SACCHI, Achille
– Nacque a Marmirolo, nel Mantovano, il 1° luglio 1827, da Lazzaro e da Anna Mori, ultimo di undici figli.
All’epoca della sua morte, nel 1830, Lazzaro aveva da qualche tempo abbandonato la professione di farmacista, tradizionale nella famiglia, per impiegarsi come amministratore dei beni della facoltosa famiglia Villani.
A Mantova, nei primi anni Quaranta, Sacchi frequentò il ginnasio e il liceo. Nel 1845 si iscrisse alla facoltà di medicina dell’Università di Pavia, dove fu conquistato alle idee e all’organizzazione di Giuseppe Mazzini. Nel 1848, interrotti gli studi, militò in varie formazioni di volontari. Accorso alla difesa di Roma, il 30 giugno 1849, a Porta San Pancrazio, venne gravemente ferito.
Alla fine del 1850 fu tra i patrioti che diedero vita alla cospirazione mazziniana nota come congiura di Belfiore. Scoperta che fu la trama, alla fine di aprile del 1852 Sacchi riparò in Piemonte. Prima della fuga, riuscì tuttavia a laurearsi presso l’Università di Padova discutendo il 30 marzo una dissertazione intitolata Un cenno sulla unità della scienza applicata alla medicina.
Contro gli empirici il candidato sostenne anzitutto che la medicina non sarebbe potuta rimanere estranea al dominio della scienza, rifiutando un metodo d’indagine inteso alla enucleazione di leggi; riconosceva in secondo luogo che un esame dei fenomeni condotto alla luce della sola ragione era destinato a metter capo al materialismo, ma si diceva insoddisfatto di tale approdo lamentando che il materialismo si traducesse «nel campo degli atti, colla vittoria, ahi troppo frequente, dell’utile sull’onesto» (Un cenno..., 1852, p. 9).
L’adesione di Sacchi al mazzinianesimo fu dunque propiziata dall’identificazione con lo spiritualismo dell’‘apostolo’ prima che dalla condivisione del suo progetto politico.
Espulso dagli Stati sardi dopo la fallita insurrezione milanese del 6 febbraio 1853, trovò rifugio a Zurigo, nella casa di Luisa Riva vedova Casati, facoltosa patriota comasca, che in quegli anni offrì ospitalità e aiuto a numerose personalità di primo piano del partito mazziniano. Qui destò l’interesse di Elena, figlia terzogenita di Luisa, allora diciannovenne. Rientrato a Genova, collaborò con Agostino Bertani in occasione dell’epidemia di colera del 1854. Tra i due si strinse in quei frangenti una saldissima amicizia.
A Genova nel 1857 rivide Elena che, ribellatasi dopo la morte della madre alla tutela del bigotto Francesco Riva, zio materno, si era trasferita nella città ligure per collaborare alla preparazione dell’impresa di Carlo Pisacane. Innamoratisi, i due giovani si sposarono a Como il 7 giugno 1858 con rito religioso: ciò per consiglio di Mazzini e nonostante le resistenze di Elena. Fu un matrimonio tenuto vivo sino alla fine da un amore appassionato e caratterizzato dall’uguaglianza tra i coniugi. A Genova nel 1857 Elena e Achille allacciarono con Jessie White e Alberto Mario un’amicizia che divenne nel tempo sempre più forte.
Dopo il matrimonio i Sacchi si trasferirono a Pisa, nella cui università Achille era stato chiamato a insegnare mineralogia. Nel 1859, convinto che i repubblicani dovessero aver parte nella nuova guerra contro l’Austria, si arruolò nel corpo dei Cacciatori delle Alpi e fu aggregato al servizio sanitario diretto da Bertani. Nella primavera e nell’estate dell’anno seguente si adoperò, su incarico dello stesso Bertani, per organizzare nell’Italia centrale una spedizione che penetrasse da nord nello Stato pontificio. Fallito il progetto, raggiunse in Sicilia l’esercito garibaldino e in settembre combatté nella battaglia del Volturno.
Il 25 giugno 1861 scrisse a Giuseppe Garibaldi, ritiratosi a Caprera dopo la liquidazione dell’esercito meridionale, per esortarlo a riprendere l’iniziativa associando a sé Mazzini e Carlo Cattaneo, i quali costituivano – così scriveva – «l’unità della grand’anima del popolo italiano» (Rinaldi, 1927, p. 44). L’anno seguente, in occasione del tentativo di Aspromonte, incitò i romani a insorgere.
Dopo la guerra del 1866, alla quale Sacchi partecipò al comando di un corpo medico ausiliario del contingente garibaldino, i Sacchi stabilirono la loro residenza a Mantova, infine unita al Regno d’Italia. Con le elezioni amministrative del dicembre 1866 egli entrò a far parte del Consiglio comunale, di cui fu membro fino al 1887. Nel 1869, a commento del discorso che il 17 marzo Roberto Ardigò aveva dedicato a Pietro Pomponazzi nel teatro Scientifico di Mantova, pubblicò due articoli che testimoniavano del suo approdo ideale. Nel primo sostenne che chi come Ardigò proclamava l’indipendenza della ragione nella scienza e respingeva le pretese della metafisica non potesse continuare a vestire l’abito talare, tantomeno all’interno di una Chiesa che con il Sillabo aveva ribadito il dogmatismo caratteristico della propria dottrina (Il discorso del professor Ardigò, 1869).
Nel 1871 Sacchi fu tra i promotori della Provincia di Mantova (uscita dal 1° giugno 1872 al 31 marzo 1874); la direzione fu affidata ad Alberto Mario, che diede al quotidiano un indirizzo apertamente federalista.
Pur convinto che occorresse attribuire ampi poteri autonomi ai comuni e alle province, Sacchi non si pronunciò mai a favore del federalismo; quanto al resto, da tempo condivideva quasi completamente gli orientamenti di Mario che caratterizzavano il giornale: la rivendicazione delle libertà e del suffragio universale; l’intransigenza repubblicana con l’esclusione di qualsiasi forma di partecipazione alla vita parlamentare; la polemica contro l’oppressione clericale e la battaglia per un’istruzione pubblica, gratuita e laica; l’impegno per il miglioramento delle condizioni di vita delle classi popolari, ma insieme la difesa del diritto di proprietà e della libertà di iniziativa economica; il rifiuto della lotta di classe e dunque la polemica contro l’Internazionale.
Dal 1867 al 1874 prestò la sua opera come assistente presso la sezione manicomiale del Civico ospedale, di cui fu primario dal 1879 fino alla morte. In una relazione del 1873, Sacchi e il suo amico e collega Vincenzo Giacometti sostennero l’esigenza di una nuova sede per il manicomio che contemplasse spazi da adibire al lavoro e alla vita all’aria aperta dei ricoverati ed espressero la loro contrarietà all’ipotesi di un trasferimento dei malati mantovani al manicomio di Reggio Emilia, ritenendo che una simile soluzione non avrebbe incoraggiato le famiglie a quella collaborazione di cui la cura si sarebbe potuta notevolmente giovare.
La maggior parte dei ricoverati nel manicomio di Mantova era costituita da pellagrosi. Nel 1878 Sacchi fu relatore della commissione sulla pellagra istituita dal Consiglio provinciale e presieduta da Giacometti.
Di contro alla teoria che identificava la causa del morbo in funghi tossici tendenti a svilupparsi nel mais non adeguatamente essiccato e conservato, lo studio di Sacchi, fondato su una rigorosa ricerca epidemiologica, ne attribuiva la responsabilità all’alimentazione esclusivamente maidica dei braccianti disobbligati (la categoria più colpita), supponendo nel granoturco un’insufficienza di principi nutritivi. L’interpretazione della pellagra come male della miseria era corroborata dalla dimostrazione della stretta relazione tra i progressi della malattia e il peggioramento dell’alimentazione dei braccianti, questo a sua volta ricollegato alla proletarizzazione crescente dei contadini e alla diffusione delle grandi affittanze. L’audace proposta, avanzata dal relatore, di scorporare dai fondi medi e grandi un sesto della loro superficie al fine di costituire piccoli poderi da assegnare in affitto ai braccianti disobbligati venne respinta a maggioranza dal Consiglio provinciale. Quanto all’eziologia, le conclusioni di Sacchi furono oggetto delle critiche di Cesare Lombroso, il più autorevole dei sostenitori della teoria del mais guasto (definitivamente confutata nel 1937 dalla scoperta che a causare la pellagra era la carenza di acido nicotinico).
Consapevole delle miserevoli condizioni di vita dei braccianti, Sacchi giunse a riconoscere una positiva funzione all’utopia «scritta sulla bandiera internazionalista» (La pellagra..., a cura di R. Salvadori, 1967, p. 88) e otto anni dopo, nella sua deposizione al processo che si celebrò a Venezia nel 1866 contro gli organizzatori del moto de la boje!, salutò nell’agitazione la «manifestazione di un primo svegliarsi della coscienza dei nostri contadini alla dignità umana» (La boje!..., a cura di R. Salvadori, 1962, p. 167). Se all’epoca esponenti famosi della democrazia risorgimentale mantovana apparivano ormai conquistati alla prospettiva socialista dell’autonomia culturale e politica del proletariato agricolo, Sacchi fu sicuramente tra coloro che, pur non oltrepassando quella soglia, più vi si avvicinarono.
Già gravemente malato, nella seduta pubblica dell’Accademia Virgiliana del 17 dicembre 1889 commemorò Giacometti, scomparso l’anno prima.
Dall’ammirata illustrazione dell’operosità scientifica, professionale e sociale dell’amico egli trasse in quell’occasione lo spunto per ribadire la propria convinzione che il perfezionamento degli uomini, di cui la scienza era l’organo irrinunciabile, non potesse compiersi dall’individuo isolato, ma solo in virtù dell’associazione: di questo modo di pensiero, lontano dal meccanicismo materialistico, Sacchi era debitore soprattutto a Cattaneo, esplicitamente chiamato in causa nella commemorazione. Nella prima parte del discorso, ripercorrendo la carriera scolastica di Giacometti, Sacchi illustrò il proprio ideale di un’istruzione imperniata sullo studio autonomo e sulla ricerca personale.
Al pari di Elena, Sacchi ebbe molto a cuore le questioni pedagogiche ed entrambi profusero una gran parte delle loro energie nella formazione di dieci figli (sei maschi e quattro femmine, fra le quali le emancipazioniste e suffragiste Ada e Beatrice), mentre altri tre morirono in tenera età. A tutti e tutte loro fu impartita un’educazione non religiosa, informata all’amore della patria, della scienza e del progresso e ai principi dell’uguaglianza, della tolleranza e della fratellanza. Tutti (escluso uno soltanto) conseguirono la laurea.
Sacchi morì a Mantova il 17 marzo 1890.
Scritti e discorsi. Tra gli scritti editi di Sacchi si segnalano: Un cenno sulla unità della scienza applicata alla medicina, Padova 1852 (dissertazione di laurea); Il discorso del professor Ardigò, in Ragione e lavoro, 5 maggio 1869; Cattolicismo e razionalismo, ibid., 3 giugno 1869; La quistione del manicomio provinciale mantovano. Relazioni dei medici Vincenzo Giacometti ed A. S., Mantova 1873; Dott. Vincenzo Giacometti. Commemorazione fatta dal socio dott. A. S. nella seduta pubblica del 17 novembre 1889, in Atti e Memorie della Reale Accademia Virgiliana di Mantova, biennio 1889-90, Mantova 1891, pp. 39-58; La pellagra nella provincia di Mantova, a cura di R. Salvadori, Milano 1967. La deposizione al processo de la boje! è in La boje! Processo dei contadini mantovani alla Corte d’Assise di Venezia, a cura di R. Salvadori, Milano 1962, pp. 165-176.
Fonti e Bibl.: Gli archivi della famiglia di Achille Sacchi ed Elena Casati sono divisi in tre sezioni: la prima, conservata a Bologna, è di proprietà degli eredi di Giacomo Cattaneo; la seconda è di proprietà di Alberto Mario Simonetta e si trova a Firenze; la terza, già di Chiara Sacchi, è ora proprietà dell’Istituto mantovano di storia contemporanea (IMSC), dove sono conservate e consultabili anche le riproduzioni digitali delle carte delle prime due sezioni. Tra queste, numerosi sono i documenti relativi ad Achille e in particolare le lettere a lui indirizzate da esponenti del movimento garibaldino e del partito mazziniano (lettere a e di Mazzini e Garibaldi sono conservate anche presso il Museo centrale del Risorgimento di Roma), da uomini politici, da scienziati, da medici, dalla moglie e dai figli, da pazienti e da conoscenti. Molte notizie relative alle famiglie di Elena e Achille si trovano in I Sacchi di Mantova. Una grande famiglia italiana, a cura di R. Sacchi, Bologna 1997. Molto utile resta tuttora E. Rinaldi, A. S. Il medico che si batte (1827-1896), Modena 1927, nuova edizione con aggiunte a cura di B. Sacchi e lettere di Giuseppe Mazzini, Mantova 1977. Su Elena Casati: C. Volpati, Elena Casati Sacchi, la moglie del «medico che si batte», in Rassegna storica del Risorgimento, XVII (1930), 3, pp. 1-32. Di recente la vita e l’opera di Elena, di Achille, dei figli e delle figlie sono stati oggetto di un rinnovato interesse: La nazione dipinta. Storia di una famiglia tra Mazzini e Garibaldi, a cura di M. Bertolotti con la collaborazione di D. Sogliani, Milano 2007; La repubblica, la scienza, l’uguaglianza. Una famiglia del Risorgimento tra mazzinianesimo ed emancipazionismo, a cura di C. Bertolotti, Milano 2012.