ACROPOLI ('Ακρόπολις)
È la sommità o ancor meglio la parte alta della città. Di questo valore rimane traccia, anche in età greca tarda, nell'uso dei due vocaboli separati ἄκρα πόλις.
La parola presuppone la città affollata ai piedi e arrampicata sulle pendici di una collina o di un monte. Per quanto tale disposizione sia in età storica la più comune per una città greca, giacché era naturalmente imposta dalla natura montuosa della penisola, delle isole dell'Egeo e delle coste di Asia Minore, solo con l'apparire della civiltà cretese-micenea nel II millennio a. C., cioé nel periodo del bronzo, essa diviene normale. Qualche precedente se ne può additare in periodo eneolitico (Dimini, S. Andrea in Sifno), ed anche in età neolitica, per quanto allora più che di villaggi appoggiati ad una collina si trattasse di villaggi collocati sulla sommità di essa e chiusi dentro una cinta di mura per ragioni di sicurezza.
Oltre alla natura dei luoghi e alla necessità della difesa, una seconda condizione di civiltà ha determinato il costituirsi dell'acropoli. Sul punto più alto del villaggio o della città bene veniva a trovarsi il palazzo del principe: la posizione isolava e proteggeva lui dai sudditi sottostanti come difendeva questi dal nemico circostante. Tale stato di cose si determinò e si fissò appunto con la civiltà cretese-micenea, civiltà di piccoli principati. Per altro diversa appare la condizione di Creta rispetto alla penisola. Anche se posti su colline, non si può parlare di vere e proprie acropoli di città per i palazzi di Festo e Haghia Triada; il palazzo di Cnosso poi era quasi affondato e celato in una valle. Se a questi palazzi manca anche un giro di mura di difesa, elemento sostanziale per un'acropoli, ciò fa presupporre che l'isola e i suoi principi si difendessero col dominio del mare, ciò che appunto sembra adombrato nella notizia della talassocrazia del re cretese Minosse.
Invece nella penisola ellenica la civiltà micenea ha uno dei suoi più originali caratteri nella costituzione di acropoli, cinte da mura e dominanti la pianura circostante (Midea, Asine). In alcune di esse (Micene, Tirinto) il palazzo del principe è stato ritrovato nel punto più alto della collina.
La civiltà greca classica, per difesa, raccolse dalla civiltà micenea l'eredità delle città murate con acropoli, ma essendo mutata la costituzione politica, per il passaggio dal principato ereditario alla breve signoria di uomini eminenti o al governo del popolo, l'acropoli ricevette al posto del palazzo del principe il santuario o il tempio della divinità maggiore della città (Micene, Atene). E l'acropoli in età storica appare esclusivamente santuario (Ialiso, Lindo) anche là dove gli scavi non hanno accertato l'esistenza di un palazzo sottostante. Talvolta, soprattutto in città di nuova fondazione o di nuova ricostruzione (Corinto, Messene-Itome, Orcomeno di Beozia, Smirne, Priene, Cnido), l'acropoli, resa più inaccessibile da un secondo giro di mura rafforzato da torri, che si aggiungeva talvolta all'arduo salto della roccia, fu stabilita come posto di vedetta e luogo di estremo rifugio per la popolazione in caso di assedio. Considerata allora, per la sua distanza, per la sua elevazione e per la mancanza di abitato, come una parte distaccata della città, conteneva qualche minor tempio od altare. Condizioni particolari di posizione naturale e di vita storica, in Pergamo, fecero dell'acropoli la parte alta della città, stipata al pari della città bassa di costruzioni di uso civile e religioso: e in questo caso la nuova costituzione politica richiese sul punto più alto dell'acropoli il palazzo del principe.
La pace assicurata dal dominio romano tolse importanza a queste cinte fortificate e a queste acropoli. E lo stesso fu in Italia, dove uno sviluppo analogo di condizioni sociali e politiche aveva condotto a simili costruzioni. Tanto la civiltà di età neolitica quanto quella di periodo eneolitico ci fa conoscere la formazione del villaggio di capanne, ce ne indica talvolta il loro aggruppamento intorno ad alcune maggiori, forse abitazione del capo, ma non ci presenta mai una collocazione preminente di queste quasi a costituire un'acropoli. La civiltà del periodo del bronzo vide affermarsi la costruzione megafitica nei nuraghi di Sardegna, ma questi furono case fortificate ed isolate, destinate all'abitazione di una sola famiglia; e anche quando ci si presentano villaggi nuragici non possiamo riconoscere in essi il costituirsi di un'acropoli, tanto meno la sua destinazione ad abitazione di un principe o a luogo di culto. Così egualmente nel periodo del bronzo non appare confermata dalla pluralità dei casi l'ipotesi che la terramara, villaggio su palafitta all'asciutto, possedesse un punto eminente, una specie di arce, collegata nella sua costituzione ad un rito religioso. Alla loro volta i castellieri dell'Istria, anche se debbono tutti riportarsi a questa età, ciò che rimane ancor dubbio, sono delle cinte fortificate intorno alle cime di colline o monti, ma non rivelano l'esistenza di una vera acropoli di carattere civile o religioso.
Vere città fortificate si vedono apparire solo col primo periodo del ferro; e la regione che ne conserva i più cospicui esempî è il Lazio meridionale (Alatri, Ferentino, Segni, Norba). Più che determinare un'acropoli dentro la cinta fortificata, sebbene ne rimanga qualche esempio (Palestrina), la posizione sulla parte più alta del monte faceva di tutta la città un'acropoli. Rimane ancora oscuro donde sia venuto al Lazio questo tipo di città fortificata: la grande somiglianza con quelle della Grecia fa certo indurre, se non rapporti di civiltà, almeno un'imitazione richiesta da analoghe necessità di difesa e soprattutto l'arrivo di artisti costruttori. La maggiore antichità e grandiosità di queste cinte del Lazio trattiene dall'ipotesi che qui siano giunte dall'Etruria: questa conobbe egualmente la posizione della città sulla cima della collina per necessità di difesa, ma le sue mura sono meno poderose e di apparato più regolare, il che sembra indicare una più recente età. Solo in qualche caso la città etrusca (Marzabotto) ci rivela l'esistenza di una vera acropoli o arce, con carattere religioso (presenza di templi). Dall'Etruria la cinta a difesa di una città posta su un'altura si diffuse nell'Umbria, come dal Lazio raggiunse con qualche esempio l'Abruzzo e la Campania.
Se la pace romana, prima che nell'Fgeo, ridusse in Italia queste cinte fortificate a monumenti di puro valore storico, la decadenza dell'Impero con le invasioni barbariche, e poi lo stabilirsi di dominî principeschi riportò in uso per tutto il Medioevo la costituzione della cinta fortificata intorno a colline e a monti di difficile accesso, e piantò sulla cima di essi il castello del principe. Non di rado queste nuove acropoli, per vantaggi di posizione strategica determinati dalla natura dei luoghi e non venuti meno col volgere del tempo, anzi riaffermatisi per il sorgere di analoghe condizioni di vita e di lotta, occuparono i medesimi luoghi in cui erano sorte acropoli micenee, greche, laziali, etrusche.
Bibl.: E. Guillaume, in Daremberg e Saglio, Dcit. des antiq. grecques et rom., I, pp. 37, 39.