necessità Carattere, qualità, condizione di ciò che non può non essere o essere diversamente da come è.
Nel mondo greco, il termine corrispondente a n., ἀνάγκη, è adoperato inizialmente per designare il destino che governa il mondo e al quale anche gli dei debbono sottostare. Tra i creatori del concetto filosofico di n. va annoverato Parmenide con la scoperta della n. logica, per cui la pura asserzione dell’essere esclude ogni asserzione di non essere. Dalla contrapposizione parmenidea della realtà vera e necessaria dell’ente alla realtà ‘secondo opinione’ del mondo empirico deriva l’idea che la n. sia un attributo costitutivo della realtà degna di questo nome, ciò che veramente è non potendo non essere.
All’opposto, l’atomismo democriteo fa dipendere la n. solo dal moto meccanico e casuale degli atomi. La distinzione di questi due concetti, razionale-logico e casuale-meccanico, della n. è compiuta principalmente da Aristotele, che, separando in ogni campo la sfera della logica da quella della realtà esistente, riporta alla prima anche il concetto di n., considerandolo pertinente al campo della deduzione logica e sillogistica. Necessario è, in questo senso, ciò che rigorosamente dipende dalle sue premesse logiche, o, in altri termini, ciò che è dimostrato dall’apodissi: nel che è la prima origine della coincidenza fra i termini di ‘necessario’ e ‘apodittico’.
Nel pensiero cristiano e medievale i due concetti, logico ed esistenziale, della n. tornano a fondersi in virtù delle esigenze poste dal problema teologico della natura di Dio. Coincidendo in essa essenza ed esistenza, razionalità e realtà, la n. intrinseca alla sua assoluta perfezione ideale s’identifica con l’immutabilità del suo essere eterno, sollevato al di sopra di ogni divenire e non condizionato da altro all’infuori di sé medesimo. In questo senso, esso tende a configurarsi come negazione di ogni volontà e libertà: donde l’opposta dottrina del volontarismo, rappresentata principalmente da Duns Scoto, la quale, per salvare la libertà e onnipotenza divina dal determinismo implicito nel concetto della razionalità assoluta di Dio, rende indipendente la volontà dalla ragione. B. Spinoza identifica in Dio la n. con la libertà, poiché egli intende e agisce in modo assolutamente libero, cioè solo in forza della n. della sua natura. G.W. Leibniz poi, distinguendo la n. puramente razionale propria delle necessarie ‘verità di ragione’, pone accanto a questa la n., di assai diversa natura, che deve caso per caso spiegare l’accadere delle cose, e che si esprime nel ‘principio di ragion sufficiente’.
I termini moderni del problema della n. sono elaborati da I. Kant, che distingue nei loro diversi campi le n. della ragione filosofica, della causalità naturale e della legge morale. Da un lato, con la sua concezione del trascendentale e dell’apriori come condizione imprescindibile di ogni esperienza, Kant rende ragione del vecchio concetto della n. razionale. D’altro lato, considerando la causalità come categoria costitutivamente imposta dal pensiero alla natura, determina il carattere di n. causale (distinta dalla precedente) delle leggi naturali, ed esclude così sia le negazioni scettiche di tale n., sia le estensioni di essa al regno non fenomenico della libertà morale. Infine, mentre contrappone il regno noumenico della libertà a quello fenomenico della n. naturale, mostra come tale libertà sia a sua volta determinata da una n. diversa e superiore, cioè dalla n. della legge morale.
Nell’ambito della riflessione contemporanea la n. è stata considerata soprattutto dal punto di vista logico-linguistico. In L.J. Wittgenstein (Tractatus logico-philosophicus) la nozione di n. logica coincide con quella di verità logica, la quale ultima viene spiegata in termini di tautologia: una proposizione è cioè logicamente vera quando è vera per tutti i valori di verità delle proposizioni che la costituiscono. R. Carnap (Meaning and necessity) ha ampliato l’idea wittgensteiniana col suo concetto di L-verità: un enunciato è L-vero quando è valido per qualsiasi descrizione di stato di un sistema (riprendendo così le suggestioni leibniziana di ‘vero in tutti i mondi possibili’ e wittgensteiniana di ‘vero per tutti i possibili stati di cose’). L’assunzione implicita in questa posizione, come d’altronde in quella di Wittgenstein, è la possibilità di analizzare in proposizioni atomiche componenti le proposizioni complesse. Diversamente W.V.O. Quine ha tentato una definizione di verità logica non connessa, come le precedenti, in modo vincolante al problema dell’analiticità; secondo Quine la verità logica verrebbe infatti a dipendere esclusivamente dalle costanti logiche del calcolo usato senza riferimento a termini descrittivi. Un’altra interpretazione della n. è quella avanzata dai filosofi analitici (con diverse accentuazioni): la n. si fonda su regole linguistiche, cioè, in ultima istanza, sulla nostra decisione di usare in certo modo del linguaggio, quindi su una convenzione linguistica. La n. logica diventa così n. verbale.
Nella logica e nella matematica, si dice che la proposizione A rappresenta una condizione necessaria perché si verifichi la proposizione B per intendere che se A non è verificata non può mai esserlo neanche B. Se A è una condizione necessaria per B, allora B è una condizione sufficiente per A: si usa in tal senso il simbolo B → A. Se poi A è al tempo stesso una condizione necessaria e sufficiente perché si verifichi B, allora lo stesso può dirsi di B nei confronti di A; A e B sono equivalenti e si usa il simbolo A ⇄ B.