acquisizione dell’italiano come L2
L’acquisizione dell’italiano come lingua seconda (L2) è un processo graduale che si innesta sul processo di acquisizione, avviato in tenera età, di un’altra lingua (detta lingua prima o L1). L’italiano come L2 può affiancarsi ad altre L2 che condividono il fatto che il processo di acquisizione è posteriore a quello della L1, quale che sia l’età in cui è cominciato.
L’acquisizione di una L2 è un processo naturale e spontaneo innescato dai bisogni comunicativi che un parlante deve affrontare nella comunità in cui quella lingua è parlata come L1, come mostra la situazione degli immigrati in Italia. Questi, la cui presenza è stata sempre più cospicua a partire dagli anni Ottanta del XX secolo, hanno arricchito il panorama delle varietà dell’italiano con l’insieme delle loro varietà di apprendimento, che fanno parte del repertorio comunicativo (➔ repertorio linguistico) con cui si trovano a interagire anche i parlanti nativi di italiano. Lo studio dell’italiano parlato da stranieri fu avviato nel 1986 (Giacalone Ramat 1988) ed è poi continuato con la collaborazione di linguisti di diverse università nell’ambito del cosiddetto «Progetto di Pavia» (Giacalone Ramat 2003).
Il processo di acquisizione dell’italiano L2 comporta la capacità di esprimersi in maniera via via più complessa, comunicando sia con parlanti nativi di italiano, che lo parlano come L1, sia con altri parlanti non nativi, che lo parlano come L2. La capacità linguistica, che si manifesta nel crescente numero di parole, elementi grammaticali e regole per costruire frasi, si sviluppa in linea tendenziale fino a convergere con quella dei parlanti nativi e a comprendere il repertorio delle varietà di italiano o parte di esso.
I diversi stadi di sviluppo, detti anche varietà di apprendimento, sono illustrati dal racconto dello stesso episodio prodotto dallo stesso apprendente dopo un mese (1) e dopo sette mesi (2) dall’arrivo in Italia:
(1) fino Khartum – eh ++ uno + uno omo – americano – [l’uomo ha detto:] «questo qua (e) mio figlio ++ mio figlio + eh +++ Milano» ++ eh
(2) da/mh da: Kasselà [città al confine tra Eritrea e Sudan] fino Kartùm son/sono entrato con autisti no? che guidàno le macchine. Da Kartum fino Italia – son/sono arrivato con un americano. Lui ha preso a me come suo: figlio no?
All’inizio del processo di acquisizione rappresentato in (1) l’apprendente dispone solo di nomi (omo, figlio, qualche toponimo), aggettivi (americano, questo, mio) e una preposizione (fino); allo stadio più avanzato rappresentato in (2) usa anche verbi coniugati (sono entrato, guidàno), pronomi (lui, me), varie preposizioni (da, a). Le frasi in (2) si discostano però ancora da quelle di un parlante nativo.
Essenziali per il processo di acquisizione sono le interazioni collaborative con i parlanti italiano L1, che forniscono l’input per l’acquisizione di nuove regole e parole. Nel contesto scolastico l’input è programmato in base a criteri di ordine pedagogico; esso può accelerare il processo di acquisizione, che avviene in tal caso in ambiente ‘guidato’ e che può anche accompagnarsi al processo naturale in ambiente ‘spontaneo’.
Lo sviluppo dell’italiano L2 è schematizzato nella parte destra della fig. 1: lo spazio ombreggiato raffigura l’aumento della capacità linguistica e il suo avvicinamento alle varietà dell’italiano (la lingua di arrivo) in funzione della quantità delle interazioni coi parlanti nativi (asse orizzontale) e della complessificazione interna (asse verticale).
Pur impedendo processi di acquisizione in direzione delle varietà di arrivo, l’input scarso o semplificato (➔ foreigner talk) non impedisce processi di complessificazione date certe condizioni sociali, come schematizzato nella parte sinistra della fig. 1 (Vietti 2005). In queste condizioni possono nascere nuove lingue pidgin (➔ italiano come pidgin).
La presenza di input è condizione necessaria ma non sufficiente per l’acquisizione dell’italiano come L2. L’acquisizione può infatti ‘fossilizzarsi’, cioè fermarsi a un certo stadio a causa di fattori individuali, come la scarsa motivazione e gli atteggiamenti di chiusura di un apprendente nei confronti della comunità ospite. L’assenza di input può instaurarsi a qualsiasi stadio di acquisizione, per es. col ritorno dello straniero in patria, e comporta il logorio e il regresso della competenza di una L2 (e in contesto di emigrazione anche di una L1; ➔ emigrazione, italiano dell’).
I processi di acquisizione risentono in parte dell’influsso delle L1 degli apprendenti, che si manifesta nei fenomeni di interferenza di strutture della L1 sulla L2 (Weinreich 1953; ➔ interferenza). L’interferenza si riscontra in dipendenza di quattro fattori:
(a) età: gli adulti mostrano l’influsso delle strutture della loro L1 più dei bambini;
(b) stadio di apprendimento: la quantità di parole e di strutture disponibile in stadi più avanzati offre maggiori possibilità di identificazione con parole e strutture della L1;
(c) distanza tipologica tra L1 e L2: lingue vicine all’italiano, per es. lo spagnolo (Schmidt 1994), permettono di ricalcare le strutture della L1 più che lingue distanti, come il cinese (Valentini 1992);
(d) componente del sistema linguistico: più permeabile a interferenze è la fonologia (sovrapposizione di /p/ e /b/ nell’italiano di arabofoni: rebobblica «repubblica», broblema «problema»); meno permeabili, nell’ordine, il lessico (cerca la borsa ma non cerca niente «cerca la borsa ma non trova niente», nell’italiano di cinesi), la sintassi (ci sono che non riesco a capire parole «ci sono parole che non riesco a capire», con ordine frase relativa-nome come in tigrino), la morfologia (andiamos «andiamo», con trasferimento della desinenza spagnola -amos su una base verbale italiana). La relativa vicinanza tipologica tra la L1 dell’apprendente e l’italiano è riflessa in misura proporzionale nella crescente permeabilità alle interferenze di tutte le componenti del sistema linguistico.
La dinamica dei processi di acquisizione è però caratterizzata principalmente da elaborazioni autonome dell’apprendente a partire dagli elementi della L2 a sua disposizione e indipendenti dalla sua L1. Questi processi di elaborazione autonoma si manifestano in quattro modi, che ai parlanti nativi dell’italiano appaiono come errori:
(a) sovraestensioni di forme e morfemi in una gamma di funzioni più ampia dell’italiano di nativi (tu non fuma «non fumi»; lui vai «va»; vedero «vedevo» [ero come morfema di imperfetto]);
(b) formazioni analogiche (presato «preso» come andato, lavorato, ecc.; caderò «cadrò» da cadere; preferiscebbe «preferirebbe» da preferisce; superbità «superbia» da superbo come stupidità da stupido; ➔ analogia);
(c) formazioni analitiche (in la prima figura «nella prima figura»; era c’è «c’era»; avevo credo «credevo», giardino vacanza «campeggio») invece di quelle sintetiche;
(d) uso di elementi della lingua di arrivo per esprimere funzioni transitorie della varietà di apprendimento: ’l pàpa che lavoro «il papà lavora» (che marca di articolazione in Topic e Comment).
Queste manifestazioni rivelano che la ricostruzione della grammatica della L2 è guidata da principi di trasparenza, regolarità e isomorfismo (una forma = una funzione, per es., in la rispetto a nella dell’esempio precedente). I processi di elaborazione autonoma si manifestano anche nelle sequenze di sviluppo della sintassi e della morfologia, che si articolano in base alla diversa complessità semantico-nozionale delle categorie codificate nella grammatica (Berretta 1995). Le sequenze di sviluppo configurano le piste di complessificazione e di convergenza verso le varietà dell’italiano di nativi (fig. 1), che sono percorse con velocità diversa a seconda della distanza tipologica delle L1 degli apprendenti. Se la L1 è tipologicamente vicina all’italiano, l’acquisizione è favorita dall’organizzazione equipollente di settori della grammatica, per i quali l’apprendente deve imparare i mezzi di espressione usati nella L2 (per es., il genere grammaticale dei nomi da parte di apprendenti con L1 francese o tedesco). Con L1 tipologicamente distanti l’acquisizione è rallentata dalla diversa elaborazione di settori della grammatica, per i quali l’apprendente deve individuare le categorie obbligatorie in italiano oltre che acquisirne l’espressione (per es., il genere grammaticale dei nomi da parte di apprendenti con L1 persiano o cinese, lingue che non esprimono questa categoria) (Chini 1995).
L’osservazione dei processi di acquisizione dell’italiano come L2 apporta un rilevante contributo all’elaborazione di una teoria del linguaggio e alla comprensione delle regolarità universali che lo conformano (Giacalone Ramat 2009).
Nelle fasi iniziali del processo di acquisizione si succedono tre tipi di varietà di apprendimento, dette varietà prebasica, basica e postbasica, caratterizzate rispettivamente da un’organizzazione pragmatica, semantica e sintattica degli enunciati (Klein & Perdue 1997):
(a) nella varietà prebasica l’enunciato è costituito da elementi opzionali detti Topic, che agganciano l’enunciato al contesto, e dal Fuoco, l’elemento che rappresenta il contributo informativamente più importante in un contesto: e poi la cafè [Topic] che la patatinë [Fuoco] «poi al caffè [abbiamo mangiato] le patatine»; [il papà, Topic sottinteso] cinqu’anni [Fuoco] «[il papà è venuto in Italia] cinque anni fa»; festa cinese [Topic] primavera [Topic] grande festa [Fuoco] «[per quanto riguarda le] feste cinesi, in primavera [si fa] una grande festa»;
(b) nella varietà basica si delinea la prima differenziazione tra verbi e nomi. Fra questi ultimi occupa una posizione iniziale quello che indica il ‘controllore’, cioè l’entità che controlla maggiormente un evento; il verbo è in un’unica forma, scelta tra quelle còlte nell’input: il governo de tiopia vuole io militari «avrei dovuto fare il militare per l’esercito etiope [la fonte dell’atto di coercizione]». In mancanza di morfologia verbale, il riferimento temporale può essere inferito da forme avverbiali: io cina fa tècnica di labolatolio […] qua fa cameriere «in Cina ero tecnica di laboratorio, qua faccio la cameriera»;
(c) nella varietà postbasica l’instaurarsi delle prime opposizioni morfologiche nel verbo permette l’organizzazione sintattica dell’enunciato, fondato sul rapporto tra il soggetto (non più sul ‘controllore’ dell’evento) e il verbo: però io penso donne di più vanno in chiesa come uomini «ma penso che le donne vadano più in chiesa degli uomini». Si fissa così l’ordine Soggetto-Verbo-Oggetto dei costituenti maggiori della frase, come nell’italiano di nativi (➔ frasi nucleari).
L’organizzazione dell’enunciato delle tre varietà di apprendimento iniziali dispone anche di una serie di operatori avverbiali, che permettono di modulare gli enunciati rispetto al contesto: la negazione no o non permette di confutare quanto già affermato; gli avverbi di fase ancora, sempre, già, mai permettono di collocare nel tempo quanto descritto nell’enunciato; i focalizzatori anche, solo (Andorno 2000) permettono di precisare se quanto descritto nell’evento si aggiunge a quanto già detto o lo limita.
Nella varietà prebasica tutti e tre gli operatori si pongono allo snodo dell’enunciato tra Topic e Fuoco (primo mamma [Topic] – no italiana [Fuoco]) «la mamma naturale non è in Italia». Nella varietà basica si posizionano davanti al verbo (adesso in Kasselà non c’è niente ufficio «a Kassalà non ci sono uffici»; ci sono le […] chiese […] eh in Italia, anche c’è Eritrea «ci sono chiese in Italia e ce ne sono anche in Eritrea»). Nella varietà postbasica la posizione degli operatori avverbiali si differenzia in funzione dei principi di organizzazione sintattica dell’enunciato. La negazione rimane davanti al verbo come nell’italiano dei nativi, gli avverbi di fase e i focalizzatori si spostano gradualmente dopo copula e ausiliari (è sempre così, invece che quele amici sempre prendi eh sordi «quegli amici prendono sempre i soldi») e infine dopo il verbo coniugato, come previsto dalla sintassi dell’italiano (l’uomo che beva sempre liquori «[l’alcolizzato è] chi beve sempre liquori»).
La varietà postbasica si dipana in un continuum di varietà di apprendimento sempre più vicine all’italiano di nativi, come indicato dal settore ombreggiato nella parte destra della fig. 1. Nel processo di complessificazione gli enunciati si articolano tramite coordinazione e subordinazione (Berruto 2001).
Le subordinate avverbiali, che ambientano l’evento descritto nella principale, precedono le completive, che costituiscono il complemento di un predicato, e le relative, che modificano un nome (cfr. quando io vado da UPIM o da SMA io tuto prendo [∅] io vedo sì sì «… prendo tutto quello che vedo»). Le subordinate avverbiali si sviluppano secondo la sequenza: causali > temporali > finali > ipotetiche > concessive. Tale sequenza rispecchia l’asimmetria tra funzioni comunicative più basilari (perché, quando) e funzioni testualmente più elaborate (se, anche se).
Per quanto riguarda la forma, le subordinate esplicite precedono quelle implicite all’infinito. Lo sviluppo di queste ultime riflette un principio funzionale valido tra le lingue: si riscontrano nel caso di forte integrazione tra le proposizioni principale e subordinata, come nel caso delle avverbiali finali (c’era un po’ solo quelo libro per studiare «c’era solo quel libro per studiare») e delle completive di verbi modali che coinvolgono le medesime entità (tu non bisogno andare «non devi andare» ~ e ha detto che lui sa come si apre «ha detto di sapere come si apre»). Solo in varietà di apprendimento avanzate si ritrovano subordinate implicite col ➔ gerundio (avendo fretta ha messo il portafoglio in tasca), nelle quali non si ha isomorfia di forma e significato.
Nei testi narrativi si riducono via via i casi di riferimento anaforico tramite semplici nomi o omissioni di referenti inferibili dal contesto (e poi tanti tanti persone che [∅] plesto «… che me le prestano [le cassette]»), sostituiti da nomi definiti e pronomi tonici (chiedele quelo benzinaio «[il signore] ha chiesto al benzinaio»; mia mama ha deto a me «mia mamma mi ha detto») (Chini 2005). Anche negli stadi più vicini all’italiano dei nativi l’organizzazione testuale riflette l’utilizzo dei mezzi anaforici e dei principi di organizzazione dell’informazione e collaborazione discorsiva della L1, distinguendo così le varietà di stranieri nonostante l’assenza di errori morfosintattici e lessicali (Giuliano 2008).
L’assegnazione del genere ai nomi si serve delle terminazioni più frequenti: -o per il masch. e -a per il femm., talvolta sovraestese (un gioca, ombro) o ipercaratterizzate (tigro-tigra) e meno sul sesso del referente (il moglie, uno maestra). L’espressione del plurale è affidata dapprima a elementi lessicali (tutti omo, due amica) e in seguito alle terminazioni -i, -e. L’accordo di genere e numero si sviluppa secondo la sequenza: pronome di terza pers. sing. (lui, lei) > art. determinativo > art. indeterminativo > agg. attributivo > agg. predicativo e participio passato.
Coi nomi l’accordo si realizza prima all’interno del sintagma nominale (art., agg. attributivo) e solo più tardi al di fuori di esso (agg. predicativo: i capelli sono grigio).
Le forme còlte nell’input nella varietà basica si addensano sulla terza e sulla seconda pers. sing. del presente e sull’infinito, che formano il primo gradino della sequenza di acquisizione del sistema verbale, ovvero: Presente/Infinito > (Ausiliare+) Participio Passato > Imperfetto > Futuro > Condizionale > Congiuntivo.
Il sistema verbale si arricchisce lungo la sequenza sia per il numero delle forme attestate in ciascun paradigma sia per il numero di tipi lessicali che le possiedono (nell’imperfetto emergono dapprima le forme era, ero, nel condizionale vorrei e sarebbe, nel congiuntivo fosse). La forma iniziale ha dapprima un valore solo lessicale, che assume via via il valore di presente (o infinito) con l’emergere delle ulteriori distinzioni previste dalla sequenza. Il participio passato esprime dapprima il completamento di un’azione, ovvero l’aspetto (➔ aspetto) perfettivo (lava eh pentola … lavato eh pentola eh … guarda come specchio «lava la pentola, [finito di] lavare la pentola, vi si specchia»). L’imperfetto esprime il tempo passato di aspetto imperfettivo, segnala cioè lo svolgersi di azioni o il persistere di stati nel passato senza dare indicazioni circa il loro completamento (le nostre madre, le nostre padre eh amassa […] io ero bambino «hanno ammazzato le nostre madri e i nostri padri quando io ero bambino»). Oltre che per gli usi temporali, il ➔ futuro è usato per esprimere la modalità non-reale al posto del condizionale ([se avesse detto la verità] la faccia sarò giù e la schiena sarà sopra «… sarebbe stata …»).
L’arricchimento lessicale dipende in buona parte dall’utilità che certe parole hanno in relazione all’ambiente in cui l’apprendente si trova a vivere; è quindi meno prevedibile, al di là di un nucleo di parole di uso comune come lavoro, lavorare, studio, mangiare, c’è. In termini molto generali, nell’acquisizione del lessico si riconoscono due tendenze:
(a) le espressioni con valore pragmatico (sì, no; non lo so; la negazione) sono precoci perché permettono la conversazione tra apprendenti e nativi;
(b) l’acquisizione di parole con significato lessicale concreto precede quella di elementi con significato grammaticale astratto.
Per quanto riguarda le classi di parole maggiori, i nomi, che rappresentano le informazioni più importanti di un enunciato riferendosi a entità e oggetti, sembrano precedere i verbi, che hanno significati più astratti in quanto rappresentano le relazioni tra i partecipanti a un evento. Solo in fasi più avanzate il numero dei verbi si avvicina a quello dei nomi nel vocabolario degli apprendenti (Spreafico 2005).
La sequenza (b) si rileva anche tra le preposizioni: quelle con significato più concreto come con e per sono più diffuse e generalizzate di a, di, che segnalano solo rapporti grammaticali (lavora a casa con famiglia «lavora come domestica presso una famiglia»; io scritto ber Farid «ho scritto a Farid»). Per il suo significato astratto, di viene generalizzato per segnalare connessione tra costituenti (un [ʒ]ornali di sedita rabia di sciri di londra «un giornale dell’Arabia Saudita che esce a Londra»); talvolta è usato anche come articolo (loro non prendono di pillola «non prendono la pillola», leggere di arabo «leggere l’arabo») (Berruto 2008).
L’individuazione di elementi lessicali nell’input è condizionato dal contesto in cui quelli compaiono e dalla loro prominenza prosodica (➔ prosodia). Il ruolo del contesto traspare dall’attribuzione di significati non congruenti con quelli che le parole hanno nell’italiano di nativi, come in frutteto per «frutta e verdura», «fruttivendolo» (brima lui lavorava negosio di fruteto «prima lavorava da un fruttivendolo»), dall’uso che di questa parola si fa in certe insegne commerciali. La mancanza di prominenza prosodica rallenta l’acquisizione di elementi atoni: gli articoli, le forme monosillabiche del presente degli ausiliari essere e avere (sono arrivata qui […] io lavorato in statale «… ho lavorato per l’ufficio statistica»), i pronomi clitici (➔ clitici). Questi ultimi vengono acquisiti tardi e solo dopo i corrispondenti pronomi tonici (Berretta 1986); negli stadi iniziali vengono omessi (ma il uomo no ascolta «ma l’uomo non lo ascolta») o riprodotti come parte del verbo che accompagnano (soprattutto c-è, che dà luogo a formazioni analogiche quali ciono «ci sono», cerebbe «ci sarebbe»; io ce-l-ho un probl(i)ema «ho un problema»; poi l-abiamo stati sistemati lì «siamo stati sistemati»). L’organizzazione del lessico in classi di parole sembra riflettere quella dell’italiano fin dalla varietà basica, ma non sono rari casi di scambio di classe (nomi per verbi: siamo partenza «siamo partiti»; aggettivi per nomi: cinese fato media «in Cina ho fatto le medie»; avverbi per aggettivi: fratelo di-più «fratello più grande»; avverbi per nomi: alla fuori, al sopra) (Bernini 2008).
La capacità di usare l’italiano L2 per intessere rapporti interpersonali, per es., per avanzare scuse, richieste o proteste, presuppone lo sviluppo dei mezzi di espressione grammaticale e si avvia nelle fasi intermedie di apprendimento (Nuzzo 2007). Tra gli strumenti atti a mitigare la forza dei tre atti linguistici finora indagati, precoci sono quelli più espliciti (scusa, mi dispiace) e meno integrati sintatticamente, come nella formula di richiesta vorrei / potresti + verbo (vorrei cambiarme de classe «vorrei cambiare classe», potresti abbassare un po’ il volume) rispetto alla forma condizionale del verbo principale (cambierei di classe, abbasseresti il volume).
Più difficili sembrano essere i segnali discorsivi che mitigano (➔ mitigazione) la forza dell’atto (per es., magari, niente). Per la diversa disponibilità di questi strumenti e il diverso grado di convenzionalizzazione, le scuse e le richieste sembrano essere apprese prima che le proteste (➔ illocutivi, tipi). Lo sviluppo della competenza pragmatica implica il riconoscimento delle forme più adeguate a mitigare un certo atto, come l’imperfetto e il condizionale rispetto al presente nelle richieste (volevo chiederle si mi poteva dare un po’ di sale; vorrei scriverla al computer rispetto a voglio cambiare per il nove marzo).
La pronuncia dell’italiano L2 riflette l’influsso della L1 di ciascun apprendente anche in stadi di apprendimento avanzati e in misura molto variabile (Mori 2007 per gli arabofoni). La fonologia sembra pertanto essere la componente più suscettibile di fossilizzazione, oltre ad essere la componente più permeabile alle interferenze.
Tra i numerosi errori di pronuncia che rivelano la L1 dell’apprendente, i più cospicui sono quelli che comportano ipodifferenziazione, cioè che sovrappongono due fonemi dell’italiano, impoverendone l’inventario. Gli errori di ipodifferenziazione più rilevanti sono:
(a) presso apprendenti con diverse L1 la resa fricativa /s z ʃ/ delle affricate dentali /ʦ ʣ/ e dell’affricata palatale sorda /ʧ/: nasionali «nazionale», [z]ucchëro «zucchero», comerscialista «commercialista» (Celata 2004);
(b) presso arabofoni la resa /b/ anche per /p/: broblema «problema»;
(c) la sonorizzazione di consonanti sorde, soprattutto presso sinofoni: vendi quadro «ventiquattro»;
(d) presso sinofoni la resa /l/ anche per /r/: lagazze «ragazze», tle «tre»;
(e) lo scempiamento di consonanti doppie presso molti apprendenti: diferenza «differenza», tropo «molto»;
(f) presso arabofoni la resa intermedia /ɪ/ per /i/, /e/, cfr. [βɪˈnɪsja] «Venezia», [ˈʃɪta] «città».
L’accento del parlante straniero è rivelato anche da sostituzioni di foni che non vanno a intaccare le opposizioni di fonemi e non impoveriscono l’inventario, per es.:
(a) la resa dell’affricata palatale sonora /ʤ/ con la corrispondente fricativa [ʒ] presso diversi apprendenti: le[ʒ]ere «leggere»;
(b) la resa fricativa [β] dell’occlusiva bilabiale sonora /b/ presso arabofoni e ispanofoni: a[β]ere «avere».
Comuni sono anche le sostituzioni delle palatali laterale /ʎ/ e nasale /ɲ/ con i nessi /l+j/ e /n+j/, che possono essere indotte dalla pronuncia diffusa nelle varietà di italiano presenti nell’input degli apprendenti: lj-arti[ʒ]an[ɪ] «gli artigiani», njoransa «ignoranza». Per quanto riguarda la struttura sillabica delle parole (➔ sillaba), diffusa tra ispanofoni è la prostesi di a- o e- davanti a parole che cominciano per s+consonante: lo aspacca «lo spacca», espagnolo «spagnolo». Meno diffusa è l’➔aferesi di vocale iniziale: na volta «una volta». All’interno di parola si riscontra talvolta la riduzione o l’assimilazione di r in coda di sillaba presso diversi apprendenti (➔ indebolimento): fose «forse», pallale «parlare».
A livello sovrasegmentale si notano ritrazioni di accento in parole tronche (cìta «città») e, presso apprendenti di lingua tigrina, l’avanzamento dell’accento sulla penultima sillaba nelle forme di terza persona del presente indicativo (guidàno, amassàno «ammàzzano»), che ricostituisce lo stesso schema parossitono per tutto il paradigma del presente. L’osservazione di ipercorrettismi (cena per «scena»; ➔ ipercorrettismo) e del rapporto tra rese ipodifferenziate e corrette permette di ipotizzare presso apprendenti arabofoni la sequenza di sviluppo /v/ > /ʧ/ > /ʦ/ > /ʣ/, /ʤ/ > /p/: v è acquisita velocemente, p molto più tardi (Bernini 1988). Ciò dimostra la presenza di processi di elaborazione autonoma anche in fonologia, benché oscurati dalla permeabilità alle interferenze.
Andorno, Cecilia (2000), Focalizzatori fra connessione e messa a fuoco. Il punto di vista delle varietà di apprendimento, Milano, Franco Angeli.
Bernini, Giuliano (1988), Questioni di fonologia nell’italiano lingua seconda, in L’italiano tra le altre lingue. Strategie di acquisizione, a cura di A. Giacalone Ramat, Bologna, il Mulino, pp. 77-90.
Bernini, Giuliano (2008), Classes de mots en italien L2: les adverbes, «Acquisition et interaction en langue étrangère» 26, pp. 113-128.
Berretta, Monica (1986), Per uno studio dell’apprendimento dell’italiano in contesto naturale: il caso dei pronomi atoni, in L’apprendimento spontaneo di una seconda lingua, a cura di A. Giacalone Ramat, Bologna, il Mulino, pp. 329-352.
Berretta, Monica (1995), Morphological markedness in L2 acquisition, in Iconicity in language, edited by R. Simone, Amsterdam, Benja-mins, pp. 197-233.
Berruto, Gaetano (2001), L’emergenza della connessione interproposizionale nell’italiano di immigrati. Un’analisi di superficie, «Romanische Forschungen» 113, pp. 1-37.
Berruto, Gaetano (2008), Ai margini delle interlingue, in Diachronica et Synchronica. Studi in onore di Anna Giacalone Ramat, a cura di R. Lazzeroni et al., Pisa, ETS, pp. 87-109.
Celata, Chiara (2004), Acquisizione e mutamento di categorie fonologiche. Le affricate in italiano, Milano, Franco Angeli.
Chini, Marina (1995), Genere grammaticale e acquisizione. Aspetti della morfologia nominale in italiano L2, Milano, Franco Angeli.
Chini, Marina (2005), Reference to person in learner discourse, in The structure of learner varieties, edited by H. Hendriks, Berlin, Mouton de Gruyter, pp. 65-110.
Giacalone Ramat, Anna (a cura di) (1988), L’italiano tra le altre lingue. Strategie di acquisizione, Bologna, il Mulino.
Giacalone Ramat, Anna (a cura di) (2003), Verso l’italiano. Percorsi e strategie di acquisizione, Roma, Carocci.
Giacalone Ramat, Anna (2009), Typological universals and second language acquisition, in Universals of language today, edited by S. Scalise, E. Magni & A. Bisetto, Berlin, Springer, pp. 253-272.
Giuliano, Patrizia (2008), La coesione discorsiva in lingua prima e in lingua seconda: un confronto tra lingue romanze e lingue germaniche, in Competenze lessicali e discorsive nell’acquisizione di lingue seconde. Atti del convegno (Bergamo, 8-10 giugno 2006), a cura di G. Bernini, A. Valentini & L. Spreafico, Perugia, Guerra, pp. 341-354.
Klein, Wolfgang & Perdue, Clive (1997), The basic variety (or: Couldn’t natural languages be much simpler?), «Second language research» 13, 4, pp. 301-347.
Mori, Laura (2007), Fonetica dell’italiano L2. Un’indagine sperimentale sulla variazione nell’interlingua dei marocchini, Roma, Carocci.
Nuzzo, Elena (2007), Imparare a fare cose con le parole. Richieste, proteste, scuse in italiano lingua seconda, Perugia, Guerra.
Schmid, Stephan (1994), L’italiano degli spagnoli. Interlingue di immigrati nella Svizzera tedesca, Milano, Franco Angeli.
Spreafico, Lorenzo (2005), Lo sviluppo lessicale di un apprendente di italiano L2. Problemi e metodi di analisi quantitativa, in Atti del IV congresso di studi dell’Associazione italiana di linguistica applicata (Modena 19-20 febbraio 2004), a cura di G. Banti et al., Perugia, Guerra, pp. 241-257.
Valentini, Ada (1992), L’italiano dei cinesi. Questioni di sintassi, Milano, Guerini Studio.
Vietti, Alessandro (2005), Come gli immigrati cambiano l’italiano. L’italiano di peruviane come varietà etnica, Milano, Franco Angeli.
Weinreich, Uriel (1953), Languages in contact. Findings and problems, New York [s.n.] (trad. it. Lingue in contatto, con premessa di V. Orioles, Torino, UTET, 2008)