Acqui
(lat. Aquis, Aquae Statiellae, Aquae Statiellorum; od. Acqui Terme)
Città del Piemonte in prov. di Alessandria. Il municipium romano di Aquae Statiellae, fiorito soprattutto in virtù delle sue celebrate fonti termali, divenne sede episcopale nella seconda metà del sec. 4°, presumibilmente con il vescovo Maggiorino. Le fonti scritte e ritrovamenti occasionali permettono di identificare almeno due necropoli paleocristiane, la prima in prossimità della chiesa di S. Pietro, nella zona occidentale della città, la seconda all'estremità opposta, in corrispondenza dell'odierna piazza Conciliazione. Dal sec. 10° cominciò a consolidarsi l'autorità feudale del vescovo, insignito di sempre più vaste giurisdizioni territoriali, confermate alla Chiesa acquese dai diplomi imperiali di Ottone I (972), Ottone II (978), Ottone III (996) ed Enrico II (1013). Figura emblematica dell'acquisito prestigio fu il vescovo Guido (1034-1070), cui si debbono ascrivere la riorganizzazione dell'assetto plebano all'interno della diocesi, la riforma spirituale del clero locale, la fondazione e la dotazione di alcuni monasteri suburbani, nonché il compimento della nuova cattedrale.Il potere vescovile subì un sensibile ridimensionamento in parallelo con la graduale affermazione delle libertà comunali. La codificazione degli ordinamenti civici risale al 1277 (Statuta vetera Civitatis Aquis). Dal 1278 A. passò nell'ambito del marchesato di Monferrato (cui sarebbe appartenuta per oltre quattro secoli, fino all'estinzione di quello stato) pur conservando notevoli autonomie giuridiche e istituzionali, presupposte d'altronde già dallo strumento di dedizione della comunità al marchese Guglielmo VII (Moriondo, II, 1790, coll. 38-43). Le invasioni e le scorrerie barbariche dapprima di Burgundi, Ostrogoti e Longobardi, quindi di Saraceni e Magiari, sembrerebbero aver condizionato la stessa disposizione dell'insediamento altomedievale, progressivamente ritiratosi per motivi di difesa dalla pianura del torrente Medrio alle pendici del vicino colle. L'abitato medievale comprendeva due nuclei distinti, separati da un ramo del Medrio, il cui alveo venne ricoperto nel 1781 per dar luogo alla via Nuova, oggi corso Italia: alla sinistra di questo era l'insediamento fortificato, formato da due borghi (detti poi Borgo Pisterna e Borgo Nuovo), disposti in declivio sul colle; alla destra, il Borgo San Pietro, più antico, rimasto sguarnito sino alla fine del 15° secolo. Sulla sommità dell'altura sorgeva il castello, ricordato già nel sec. 11°, di cui restano imponenti strutture, risalenti a ricostruzioni del 16°-17° secolo. Della prima cinta muraria, medievale, non rimangono tracce apparenti, salvo qualche testimonianza rimaneggiata di alcune porte urbiche: l'arco che scavalca la salita della Sclavia, il sottopasso della torre civica (corrispondente alla porta Bulientis, dal nome della sorgente calda), entrambe nel tratto occidentale, e infine il fornice archiacuto della porta Nizza (già porta Pisterna), a metà della cortina settentrionale. Il successivo giro di mura, previsto nel 1446 in estensione del circuito precedente, venne cominciato nella seconda metà del secolo e sensibilmente ampliato, sino a circoscrivere anche il Borgo San Pietro: secondo le fonti, il tracciato completo delle fondazioni risultò compiuto nel 1491.
La trama viaria del nucleo rivela a tratti, specie nel Borgo Pisterna, la matrice medievale dei percorsi, con un impianto avvolgente degli isolati e brevi traverse radiali convergenti sulla piazza della cattedrale. Accorpamenti successivi e modificazioni del tessuto abitativo hanno alterato sensibilmente le unità edilizie originarie, restringendo a sporadici esempi le testimonianze monumentali di età medievale (per es. il portale di palazzo Radicati-Talice, la casaforte c.d. 'palazzo della Chiesa' e i resti del complesso conventuale dei Minori Osservanti). Le strutture termali romane, ricordate già da Paolo Diacono (Historia Langobardorum, II, 16) e da Liutprando da Cremona (Antapodosis, II, 43, 30), furono utilizzate durante tutto il Medioevo e vennero in seguito progressivamente sostituite; una fonte in proposito è costituita da una descrizione di Bartolomeo Viotti (1552).
La chiesa di S. Pietro, che sorge al centro del borgo omonimo, è stata restituita a una discutibile fisionomia medievale da consistenti integrazioni dovute ai restauri di questo secolo (1927-1930). Di fondazione paleocristiana, essa fu chiesa cimiteriale extra muros e in seguito, presumibilmente fino allo scorcio del primo millennio, chiesa cattedrale; già dall'origine vi erano sepolti i vescovi acquesi, come ricordava un documento del sec. 11° trascritto nei Solatia del Pedroca (cc. 209-210). Sotto il vescovado di Dudone (1023-1033) vi furono insediati i Benedettini e i canonici vennero trasferiti alla nuova cattedrale di S. Maria. Decaduta con le commende, la chiesa fu rimaneggiata fra il 1718 e il 1720, ricavandovi l'oratorio dell'Addolorata in corrispondenza della nave centrale, mentre le parti restanti furono gradualmente occupate da abitazioni civili e da botteghe. Le strutture esistenti definiscono un impianto basilicale allungato, a tre navate ripartite da massicci pilastri di sezione rettangolare, a spigoli smussati. Esse proseguono nel presbiterio sopraelevato, probabilmente provvisto in origine di cripta, e terminano in absidi, di cui la centrale mostra all'esterno un andamento semicircolare e le laterali un tracciato poligonale. L'interno aveva in origine una copertura lignea a capriate, a esclusione della campata della nave mediana antistante l'abside, voltata a botte. L'assetto generale è difficilmente giudicabile per le eccessive integrazioni in stile. Le parti meglio documentate - zona absidale e alzato della nave centrale - dichiarano momenti edilizi diversi: alle absidi, scandite all'esterno da arcature appiattite e costruite alla fine del sec. 10°, seguì il corpo, percorso da slanciate lesene collegate da coppie di archetti. Importanti tracce decorative di rivestimento dei pilastri ottagoni con girali a fogliami e motivi nastriformi, nonché pitture sull'arco trionfale, sono andate perdute (Gabrielli, 1935; 1944; 1975) e così dispersi frammenti decorativi tra cui stucchi, probabilmente del sec. 11° (Verzone, 1941-1942).
La chiesa di S. Maria corrisponde alla nuova cattedrale eretta poco al di sotto del castello, forse su un edificio cultuale precedente. Essa viene concordemente assegnata dalle fonti al vescovo Guido, che ne concelebrò la consacrazione nel 1067 (Moriondo, II, 1790, col. 99), ma fu probabilmente fondata dal predecessore Primo (989-1018), al quale viene attribuita esplicitamente da un documento la costruzione di una chiesa episcopale (Pedroca, Solatia, c. 209). A Guido spetterebbe dunque il merito di aver proseguito, forse ampliato e comunque compiuto, una fabbrica di tanto impegno, come ricorda anche l'epigrafe votiva sul pavimento musivo originario, parzialmente recuperato nel 1845 durante il rifacimento della pavimentazione presbiteriale (ora a Torino, Mus. Civ., Mus. d'Arte Antica): "[Hoc opus a d](omi)no Widone pontifice vir[o] prudentissimo [W] / idone [per] om(n)ia laudabili et ob(servan)t(issim)o c[ompletum. Anno incarnationis Domini nostri] / IHV X[PI ML]XMO VII indictione V[I] [- - -]".
Tra la fine del sec. 16° e la metà del 17° la costruzione del portico antistante (1620) e l'aggiunta delle cappelle laterali modificarono l'aspetto primitivo della chiesa, pur senza intaccare radicalmente la fabbrica medievale, evidente nel transetto, nel capocroce e negli alzati esterni. L'impianto definitivo del sec. 11° prevedeva un grandioso schema basilicale a tre navate concluse da tre absidi, interrotto prima dell'ultima campata da un ampio transetto sporgente, provvisto in origine di altre due absidiole minori. Un'ossatura lignea a capriate doveva risolvere la copertura dell'interno, come sembra suggerire la forma dei pilastri. Sotto il presbiterio, notevolmente rialzato, si sviluppa la vastissima cripta, estesa anche in corrispondenza dei bracci del transetto. Al di là dell'eterogeneità dei materiali impiegati - parte di recupero, come i fusti di molte colonnine, spesso adattati con rocchi aggiunti, parte coevi, come i capitelli a dado scantonato alla base - la fitta maglia di campatelle denuncia due fasi costruttive distinte, entrambe però del sec. 11°: la più antica relativa all'ingombro delle tre navi, con semplici coperture a crociera, quella più tarda pertinente alle estremità del transetto, con coperture a crociera separate da sottarchi. Viene così definito un tipo di costruzione che attesta comunanze culturali tra l'Italia e i territori a Nord delle Alpi. Ci si riferisce in particolare alla planimetria, già posta in relazione con la chiesa normanna di Notre-Dame di Bernay da Thümmler (1939), al transetto di tipo basso, diffuso nella regione del Basso Reno, e alla cripta a sala di grande estensione relazionata a quella dell'abbaziale di Abbadia San Salvatore al Monte Amiata (1036) e della cattedrale di Gerace (sec. 11°), ma anche e soprattutto a quella del duomo di Spira. All'esterno, la massa muraria realizzata in pietra apparecchiata si presenta relativamente spoglia, percorsa soltanto dal fregio ad archetti pensili sotto la linea di gronda e cadenzata a tratti da sottili lesene. Tale partito decorativo, intensificato nelle absidi laterali, risulta sostituito in quella centrale da un coronamento più complesso di archetti a duplice ghiera e fasce sovrapposte a denti di sega e zig-zag, apparentemente successivo.
I rimaneggiamenti post-tridentini hanno risparmiato scarsi frammenti di decorazione medievale sia plastica, sia pittorica. Restano una acquasantiera romanica a bacile con protomi umane, murata nel fianco dell'ingresso laterale nord alcuni frammenti scultorei, in parte conservati nel rinnovato chiostrino quattrocentesco e in parte inseriti sul fronte del palazzo episcopale (due lastre con tre figure di santi ciascuna, fra cui s. Guido), ora giustamente ricondotti (Rebora, 1986) alla dotazione ornamentale inviata da Albenga nel 1453 (Moriondo, I, 1789, coll. 404-405); un notevole lacerto a fresco (sec. 11°) rinvenuto sull'arco trionfale in occasione degli ultimi restauri, con la testa di un giovane interpretato come Caino per l'attributo delle spighe che regge in mano (Spantigati, 1979). Di recente è stato liberato dagli scavi un grande sarcofago ad arca, in granito, di esecuzione medievale, del tutto simile a quello conservato nella cripta, tradizionalmente assegnato a s. Guido vescovo. Il citato mosaico del 1067 a tessere bianche e nere lascia intuire un'ampia composizione originaria, caratterizzata da campi separati, con motivi ornamentali a greca e numerose figurazioni allegoriche e simboliche. Tra le opere più tarde presenta caratteri ancora gotici un frammento di affresco con profeti.
Bibliografia
Fonti inedite:
G. Pedroca, Solatia Sacrosanctae Aquensis Ecclesiae, ms. del 1628, Acqui Terme, Arch. Curia Vescovile.
Fonti edite:
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Liutprando da Cremona, Antapodosis, in Scriptores Rerum Germanicarum in usum scholarum, a cura di J. Becker, Hannover-Leipzig 19153 (rist. anast. Hannover 1977), pp. 1-158;
Statuta vetera Civitatis Aquis, a cura di G. Fornarese, Alessandria 1905 (rist. anast. Bologna 1971);
B. Viotti (ps. Bartholomaeus a Clivolo) De Balneorum naturalium viribus libri quatuor..., Lyon 1552, pp. 1-69;
L. P. Blesi, Acqui città antica del Monferrato..., con alcune aditioni del molto reverendo P. Antonio Ruba, Tortona 1614 (rist. anast. Bologna 1971);
V. Malacarne, Della città e degli antichi abitatori di Acqui (Ozii Letterari, 2), Torino 1787 (rist. anast. Bologna 1971), pp. 85-263;
G. B. Moriondo, Monumenta Aquensia, I-II, Torino 1789-1790, III, Indice, a cura di F. Savio, Torino 1900 (rist. anast. Bologna 1967).
Letteratura critica:
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id., Appendice alla Storia Acquese, Tortona 1820 (rist. anast. Bologna 1967);
V. Promis, Musaico con epigrafe nel Museo d'antichità di Torino, in Commentationes philologiae in honorem Theodori Mommseni, Berlin 1877, pp. 644-645;
A. Fabretti, Musaico di Acqui nel R. Museo di Antichità di Torino, Atti della Società di Archeologia e Belle Arti per la provincia di Torino 2, 1878, pp. 19-30;
O. Iozzi, Il Piemonte Sacro. Storia della Chiesa Acquese e dei Vescovi d'Acqui, I, Acqui 1880 (rist. anast. Bologna 1971);
id., Mosaico scoperto nel Duomo d'Acqui e donato dal Rev. Capitolo alla R. Casa, in Lapidi rinvenute nell'agro di Acqui Staziella illustrate, a cura di E. Bettucci, Macerata 1884, pp. 47-56;
G. Lavezzari, Storia d'Acqui, Acqui 1888 (rist. anast. Bologna 1971);
F. Savio, Gli antichi vescovi d'Italia dalle origini al 1300. Il Piemonte, Torino 1898, pp. 9-48;
A. K. Porter, Lombard Architecture, II, New Haven 1916, pp. 14-30;
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