Sacramento centrale del cristianesimo, che da un lato commemora e, secondo la dottrina cattolica e di altre confessioni cristiane, rinnova il sacrificio di Gesù Cristo, e, dall’altro, attua la comunione dei fedeli con il Redentore e tra loro.
Il nome e. proviene dai racconti neotestamentari dell’Ultima Cena nei Vangeli sinottici e in Paolo. Il IV Vangelo non ha il racconto della cena eucaristica. Riguardo al carattere originario dell’e., alcuni l’hanno considerata come istituzione di Gesù, ma con un carattere escatologico (Gesù avrebbe presentito la prossima sua fine, ma come inizio dell’instaurazione del regno messianico; la Cena sarebbe prototipo e simbolo del banchetto del regno, in attesa di questo); altri come il risultato di un’evoluzione della coscienza cristiana (la morte di Gesù sarebbe stata sentita come immolazione e le sue stesse parole sul suo corpo viste come espressione dell’unione mistica dei fedeli con lui): su questa evoluzione avrebbe agito l’influsso, diretto o indiretto, spontaneo o riflesso, dei misteri ellenistici, con le teofagie.
I nomi del sacramento variano, parlandosi nelle fonti di «mensa del Signore» (mensa Domini, κυριακόν δεῖπνον), «spezzamento del pane» (fractio panis, κλάσις τοῦ ἄρτου), «calice di benedizione» e, anche più genericamente di eulogia o benedizione, oblazione, sacrificio, liturgia, sinassi; ma si può dire che dal 3° sec. quello di e. prevale, mentre la teologia si viene chiarendo e consolidando, pur nella differenza di tendenze, mantenutasi nel corso dei secoli, tanto che ad alcune divergenze di interpretazione dà luogo anche s. Agostino. La discussione riprese, in Occidente, nel 9° sec., tra Pascasio Radberto, che sottolineò l’identità tra il corpo storico e il corpo eucaristico di Gesù, e Ratramno di Corbie, che insisteva invece su un’interpretazione spiritualistica dell’e. che parve ad alcuni finire nel puro simbolismo. Nella vivace polemica con Ratramno stettero, tra gli altri, Rabano Mauro e Remigio di Auxerre; con Pascasio, Aimone di Halberstadt, Incmaro di Reims, Raterio di Verona; nelle Collationes di Oddone di Cluny furono inseriti interi brani del Liber de corpore di Pascasio Radberto, a testimoniare l’adesione completa alla tesi del realismo pascaniano da parte dei Cluniacensi. Nell’11° sec. Berengario di Tours, negando la possibilità di separare gli accidenti visibili dalla sostanza, senza negare la presenza reale di Cristo nell’e. rifiutava la tesi della conversione di sostanza del pane e del vino nel corpo e sangue del Redentore. Contro Berengario si schierarono quasi tutti i teologi dell’epoca e una serie di concili (1050, 1051, 1054, 1059, 1079), in cui egli fu costretto a ritrattare completamente le sue concezioni. Nel secolo successivo, il simbolismo eucaristico fu riaffermato da U. Speroni, e dalle varie sette ereticali, così come nel 14° secolo. Nuove controversie si ebbero nella Riforma: M. Lutero respinse la transustanziazione, ma affermò con vigore la presenza reale, contro A. Carlostadio, H. Zwingli e G. Ecolampadio nella «controversia sacramentaria»; G. Calvino ritenne anch’egli il pane un simbolo, ammettendo che Cristo offre ai presenti «la vera manducazione del suo corpo», presente in modo che si può dire reale in quanto «virtuale» o «dinamico». Discussioni del genere si ebbero anche nell’anglicanesimo.
La dottrina cattolica espressa dal Concilio di Trento (sessione 13ª, 1551) afferma che l’e. è un sacramento, che fu istituito da Gesù Cristo, che nelle «specie», sotto l’aspetto del pane e del vino, dopo la consacrazione egli è presente «veramente, realmente e sostanzialmente», intero, cioè in corpo, sangue, anima e divinità: modo di presenza misterioso e soprannaturale, che si attua per via della transustanziazione. Particolarità di detto sacramento è la permanenza, in quanto in esso la presenza reale di Gesù Cristo perdura. Materia del sacramento sono il pane di frumento (azzimo nelle Chiese occidentali, fermentato nella maggior parte delle Chiese orientali), impastato con acqua naturale, cotto al fuoco, incorrotto; e il vino, naturale di vite, incorrotto, e a cui è mescolata una minima quantità di acqua. Forma dell’e. è la consacrazione, con le parole di Gesù «questo è il mio corpo» e «questo è il mio sangue». Ministro della consacrazione è il sacerdote, e affinché sia valida deve avere almeno l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa.
Dal punto di vista liturgico, oltre alla celebrazione eucaristica, cioè la Messa (e. come sacrificio), e alla comunione come momento specifico della Messa stessa (e. come sacramento), presentano interesse anche alcuni particolari del culto extraliturgico, in primo luogo, la conservazione e custodia delle specie consacrate. Secondo la dottrina cattolica, Gesù Cristo è presente sotto le specie del pane e del vino finché queste non siano consumate o essenzialmente alterate. D’altra parte, la necessità di dare il viatico ai morenti e altri usi, come quello, attestato per il 4° sec., di inviare ai presbiteri delle chiese romane il fermentum (cioè l’ostia) consacrato nella Messa papale, fecero sì che le specie consacrate fossero conservate in pissidi, custodite nel sacrario o pastoforio delle chiese. Con le controversie dell’11° sec., si ebbe un incremento della pietà eucaristica e si intensificarono le precauzioni per la custodia; caratteristiche del Medioevo furono vasi in forma di colomba, gli armadi murali e i tabernacoli, che in Italia appaiono nel 14° sec. ma sull’altare furono collocati solo nel 16° secolo. Il Concilio di Trento e la Controriforma permisero la comunione ai fedeli anche fuori della Messa, fissata nel Rituale romano del 1614; la custodia presso tutte le chiese parrocchiali; l’uso generale del tabernacolo. Il codice di diritto canonico e le istruzioni della S. Congregazione dei sacramenti, del 1938 e 1943, prescrissero la custodia in tutte le chiese che hanno cura d’anime, vietandola invece fuori delle chiese, mettendo così fine all’uso di custodirla presso privati o di portarla in viaggio (come fecero ancora Pio VI e anche Pio IX). Nel quadro della riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II il culto verso l’e., specialmente nelle sue forme extraliturgiche, ha subito un ridimensionamento cerimoniale (Eucharisticum mysterium, 1967).
Si è tramandato il ricordo di numerosi miracoli eucaristici, in particolare eventi preternaturali che permisero d’evitare profanazioni e rafforzarono la fede nella presenza reale: fra i più famosi è quello di Bolsena (1263), con cui si connette la costruzione del duomo di Orvieto e l’estensione a tutta la Chiesa della festa del Corpus Domini. L’e. diventò così, anche nel nome, il Santissimo Sacramento e si generalizzò tra i fedeli il desiderio di vedere l’ostia consacrata, onde incominciarono le ‘esposizioni’ del Santissimo, fin dal 14° sec., e l’uso dell’ostensorio. Tuttavia, mentre l’attenzione dei fedeli si concentrava piuttosto sull’e. come ‘cosa’, il Concilio di Trento si sforzò di farla rivolgere piuttosto alla ‘persona’ di Gesù Cristo, più comunemente Gesù sacramentato. Sorsero e si diffusero la forma speciale di esposizione detta Quarantore, l’adorazione perpetua, le processioni; si moltiplicarono le confraternite del Santissimo Sacramento.