ADELMANNO
Nacque a Liegi (cfr. epistola di A. alla memoria del maestro Fulberto, in Migne, Patr. Lat.,CXLIII, col. 1297, str. 18) verso la fine del sec. X e vi rimase sin verso il 1020, quando si recò a compiere gli studi presso la scuola, già celebre, di Fulberto di Chartres.
Il periodo quivi trascorso fu particolarmente importante per A.: egli non solo apprese il meglio di quelle discipline che rappresentavano la formazione culturale classica dei suoi tempi, ma ebbe anche modo di conoscere alcuni dei personaggi più in vista della sua epoca. Oltre al maestro, il vescovo Fulberto (che A. ricorda con parole di profonda commozione "... Carnotene decus urbis memorande pontifex Te primum, Fulberte, dum te conor dicere, Fugit sermo, cor liquescit, recrudescunt lacryme..."),egli strinse legami di amicizia con Ildigerio, che sarebbe divenuto cancelliere della Chiesa di Chartres, Sigone, futuro scolastico nella stessa Chartres, Regimbaldo di Colonia, celebre matematico e, soprattutto, con Berengario di Tours, che, negli anni successivi al suo condiscepolato con A., avrebbe suscitato la seconda e più famosa disputa sul sacramento dell'Eucarestia.
A proposito del periodo trascorso a Chartres con Berengario, A. ama ricordare l'intimità che contraddistingueva i colloqui suoi e dell'amico con Fulberto, il quale spesso esortava i due giovani studenti a non allontanarsi dall'insegnamento dei Padri della Chiesa, tentando una "... novam et fallacem semitam..." (cfr. epistola di A. a Berengario in R. Heurtevent, Durand de Troarn et les origines de l'héresie berengarienne,Paris 1912, pp. 268-302). Parole che, più che denunziare impossibili preoccupazioni nei riguardi di Berengario, che era ancora un giovane studente, sono indicative di tutto un orientamento di pensiero, caratteristico della scuola di Fulberto.
A., comunque, dovette progredire negli studi e dare non poca soddisfazione al maestro, se questi poteva scriverne in termini lusinghieri a Reginaldo, vescovo di Liegi, in una lettera, redatta tra il 1025 ed il 1028 (cfr. Migne, Patr. Lat.,CXLI, col. 225, ep. 47). La datazione proposta dal Migne, "annum 1020", si deve senz'altro respingere, poiché Fulberto si rivolge ."...Venerabili Leodicensium episcopo Reginaldo", per errore dal Migne indicato come "Rogerio". Ora noi sappiamo che Reginaldo divenne vescovo di Liegi solo nel 1025 (Gams, Series episcoporum,Leipzig 1931, col. 249) e che Fulberto morì nel 1028 (Clerval, p. 40). La lettera citata quindi non può essere stata scritta che tra il 1025 e il 1028.Fulberto, accondiscendendo ad un desiderio di Reginaldo, avrebbe inviato a Liegi "suddiaconum A." (apprendiamo soltanto così che A. era già suddiacono all'epoca in cui la lettera venne scritta) con la speranza, però, che lo stesso A. ritornasse presto alla scuola di Chartres, ove "...accurate se preparat ad debellanda coram Deo et nobis agmina vitiorum...". Ma A. non ritornò presso Fulberto, trattenuto, come fu, a Liegi, dall'incarico di succedere a Vasone, in qualità di "scholasticus" (maestro) di quella chiesa capitolare, nel 1031. A Liegi l'insegnamento di A. dovette certamente avere successo, se lo stesso "scholasticus" poteva scrivere nella seconda redazione dell'epistola metrica più volte citata, non senza una punta di biasimo per il presente: "...magnarum quondam artium nutricula (scilicet Leodium) Sub Wathone subque ipso cuius hec sunt rithmica...".
Tra il 1028 ed il 1033 venne composta la prima redazione dell'epistola metrica già ricordata (Clerval, pp. 58 ss.; vi si trovano anche i testi delle due redazioni). Questa prima redazione è quella offerta dal ms. 1905 della Biblioteca reale di Copenaghen, il cui testo venne pubblicato criticamente da J. Havet, Notices et documents publiés pour la Soc. de l'Hist. de France,Paris 1884, pp. 81-86. La seconda redazione, scritta in Germania verso il 1048 è stata rinvenuta, invece, nel ms. Gemblac. 5595,f.163, della Biblioteca reale di Bruxelles.
A Liegi, tuttavia, A., troppo diverso da Reginaldo, sul quale gravava il sospetto di simonia, non dovette trattenersi oltre il 1048; in tale anno si trovava infatti in Germania, come risulta e dalle parole della seconda redazione dell'epistola metrica e da un passo della lettera che A. indirizzò all'amico Berengario. In questa ultima A. afferma che, mentre si trovava "inter Teutonicas aures",gli era giunta notizia della diffusione delle nuove teorie sacramentali dello scolastico di Tours, negatrici, a quanto A. confessa di aver appreso, della presenza reale di Cristo nell'Eucarestia (testo della lettera in R. Heurtevent, pp. 287-303). A proposito di questa lettera, siamo informati dallo stesso A. che due anni prima egli aveva cercato di ammonire Berengario senza risultato, per cui si era indotto a scrivergli in nome dell'antica amicizia contratta durante il periodo del condiscepolato a Chartres.
Non è sostenibile, come vorrebbe il Cappuyns (Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés.,VIII, col. 398), che la lettera di A. a Berengario, nella redazione pervenutaci, sia stata scritta nel 1052, due anni dopo, cioè, dalla condanna dello scolastico a Roma. In tal caso, infatti, non potremmo spiegarci come A. si permettesse espressioni quali: "Mendaces ostendat (Dominus) qui famam tuam tam foeda labe maculare nituntur" riferibili, a quella data, soprattutto al pontefice.
La testimonianza di A. è perciò particolarmente preziosa: innanzitutto essa prova che già prima della condanna ufficiale della Chiesa il pensiero eucaristico berengariano si era notevolmente diffuso, almeno nell'Europa occidentale; secondariamente, riflette fedelmente le preoccupazioni e i fraintendimenti cui quel pensiero andò subito soggetto negli ambienti ecclesiastici.
La lettera di A. a Berengario, per altro, non si pone sul piano della disputa dottrinale, ma si appella, piuttosto, ad argomenti di autorità e ad esortazioni a mantenersi nella scia di una tradizione che si era cristallizzata ormai da un secolo e mezzo, da quando, cioè, si era chiusa la prima controversia eucaristica con l'accettazione del "realismo" accentuato di Pascasio Radberto.
È interessante notare che nella lettera di A. a Berengario si riscontra un singolare parallelismo con una lettera di Fulberto di Chartres relativa ai sacramenti del Battesimo e della Eucarestia (cfr. Migne, Patr. Lat.,CXLI, coll. 202-204): parallelismo non solo nella materia trattata, ma nella impostazione delle questioni e, massime, nell'insistenza su certi temi (incapacità della mente umana a comprendere il mistero divino, onnipotenza di Dio, implicita accettazione del concetto di transustanziazione, ecc.), tipici del pensiero di Fulberto. E del maestro A. sembra avere le medesime esitazioni di fronte alle crudezze della concezione pascasiana, tanto da poter affermare che "... vitale sacramentum est sub specie corporea, viriliter latet ut anima in corpore..." (Heurtevent, p. 294): un passo, questo, che il Geiselmann (Die Eucharistielehre der Vorscholastik,Paderborn 1926, p. 305)ha giudicato sotto l'influsso del "metabolismo mistico" di Fausto di Riez.
Sembra, pertanto, che la posizione di A. sulla questione eucaristica, variamente dibattuta dagli studiosi moderni (e, tra quelli che in lui hanno voluto vedere un distacco dalle teorie di Pascasio, si deve ricordare A.J. Macdonald, Berengar and the Reform of Sacramental Doctrine,London 1930, pp. 266-269), debba intendersi nella linea di incertezza sulla quale si era trovato anche il maestro Fulberto.
La risposta di Berengario all'amico si fece attendere perché solo nel periodo 1054-1059 egli scrisse, secondo l'opinione più probabile, la lettera ad A. (Macdonald, p. 122 n. 1). Berengario, almeno a giudicare dal frammento della sua risposta a noi pervenuta (cfr. E. Martène-U. Durand, Thesaurus Novus Anecdotorum IV, coll. 109-113), non si mostrò affatto impressionato dalle parole dell'amico che, anzi, ridicolizzò ferocemente, chiamandolo Aulusmannus,cioè suonatore di piffero.
Del periodo successivo alla stesura della lettera indirizzata a Berengario, sulla vita di A. si sa ben poco. È ormai assodato, nonostante che in alcuni repertori, anche moderni, si ripeta l'errore di considerarlo già vescovo di Brescia nel 1048, che a tale dignità egli venne elevato soltanto nel 1057.
Fu lo Steindorff (p. 299 n. 5)per primo a precisare la data dell'inizio dell'episcopato di A. a Brescia. La data del 1048, accolta dal Gams (p. 779), non è, infatti, quella della morte del predecessore di A., Ulrico, che, invece, morì nel 1054 (cfr. Annales Altahenses ad annum 1054,in Monumenta Germ. Hist., Scriptores,XX, Hannoverae 1868 p. 807: "...Ulricus episcopus Brexonie obiit... Quale successore di Ulrico, poi, venne eletto non A., bensì Eccheardo (cfr. Ann. Altahenses, ad annurn 1055:"Ekkihardum in sedem Brixonie nobis constituit [scilicet imperator]").
Soltanto alla morte di Eccheardo (1057) A. divenne vescovo di Brescia.
L'attività di A. come vescovo di Brescia ci è pressoché sconosciuta. Possiamo soltanto arguire, da un passo di Bonizone da Sutri (Jaffé, Monumenta Gregoriana,Berolini 1865,pp. 643-644), che egli dovette trovarsi coinvolto nella lotta organizzata dai patarini contro il clero simoniaco e concubinario dell'alta Italia. Bonizone, infatti, testimonia che nell'aprile del 1059 convennero, a Roma, dietro invito del papa, insieme con Guido arcivescovo di Milano, alcuni vescovi lombardi, tra i quali Adelmanno. Ad essi Niccolò II impose di allontanare dall'altare i preti indegni e di usare la massima severità nei riguardi del clero simoniaco e concubinario. Le decisioni prese a Roma dovevano essere comunicate dai vescovi stessi al clero delle rispettive diocesi: tutti però, tranne A., si astennero dal farlo, "cum magnas a concubinatis accepissent pecunias" dice Bonizone. Solo il vescovo di Brescia rese pubblicamente noti i decreti del papa e perciò venne gravemente ferito ("fere occisus est" dice Bonizone) da sacerdoti simoniaci bresciani.
Dopo questa notizia, che conferma la rigidezza di carattere di A., già dimostrata dal suo atteggiamento con Rogerio di Liegi, sappiamo che nel 1061 morì (cfr. Annales Altahenses Maiores ad annum 1061).Fu sepolto nella chiesa dei SS. Faustino e Giovita in Brescia. Nel 1512, sulla tomba che racchiudeva i suoi resti fu posta una iscrizione, in memoria, dalla congregazione cassinese.
K. Hampe ha attribuito ad A. i versi che si trovano nel cod. British Museum, Add. 26788, f. 90 indirizzati a Lamberto, monaco di S. Lorenzo di Liegi (cfr. Neues Archiv der Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde,XXX [1896], p. 376). Trattasi di tre esametri dattilici facenti parte di una raccolta di versi in onore del predetto Lamberto. I versi in questione sono posti sotto l'indicazione: "Adelmannus eps. ad eundem adhuc puerum".
Fonti e Bibl.: Sigeberto di Gembloux, Liber de scriptoribus ecclesiasticis,c. 153, in Migne, Patr. Lat.CLX, col. 582; Bonitho, Ad Amicum Liber,IV, in Ph. Jaffé, Monumenta Gregoriana,Berolini 1865, pp. 643-644; Gundechari Liber Pontificalis Eichstatensis,in Monumenta Germ. Hist., Scriptores,VII, Hannoverae 1846 p. 249; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra,IV, Venetiis 1719, col. 540 (le notizie dell'Ughelli, però, sono tutte da controllare criticamente); E. Steindorff, Jahrbücher des deutschen Reiches unter Heinrich III,Leipzig 1874, p. 299 n. s;M. Manitius, Geschichte der lateinischen Literatur des Mittelalters,II, München 1923, pp. 558-561; O. Capitani, Studi per Berengario di Tours,in Bullett. d. Ist. stor. ital. per il M. E.,LXIX (1957), pp. 103-111.