato per ore);
(b) se insieme al soggetto figura un complemento di compagnia (introdotto perlopiù da insieme a o con) l’accordo è di norma al singolare (Giovanni, insieme a / con suo fratello, è riuscito a risolvere il problema), ma è possibile usare il plurale per sottolineare la compartecipazione all’azione;
(c) più soggetti singolari collegati per asindeto (nello scritto, con virgola) o con una congiunzione copulativa (e) sono seguiti di norma da un verbo al plurale (il pollice, l’indice, il medio, l’anulare e il mignolo sono le dita della mano); se invece i soggetti sono percepiti come semanticamente unitari, o l’uno come riformulazione dell’altro, è possibile l’accordo al singolare: la maestosità e regalità del suo portamento ricorda personaggi d’altri tempi, con omissione dell’articolo, a sottolineare la solidarietà semantica del binomio;
(d) se ci sono più soggetti collegati con né, il verbo è solitamente al singolare se anteposto («non è stato un camion, dunque, né un automezzo qualunque ad uccidere», «la Repubblica» 20 maggio 2007) e più spesso che al plurale («un mondo in cui non c’erano né legge né giustizia», Lupo 2002: 254). Se invece il soggetto precede il verbo, l’accordo è al plurale («né il sindaco né la giunta erano presenti», «la Repubblica» 29 gennaio 2010); il singolare, per quanto non errato, è più raro;
(e) con la congiunzione o il verbo è al singolare se o ha valore esclusivo (lat. aut: sarà scelta Roma o Milano). È invece possibile il plurale se la congiunzione ha valore inclusivo (lat. vel: il caso o l’arditezza possono portare qualcuno molto in alto);
(f) se uno dei soggetti figura in un inciso fra parentesi o trattini l’accordo può essere anche al plurale («la radio, e anche la televisione, con un tono più burocratico che mondano, avvertono che il carnevale è ormai alle porte», «la Repubblica» 6 gennaio 1985; «poi il senso del disfacimento, e anche il disgusto per l’arroganza, hanno spinto dei giudici verso un terreno che non gli è proprio», «la Repubblica» 7 febbraio 1985);
(g) con una sequenza di nomi di entrambi i generi il participio o l’aggettivo predicativo sono al maschile plurale (il barista e la cassiera sono usciti / simpatici);
(h) se il soggetto è formato da un nome collettivo (➔ collettivi, nomi) seguito da un complemento di specificazione (corrisponde cioè a un soggetto partitivo), la soluzione più attesa è l’accordo al singolare: «la maggior parte delle ragazzine si sposa per fuggire da una situazione familiare disastrosa» («la Repubblica» 24 gennaio 2010); tuttavia, il maggior peso semantico del complemento rispetto al nome collettivo (perlopiù astratto) porta all’uso del plurale: il costrutto, noto come concordanza a senso e attestato ampiamente già in epoca passata, è anche oggi largamente diffuso, sia con soggetto anteposto al verbo:
(1) la maggior parte delle produzioni vengono appaltate all’esterno («la Repubblica» 18 gennaio 2010)
sia con soggetto posposto:
(2) nei Paesi in via di sviluppo e in quelli di transizione, dove vivono la maggior parte dei 246 milioni di bambini lavoratori («Il Sole-24 ore» 4 febbraio 2004)
In alcuni casi la concordanza a senso è anzi obbligatoria, come, ad es., con le espressioni un po’ di e un paio di. Si vedano rispettivamente:
(3) un po’ di persone in fondo al gruppo si sono voltate a guardare Sara (Leroy 2002: 198)
(4) un paio di considerazioni diventano necessarie («la Repubblica» 24 gennaio 1985)
Il costrutto è tuttavia meno accettabile quando il complemento partitivo viene omesso:
(5) e la Gazzetta di Modena è tempestata dai messaggi dei lettori: “La maggior parte − dicono in redazione − sono dalla parte dell’Arma” («Corriere della sera» 28 febbraio 2006)
(6) Secondo gli ultimi dati [...], sono quasi 17 milioni i contribuenti cui tocca pagare l’Iva, sparsi in 1.193 comuni della Penisola, la maggior parte sono al Centro e al Nord («L’Espresso» 28 gennaio 2010).
Un caso per alcuni versi analogo riguarda il sintagma con articolo ➔ partitivo seguito da che relativo: siccome il che (soggetto della frase relativa) si riferisce all’elemento più vicino (al plurale) il verbo andrà al plurale (uno degli aspetti che sono stati ricordati ...); tuttavia, questa regola è spesso impropriamente disattesa, e si ha dunque accordo al singolare, come, ad es., in:
(7) La Campania [...] è una delle regioni che ha avuto più danni all’agricoltura («la Repubblica» 16 gennaio 1985).
Nell’italiano d’oggi il ➔ participio passato è sempre concordato soltanto in due circostanze:
(a) con il soggetto, quando il predicato è un verbo intransitivo con ausiliare essere: siamo andati al mare;
(b) con l’oggetto, se questo è rappresentato da pronomi personali di terza persona singolare o di terza persona plurale: l(a) ha guardata, l(o) ha guardato e li ha guardati, le ha guardate.
Per il resto, il participio passato è perlopiù invariabile, con uscita -o. Questa tendenza presenta tuttavia qualche oscillazione: frequente è, ad es., l’incertezza in frasi con verbo essere, con le quali il participio può essere concordato con il soggetto oppure con il nome del predicato o il complemento predicativo:
(8) L’iscrizione di Toro a “modello 21” è stata un brutto colpo («Corriere della sera» 12 febbraio 2010)
ma:
(9) La Lauda Air Italia è stato un buon affare? («Corriere della sera» 22 febbraio 1995)
Ancora:
(10) La Somalia è stata un Paese piuttosto secolarizzato («Corriere della sera» 10 febbraio 2010)
ma:
(11) l’Italia è stato un Paese fondatore dell’Unione monetaria («Corriere della sera» 24 dicembre 1997)
Il participio può essere altrimenti concordato col complemento oggetto (dopo aver ascoltati i vostri pareri), eventualmente rappresentato dai pronomi personali (in posizione proclitica: mi / ti ha guardata, ci / vi ha guardati/e, ed enclitica: avermi/ti guardata, averci/vi guardati/e; ➔ personali, pronomi) o dal pronome relativo (con avere: la regola che abbiamo seguita; o con essere: la relazione che ci siamo preparata; ➔ relativi, pronomi). Questo costrutto connota registri di italiano accurato (Vi ringraziamo per averci seguiti) e può servire a sottolineare ed eventualmente disambiguare il genere (“Il dottore” mi ha guardata basito, «La Stampa» 22 gennaio 2007), come si verifica spesso in ambiti come la letteratura per bambini (Lui mi ha guardata come se fossi uno scarafaggio, Bordiglioni & Badocco 2002), le canzoni (esempi in De André, Guccini, Vanoni) e il cinema (cfr. Telve 2008b: 157 e 160).
L’accordo del participio con l’oggetto è invece obbligatorio con ne usato come partitivo in funzione di oggetto:
(12) ho visto parecchi film
ma, con dislocazione (➔ dislocazioni):
(13) di film, ne ho visti parecchi
(14) ho comprato delle mele e ne ho mangiate tre (Cordin 2001: 650).
Con nomi di entrambi i generi, l’aggettivo attribuito all’uno e all’altro nome è al maschile plurale (un gatto e una gatta rossi). Con nomi al plurale, la soluzione di accordare l’aggettivo al nome più vicino risulta poco praticabile (in due astucci e tre penne nuove / tre penne e due astucci nuovi l’aggettivo si riferirà solo all’ultimo elemento e non anche a quello precedente).
Un caso particolare di accordo è quello dei nomi neutri (➔ neutro). Le voci che hanno il maschile al singolare e il femminile al plurale (perché continuazione diretta dei neutri latini con uscita al singolare in -um e al plurale in -a) possono suscitare incertezze di accordo se usate in un costrutto partitivo: una delle uova si è rotta / uno delle uova si è rotto.
Il tipo uno delle braccia, prescritto anticamente da ➔ Pietro Bembo (Prose della volgar lingua III, 6) e da altri (Poggiogalli 1999: 277), suscita resistenze presso alcuni grammatici dell’Ottocento («A me poi per dirla tutta, parrà sempre più naturale il dire l’uno de’ bracci che l’uno delle braccia, come pretende nelle sue Prose il Bembo», Viani 1858-1860, ad vocem «braccio»). Fornaciari, peraltro, pur notando che, «quando si accenna in forma partitiva uno solo degli oggetti aventi doppio plurale, questi serbano il plurale in i» (come in «Biondo era e bello e di gentile aspetto / ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso», Dante, Purg. III, 107) e che dunque «bisogna dire l’uno de’ ginocchi, nissuno de’ labbri, uno de’ due lenzuoli, uno de’ diti», osserva: «Vero è che si dice più spesso, in singolare, un ciglio, un ginocchio, un dito, un lenzuolo ecc.» (Fornaciari 1881: 17-18).
Accantonata dunque la soluzione antica (e grammaticalmente più regolare: uno delle dita), anche quella prospettata dal grammatico (uno dei diti) appare minoritaria per via della spinta dell’uso corrente, che premeva già all’epoca per una terza via (una delle dita), oggi dominante:
(15) guarirà in una settimana per un taglio a una delle braccia («Corriere della sera» 19 novembre 1994)
(16) questa fabbrica è una mano – dice – e noi siamo una delle dita («Corriere della sera» 27 febbraio 2002)
(17) percuoteva cautamente il guscio di una delle uova (Asor Rosa 2002: 100).
Fra i nomi neutri possiamo considerare anche qualcosa, con il quale è largamente prevalente l’accordo al maschile (specie se qualcosa segue il verbo: è successo qualcosa), ma ricorre talvolta anche al femminile, per effetto del soggiacente cosa:
(18) all’interno della maggioranza qualcosa è cambiata da quel 10 agosto («La Repubblica» 20 agosto 1985)
(19) qualcosa deve essere andata evidentemente storta («La Repubblica» 11 giugno 2004).
Quando il soggetto della frase è costituito da un titolo (di romanzo, di film, ecc.; ➔ titoli) costituito da un sintagma nominale al plurale, il soggetto si accorda al singolare e non al plurale:
(20) I promessi sposi è un romanzo storico
Non è comunque infrequente trovare l’accordo al plurale:
(21) I promessi sposi sono un romanzo storico.
Gli aggettivi correlati al lei usato in riferimento a un uomo (➔ allocutivi, pronomi) sono declinati perlopiù al maschile (lei è buono) e così anche i participi di verbi (lei è venuto), benché sia possibile anche il femminile (secondo un’antica oscillazione: Rohlfs 1966-1969: § 478; Tesi 2005: 64; D’Achille 2006: 118), specie in contesti particolarmente aulici (Serianni 2006a: 154). Sono invece solo al femminile, già dal Settecento (Soave 2001: 108 e 184), i pronomi (sono venuto per salutarla).
Nella scelta del genere conta a volte l’effetto pragmatico che l’accordo al femminile può creare, potendo risultare ora inopportuno (come nel caso di un aggettivo al femminile riferito a un uomo), ora ambiguo (in contesti in cui vi siano più soggetti femminili).
I verbi transitivi attivi coniugati con il si si accordano secondo il complemento diretto che li accompagna (le mani si lavano prima dei pasti, il viso si lava ogni mattina). Questo costrutto con si è detto passivante perché conferisce al complemento (oggetto) il ruolo di soggetto (➔ passiva, costruzione). Nei tempi composti, il participio si accorda anche nel genere (si è vista la neve).
Se il verbo transitivo attivo è al singolare, il si passivante non è distinguibile dal si impersonale: la frase si attraversa la strada può dunque valere «qualcuno attraversa la strada» (impersonale) oppure «la strada viene attraversata» (passivante).
Con il si impersonale il participio è invariabile per i verbi con ausiliare avere (si è lavorato molto) mentre viene flesso, perlopiù al maschile, in presenza di verbi con ausiliare essere (alle nove si è andati via); il verbo è invece coniugato al femminile se il soggetto è un nome che indica entità esclusivamente femminili (quando si è diventate campionesse, si è trattate con altro riguardo).