FAZZARI, Achille
Nacque il 28 marzo 1839, da Annunziato e da Maria Fulciniti, a Staletti, piccolo centro della provincia di Catanzaro che si affaccia sul golfo di Squillace.
Il padre Annunziato, architetto, affiliato alla Giovine Italia, aveva preso parte al moto di Reggio Calabria del settembre 1847e, per sfuggire all'arresto, si era reso latitante sino all'amnistia del gennaio dell'anno seguente. Nel giugno del 1851fu condannato a morte dalla Gran Corte Speciale di Catanzaro (pena poi commutata in venticinque anni di reclusione), sotto l'accusa di complicità "nel misfatto di attentato contro la sicurezza interna dello Stato avendo fatto parte di banda armata organizzata per distruggere e cambiare il governo". L'arresto del principale sostegno economico della famiglia, impedì al F. e ai suoi due fratelli di completare gli studi, ma egli riuscì sempre - grazie ad una viva e pronta intelligenza ed alle notevoli doti pratiche - a sopperire efficacemente alla mancanza di una istruzione superiore.
Nel 1857 il F. venne arruolato nelle file dell'esercito borbonico (la coscrizione nel Regno di Napoli avveniva, infatti, al compimento del diciottesimo compleanno e la leva aveva la durata di ben otto anni), ove prestò servizio in qualità di fante semplice presso un battaglione di cacciatori napoletani. Nel 1860 disertò insieme con alcuni commilitoni per unirsi alle avanzanti truppe garibaldine, con le quali prese parte all'episodio conclusivo della campagna napoletana. Nel corso della battaglia del Volturno (1-2 ottobre) riuscì a conquistare alla testa di uno sparuto drappello di volontari un fortilizio nemico, costringendo alla resa i 150 soldati che lo difendevano: il gesto temerario e la dimostrazione di notevoli capacità di combattente gli fruttarono la citazione all'ordine del giorno della battaglia e - fatto ancora più importante - la stima personale di Garibaldi. Si può infatti datare sin da quei giorni l'inizio di quel profondo e sincero rapporto d'amicizia che legò - sia pure non senza qualche sporadico contrasto - il F. all'eroe nizzardo, permettendogli di divenirne uno tra i collaboratori più stretti e fidati.
Fu grazie a lui, ad esempio, che poterono essere portate a buon fine nel 1880 le trattative per l'annullamento del secondo matrimonio di Garibaldi con la marchesina Giuseppina Raimondi, rendendo così possibile la legittimazione dei due figli - Manlio e Clelia - che il generale aveva nel frattempo avuto da Francesca Armosino.
Dopo la conclusione della campagna napoletana il F. seguì Garibaldi a Caprera e qualche anno dopo, nel 1867, volle essere ancora al suo fianco nella sventurata spedizione dell'Agro romano, dove combatté coraggiosamente con il grado di maggiore. Il 13 ottobre, nei pressi di Montelibretti, piccolo paese della campagna sabina, venne sorpreso insieme con i suoi uomini da un battaglione di zuavi pontifici. Nel cruento conflitto a fuoco fu ferito ad una gamba, ma continuò a guidare la resistenza dei suoi, ben presto sopraffatti dalle preponderanti forze nemiche: nel corso del violento corpo a corpo rimase nuovamente ferito e, creduto morto, abbandonato inanime in terra; venne infine tratto in salvo da uno zuavo prussiano, Ignazio Kröne, che il F. per riconoscenza tenne al proprio servizio sino alla morte.
Nel 1870 biasimò pubblicamente l'intervento garibaldino nei Vosgi, definendolo un errore politico. L'impopolare presa di posizione gli guadagnò le simpatie del partito militare prussiano al punto che, non molto tempo dopo, il 20 maggio 1871, il generale H. von Moltke acconsentì a che il figlio primogenito del F. ricevesse il suo nome e che, in sua vece, gli facesse da padrino nella cerimonia di battesimo il generale L. F. Menabrea.
Candidato per il collegio di Chiaravalle Centrale nelle votazioni del novembre 1874, risultò eletto dopo due ballottaggi, avendo la giunta esaminatrice della Camera annullato l'esito del primo scrutinio in seguito alla scoperta di alcune gravi inadempienze che si erano verificate nelle sezioni di Gasparina e di Borgia; nel ballottaggio suppletivo, che ebbe luogo il 7 genn. 1875, comunque, fu ancora il F. ad ottenere la maggioranza delle preferenze.
Di nessuna particolare rilevanza fu la sua partecipazione ai lavori parlamentari: alla Camera si limitò infatti, in questo primo mandato, ad uniformare il proprio contegno a quello del conterraneo e amico personale G. Nicotera. Uomo portato per indole più all'azione che alla vita sedentaria, il F. si sentiva a disagio nei panni di deputato, ragion per cui preferì non ripresentare subito la propria candidatura.
Nel 1879 elaborò insieme con Ricciotti Garibaldi un progetto di spedizione in Nuova Guinea; profondamente convinto, come scriveva in una lettera, datata marzo 1879, al generale Menabrea (in quel momento ambasciatore a Londra), della necessità per l'Italia di conquistarsi colonie, egli pensava ad un'operazione "dal carattere nazionale, ma non governativo", allo scopo di evitare possibili complicazioni diplomatiche.
L'operazione auspicata dal F. raccolse in breve tempo 15.000 adesioni, ma rimase allo stato progettuale in seguito al rifiuto posto dal generale Garibaldi, che giudicava inopportuna la scelta del momento, sostenendo che gli sforzì dei volontari andavano piuttosto finalizzati al pieno compimento dell'Unità nazionale (Trento e Trieste) ed all'appoggio a quelle popolazioni della penisola balcanica che si battevano per la conquista dell'indipendenza.
Nel 1882 fu il F. ad organizzare e rendere possibile il polemico viaggio di Garibaldi in Sicilia in occasione delle celebrazioni dei sesto centenario dei Vespri siciliani, gesto simbolico con il quale questi voleva esprimere pubblicamente la condanna dell'occupazione francese di Tunisi (1881) da parte del movimento democratico italiano, episodio ampiamente documentato dal patriota calabrese in un opuscolo pubblicato a Firenze due anni dopo (Garibaldi da Napoli a Palermo per il centenario dei Vespri siciliani nel 1882), in cui non mancano spunti polemici rivolti contro quelli che sprezzantemente il F. definisce "repubblicani da caffè".
Monarchico convinto, egli non sapeva capacitarsi della mancata soluzione della questione romana, che considerava causa di debolezza profonda tanto all'interno che all'estero ed uno dei principali ostacoli alla realizzazione di quella politica coloniale di vasto respiro nel Mediterraneo ed in Africa che larga parte dell'opinione pubblica italiana sognava. Agitando un programma conciliazionista, si ripresentò alle elezioni per la XVI legislatura, con un manifesto elettorale che non lasciava spazio a possibili fraintendimenti.
Eletto a larghissima maggioranza (oltre 10.000 suffragi contro gli appena 200 raccolti da Giosue Carducci, la cui candidatura era stata polemicamente voluta dalla massoneria), il F. volle però - coerentemente con il programma elettorale con il quale si era presentato - rassegnare le proprie dimissioni il 12 giugno 1887 in seguito alla brusca frenata posta ai tentativi di riconciliazione dall'atteggiamento del papa.
Aveva sempre nutrito scarsa fiducia nelle istituzioni parlamentari, specialmente ai fini della conciliazione con la S. Sede; per la conclusione di un accordo egli riponeva ogni speranza piuttosto nella volontà di Leone XIII e di Umberto I: a suo parere, il Parlamento non solo non rappresentava l'Italia reale, ma poteva impedire quello che la maggioranza degli Italiani desiderava, e questa convinzione lo portava ad auspicare per il Regno una struttura gerarchica analoga a quella della Chiesa e di tipo "dittatoriale", in una visione in cui si sovrapponevano motivi reazionari e garibaldini.
Ritiratosi dalle funzioni parlamentari, prese ad occuparsi con maggiore impegno dei suoi possedimenti in Calabria; nelle vaste tenute "Ferdinandea" e "Mongiana", già appartenute ai Borboni ed acquistate qualche anno prima ad un prezzo estremamente vantaggioso, il F. aveva avviato grandi opere agricole e industriali.
Una grande segheria sfruttava la ricchezza di legname delle vaste foreste di Stilo; aveva miniere di gesso e di ferro;due grandi altiforni, che producevano ottima ghisa, erano stati fatti costruire da lui ex novo, così come i 32 km di ferrovia ed i 5 di funicolare che permettevano il trasporto del minerale estratto (e lavorato) e del legname dalle tenute alla spiaggia di Monasterace (dove aveva fatto erigere un piccolo porto commerciale): il complesso, nel suo insieme, forniva lavoro a circa 2.000 dipendenti.
Le ingenti spese di costruzione e sviluppo degli impianti erano state affrontate grazie a cospicui mutui ottenuti dalla Banca nazionale toscana e da quella Romana. Al momento del clamoroso scoppio dello scandalo di quest'ultima (dicembre 1892), il nome del F. ricorse più volte: il credito da lui ottenuto (5.000.000 di lire) rappresentava una delle più grandi operazioni finanziarie della banca e furono sollevate molte perplessità sulle modalità e la convenienza della concessione.
Nonostante fossero state salvate le apparenze (erano state ordinate perizie tecniche che avevano stimato attorno ai 20.000.000 di lire il valore del complesso, che venne così coperto da regolare ipoteca), la commissione dei sette che il 4 nov. 1893 emise la sentenza sul complicato scandalo bancario appurò che il prestito era stato concesso da B. Tanlongo - all'epoca direttore dell'istituto di emissione - dietro raccomandazioni di notevoli esponenti del mondo politico: B. Chimirri, L. Luzzatti, A. di Rudini, G. Nicotera e G. Giolitti, ma non ritenne di dover procedere contro il F., limitandosì a deplorare le intromissioni che lo avevano favorito.
In tutta la vicenda questi non svolse un ruolo passivo, ma querelò quei giornali che lo avevano accusato con insistenza ed intentò causa civile contro la neonata Banca d'Italia, che non voleva riconoscere il precedente impegno della Banca romana (dei 5.000.000 di lire concessi dal Tanlongo il F. ne aveva riscosso solo 3.800.000), avvalendosi in questa sua opera del sostegno di due quotidiani: Il Torneo e Il Parlamento. Il primo era un giornale da lui stesso fondato e diretto che si proponeva di fornire al pubblico "sei opinioni diverse nella polemica continua, fecondata dal buon sangue, dal rispetto reciproco e dall'amicizia", ma che in realtà rifletteva il disorientamento politico diffuso nel paese; nato nel maggio del 1892, dopo appena sette mesi scomparve di scena, nonostante le firme prestigiose che poteva vantare (vi collaboravano infatti L. Lodi e G. Turco - entrambi propugnatori di una rifondazione della Sinistra - e B. Avanzini, legato, come il F., alla Destra). Il Parlamento era invece un foglio d'informazione e di critica dell'attività delle due Camere che si stampò dal 1892 al 1894 e che per tutta la durata dello scandalo della Banca romana appoggiò Giolitti.
Sofferente per una fastidiosa forma di nefrite, il F. si distaccò progressivamente dalla politica attiva (l'ultimo suo intervento di un certo rilievo può essere considerato l'articolo La Costituente, apparso sulla Nuova Antologia del 16 maggio 1900, in cui ribadiva la propria avversione per il Parlamento italiano, auspicando una limitazione dei suoi poteri), per ritirarsi nella natia Calabria.
Si spense nella notte tra il 19 ed il 20 nov. 1910 nella sua casa di Copanello (frazione di Staletti).
Oltre agli scritti citati, ricordiamo: A proposito dei provvedimenti finanziari. Idee di un agricoltore e pescatore, Roma. s.d. [ma 1894]; Statuto per la istituzione di una colonia di pescatori e agricoltori nel golfo di Squillace, ibid. 1894; Cinque lettere con le quali A. Fazzari ha inviato lo statuto per la colonia nel Golfo di Squillace, ibid. 1894; Il matrimonio annullato di Garibaldi, ibid. 1909.
Fonti e Bibl.: T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Terni 1890, pp. 449 s.; A. Giovannetti, A. F. nelle sue lettere e nei suoi atti. Note e ricordi dal 1877 al 1892, Roma 1892; P. Romano-E. Martire, Il garibaldino che portò la profezia della conciliazione. Carteggio Amelli-Fazzari, in Rassegna romana, VI (1934), pp. 217-230; N. Quilici, Fine di secolo. Banca romana, Milano 1935, passim; D. Larussa, A. F., in Almanacco calabrese, 1959, pp. 115-120; F. Fonzi, Documenti sul conciliatorismo e sulle trattative segrete fra governi italiani e S. Sede dal 1886 al 1897, in Chiesa e Stato nell'Ottocento. Miscellanea in onore di P. Pirri, a cura di R. Aubert - A. M. Ghisalberti - E. Passerin d'Entrèves, Padova 1962, pp. 167-242, passim; P. Borzomati, Aspetti religiosi e storia del movimento cattolico in Calabria (1860-1919), Roma 1967, pp. 94, 98 s., 168, 184; F. Spezzano, La lotta politica in Calabria (1861-1925), Manduria 1968, pp. 24-27, 124 s., 164, 166-168; E. Vitale, La riforma degli istituti di emissione e gli "scandali bancari" in Italia. 1892-1896, Roma 1972, I, pp. 105, 119 e n., 125 s., 208, 216, 243; II, pp. 246, 267, 277, 309, 313; III, pp. 19, 246, 261 s., 267-70, 375 s., 578.