Giannangelo Braschi (Cesena 1717 - Valence 1799). Sotto il suo pontificato la Chiesa subì gravi colpi con la diffusione del giurisdizionalismo, lo scoppio della Rivoluzione francese e infine le campagne napoleoniche: dopo la perdita (Pace di Tolentino, 1796) delle legazioni pontificie e la proclamazione della Repubblica romana (1798), P. fu deposto e morì in prigionia.
Di antica nobiltà, a diciassette anni conseguì la laurea in utroque iure. Segretario di Benedetto XIV, cardinale (1773), fu eletto papa (1775) dopo aver preso l'impegno di non ricostituire la Compagnia di Gesù. Fu amante delle lettere, completò il museo ideato da Clemente XIV e accolse a Roma artisti quali A. Canova e J.-L. David; legò il suo nome al tentativo non del tutto fallito di bonificare le paludi pontine. Sotto il suo pontificato la Chiesa subì gravi colpi da parte del giurisdizionalismo allora dominante (rifiuto del re di Napoli, nel 1788, di offrire l'omaggio della chinea; politica riformatrice del granduca Leopoldo di Toscana e sinodo di Pistoia del vescovo S. de' Ricci, solo nel 1794 condannato da P. VI con la bolla Auctorem Fidei, ecc.), e invano il pontefice, quale «pellegrino apostolico», si recò (1782) a Vienna per indurre l'imperatore Giuseppe II a desistere dalla sua politica febroniana: accolto con grandi onori, dovette ripartire senza aver ottenuto nulla. Una crisi più grave si aprì con la Rivoluzione francese: dopo lunghe esitazioni e tentativi di intesa, P. VI condannò senza successo (1791) la costituzione civile del clero; dovette subire la perdita di Avignone e del Contado Venassino; in seguito alla spedizione d'Italia di Bonaparte, fu costretto all'armistizio del 23 giugno 1796, e alla pace di Tolentino, con la perdita delle Legazioni di Bologna, Ferrara e Romagna. Occupata Roma dai Francesi dopo l'uccisione del generale L. Duphot e proclamata la Repubblica romana (1798), P. VI fu deposto come sovrano temporale e portato a Siena, poi nella Certosa di Firenze, infine (1799) a Valence (Drôme), dove fu dichiarato prigioniero di stato. Logorato da patimenti fisici e morali, poche settimane dopo moriva. La salma, per disposizione di Napoleone, fu riportata (1801) a Roma; nel 1822 gli fu innalzata, nella Confessione di S. Pietro, una statua (opera di A. Canova, completata da A. Tadolini), in seguito trasferita nelle Grotte Vaticane.