Il sistema totale degli esseri viventi, animali e vegetali, e delle cose inanimate che presentano un ordine, realizzano dei tipi e si formano secondo leggi.
Per protezione della n. s’intendono tutti gli atti tendenti a impedire l’alterazione degli ambienti ed equilibri naturali e in ultima analisi dell’intera biosfera contro lo sfruttamento umano irrazionale. Le esigenze di conservazione dell’ambiente naturale sono di ordine ricreativo, scientifico e pratico.
Dal punto di vista ricreativo, le caratteristiche naturali al paesaggio sono messe in pericolo dall’urbanizzazione e dall’industrializzazione che hanno creato un paesaggio artificiale sostitutivo di quello naturale; alcuni tipi di paesaggio naturale sono quasi scomparsi, altri sono sempre meno frequenti. D’altronde, si avverte un atteggiamento di maggiore esigenza nei confronti del paesaggio, al quale non si richiede solo una generica amenità, ma anche di essere corrispondente alle caratteristiche e alla storia ecologica di quella data zona.
Per le esigenze della ricerca scientifica, appare indispensabile la conservazione di quelle manifestazioni naturali che se distrutte o alterate non possono essere più sostituite e sono pertanto perdute per sempre. La conservazione di tutte le specie biologiche (la tutela della biodiversità) consente alla ricerca di disporre di un materiale abbastanza vario e del quale non sono state studiate e sfruttate (in maniera sostenibile) tutte le potenzialità nei confronti dell’uomo. La difesa del suolo, lo sfruttamento razionale degli ambienti, la ricerca biomedica, la lotta contro l’inquinamento, la lotta ai parassiti dannosi all’agricoltura e alla selvicoltura sono solo alcune delle possibilità offerte dalla ricerca ecologica applicata.
Per comprendere quale importanza pratica abbia per l’uomo la conservazione delle condizioni naturali nell’ambiente, è opportuno ricordare che anche l’uomo è parte integrante dei sistemi ecologici. Nell’ambito della biosfera, i fenomeni biologici si sovrappongono a quelli fisici: si stabiliscono strettissime interazioni tra gli organismi e tra organismi e ambiente abiotico; esse conducono a un’interdipendenza reciproca di tutti i componenti della biosfera. A queste forme d’influsso sull’ambiente naturale comune a gran parte degli animali, l’uomo ne aggiunge altre specificamente legate alla sua attività e alle sue caratteristiche, che gli fanno occupare una posizione terminale al vertice delle piramidi alimentari; le attività di raccolta e caccia, pastorizia e allevamento, agricoltura e industria hanno portato a un più profondo influsso sugli ecosistemi e i loro componenti.
Le alterazioni provocate dall’uomo nei confronti dell’ambiente naturale sono assai estese geograficamente (per il cosmopolitismo proprio del genere umano), generalizzate ecologicamente (per il fatto che l’influsso umano si fa sentire nei più diversi ambienti naturali sia terrestri, sia acquatici) e si manifestano e si aggravano con un ritmo veloce, dovuto al rapido espandersi delle civiltà umane.
Conseguenze su fauna e flora. - Le prime alterazioni di questo tipo risalgono a epoche e culture preistoriche, e furono dovute all’uso del fuoco per diradare e distruggere le foreste e per stanare la selvaggina. A questa fase si può far risalire l’espansione di formazioni vegetali del tipo delle steppe e delle savane su aree prima occupate da foreste. Più profonde alterazioni ecologiche si verificarono non appena l’uomo s’impadronì delle tecniche dell’allevamento e dell’agricoltura. Nei pascoli naturali sono presenti numerose specie di erbivori che utilizzano, ciascuna in modo diverso, la copertura vegetale, senza danneggiarne la compattezza e senza alterare la sua composizione floristica. Inoltre, la presenza di predatori impedisce l’eccessiva moltiplicazione degli erbivori, che determinerebbe danni alla vegetazione. Invece nei pascoli controllati dall’uomo furono eliminati sia i predatori sia gli erbivori non addomesticabili; rimasero solo poche specie rappresentate da un gran numero di capi che saturarono le possibilità di pascoli e ne alterarono la struttura e l’equilibrio floristico; ne derivarono la degradazione e spesso la desertificazione. L’uomo pastore inoltre tentò spesso di convertire a pascolo, mediante il diboscamento, aree che non ne avevano la vocazione. Con l’avvento dell’età moderna, le tecniche industriali fornirono all’uomo mezzi più potenti e distruttivi. Intere regioni ancora intatte furono soggette a profonde trasformazioni, foreste di climax assai antiche furono sfruttate in modo irrazionale; dopo le foreste europee e nord-africane, la cui massiccia distruzione risale agli albori della storia, fu la volta di quelle dell’America Settentrionale, dell’Africa a S del Sahara, dell’Asia tropicale, dell’Oceania, dell’America Meridionale. Sui terreni dissodati furono messe in opera tecniche agricole intensive che portarono a un’erosione del suolo profonda e irreversibile.
Perduto il suo significato originario, connesso con la ricerca del cibo, la caccia divenne attività commerciale e industriale o pratica sportiva; essa portò alla completa estinzione di numerose specie animali, tra le quali, e soltanto negli ultimi due secoli, 150 specie di Mammiferi e 120 di Uccelli. La caccia è responsabile dell’estinzione di numerose forme non solo localizzate e in declino come l’uro, il bisonte europeo, il dodo, il solitario, il moa, la ritina, il quagga ecc., ma anche di altre in pieno rigoglio, come il piccione migratore, il bisonte americano, l’alca impenne, varie specie di Pinnipedi e Cetacei, alcuni Cheloni marini, molti grandi carnivori e Uccelli rapaci come aquile, avvoltoi ecc. Alcuni di questi animali sono stati completamente sterminati, altri lo sono nella maggior parte del loro areale, e sopravvivono oggi in riserve naturali; altri ancora, che per le caratteristiche ecologiche non si prestano a essere mantenuti in aree delimitate, sono ormai talmente ridotti di numero da essere alla mercè di ogni casuale episodico incidente.
Le stesse raccolte scientifiche e collezionistiche hanno contribuito e contribuiscono a condurre all’estinzione specie rarissime o estremamente localizzate. Non meno gravi sono, d’altra parte, gli effetti dell’indiscriminata introduzione di piante o animali estranei (alloctoni) in ecosistemi molto differenziati: cani, gatti, maiali, manguste, introdotti nelle isole oceaniche, hanno distrutto molte specie di Uccelli terragnoli spesso incapaci di volare; capre e conigli hanno devastato la vegetazione di vaste regioni nell’emisfero australe, e indirettamente hanno causato la scomparsa di altre specie animali endemiche.
Accrescimento della popolazione umana. - Fra le cause che hanno provocato modificazioni nei sistemi ecologici naturali si deve annoverare l’accrescimento numerico della popolazione umana, accentuato nel corso della seconda metà del 20° sec., tanto da giustificare il nome di ‘esplosione demografica’ (soprattutto nelle aree del Terzo Mondo, mentre nei paesi industrialmente avanzati si è assistito a un forte calo delle nascite). Parallelamente, lo sfruttamento delle risorse naturali è andato intensificandosi per soddisfare le maggiori richieste di terre coltivabili o pascolabili, nonché di fonti di materie prime e di energia legate allo sviluppo industriale.
L’inquinamento ha determinato una profonda contaminazione dei componenti dell’ambiente (acqua, aria, suolo), con sostanze dannose agli equilibri naturali oltre che all’uomo. Una particolare forma di alterazione degli equilibri naturali è determinata dall’impiego irrazionale dei pesticidi. L’uso di dosi eccessive di queste sostanze può portare alla scomparsa di forme animali e vegetali utili o addirittura indispensabili all’equilibrio ecologico, all’agricoltura, alla selvicoltura, all’allevamento, alla pesca e alla caccia.
La difesa della n. ha trovato una prima realizzazione nel 19° sec. con l’istituzione dei parchi nazionali. In seguito, oltre alla protezione delle bellezze naturali e dei valori scientifico-culturali del paesaggio è stata considerata anche la protezione della qualità dell’ambiente di vita dell’uomo e degli equilibri naturali. L’evoluzione del concetto di protezione della n. ha interessato quasi esclusivamente i paesi industrializzati, dove l’inquinamento ambientale assume aspetti seri nei grandi, e spesso dissestati, agglomerati urbani e industriali.
L’acquisizione di una consapevolezza dei problemi dell’ambiente è stata lenta e spesso correlata restrittivamente agli effetti degli inquinamenti a livello locale; soltanto in seguito questi hanno incominciato a essere riferiti anche a livello globale, richiedendo pertanto un impegno dei governi di tutti gli Stati (➔ clima). Da ciò le importanti conferenze internazionali sui problemi specifici dell’ambiente svoltesi a Montreal (1987), Londra (1989), Rio de Janeiro (1992), Johannesburg (2002) con l’intento di pervenire, attraverso accordi internazionali, a una armonizzazione delle diverse posizioni delle nazioni, di non facile realizzazione per i contrastanti interessi in gioco legati allo sviluppo.
Dopo la Seconda guerra mondiale sono sorte molte organizzazioni internazionali per la difesa della n., le principali sono l’IUCN (Unione internazionale per la conservazione della natura), il WWF, l’UNESCO e l’UNEP (United Nations Environment Programme).
Agli inizi della filosofia greca n. indica il principio da cui le cose che nascono e divengono traggono origine e, in senso derivato, anche l’insieme delle cose stesse, compresi i fatti di carattere giuridico-morale. Una determinazione particolare del concetto di ϕύσις si ha con i sofisti, che contrappongono ciò che è ‘per n.’ a ciò che è ‘per legge’ o ‘per convenzione’, intendendo per n. ciò che ha in sé un suo stabile fondamento e non dipende dalle opinioni mutevoli degli uomini. Socrate, che si rivolge al mondo dell’uomo, e i cinici, che propugnano l’ideale della vita secondo n., contribuiscono a una prima definizione della sfera della n. in contrapposizione a quella dell’uomo. Per Platone la n. delle cose si fonda sulla loro realtà ideale, sui modelli eterni e immutabili; su un piano di minor valore, è considerato n. anche il molteplice sensibile. Per Aristotele, che definisce la n. come il principio e la causa del movimento di una cosa, n. è tanto la ‘materia’ su cui si esercita l’azione di questo principio, quanto la ‘forma’ della cosa, in virtù della quale essa si sviluppa e diviene ciò che è. Per gli stoici la divinità stessa è n. in quanto forza che dà vita e conserva il mondo, ed è perciò definita anima del mondo e ragione seminale.
Di contro a questa concezione si colloca, nel mondo tardo antico, quella di Plotino e dei neoplatonici, che svalutano la n., intesa soprattutto come n. corporea, in quanto situata in una sfera inferiore dell’essere rispetto alle prime realtà che gerarchicamente la precedono, pur considerandola anello necessario della catena che lega i vari gradi della gerarchia cosmica. Nella patristica e nella scolastica, la n., in quanto creata, è realtà accidentale e inferiore rispetto all’infinita e perfetta realtà di Dio creatore: essa è ciò che distoglie l’uomo dal suo vero fine, riposto in un mondo superiore e trascendente quello temporale.
Il pensiero umanistico e rinascimentale, riprendendo temi stoici e neoplatonici, rivaluta la n. facendone una realtà dotata di anima e di vita, sede delle corrispondenze ‘simpatiche’ degli esseri, espressione stessa della divinità che attraverso essa si manifesta. Sulla base di tali presupposti si spiega il grande sviluppo nella cultura rinascimentale delle correnti dell’occultismo, della magia e dell’astrologia. Accanto a queste correnti si vengono affermando a poco a poco nuovi atteggiamenti: significativi in tal senso la critica rivolta all’astrologia da G. Pico della Mirandola e da P. Pomponazzi, la considerazione della regolarità matematica della n. (L. Pacioli) e della dinamicità dei fenomeni naturali, il progressivo abbandono della fisica aristotelica e il tentativo di una interpretazione della n. iuxta propria principia, cioè alla luce delle sue forze intrinseche (Telesio).
Con gli inizi del 17° sec., si afferma una concezione meccanicistica della n. che riduce i fenomeni naturali a mere modificazioni di un movimento ovunque uguale. Un contributo decisivo alla nuova scienza è dato da G. Galilei, che legge la n. come un libro che «ci sta aperto innanzi agli occhi […] scritto in lingua matematica». Per Galilei l’indagine deve abbandonare la ricerca dell’‘essenza’ dei fenomeni naturali per coglierne solo il ‘come’ formulandone la legge in termini matematici. Con lo studio matematico del moto e l’unificazione di n. celeste e sublunare Galilei compie la maggiore innovazione rispetto al concetto aristotelico di natura. Anche R. Descartes contribuisce alla concezione matematizzante della n. grazie al concetto della materia come estensione geometrica. La concezione vitalistica e animistica del tardo Rinascimento ha un seguito nella filosofia di B. Spinoza, con cui si effettua il passo decisivo verso una totale identificazione della n. con l’unica sostanza divina, concetto a cui il filosofo perviene soprattutto attraverso la critica del dualismo cartesiano e l’adozione del metodo geometrico deduttivo.
Nell’illuminismo, in particolare in quello francese, prevale, nella metafisica, una concezione materialistica della n. (J.O. de La Mettrie) e, nel campo morale, s’insiste sul ritorno alla n. per il conseguimento della felicità. L’identificazione di n. e ragione, in polemica con le tradizionali concezioni della società, sfocia poi nell’esaltazione del diritto naturale, della religione naturale, del metodo naturale nell’educazione ecc. Nella fondazione gnoseologica kantiana la n. appare come complesso dei fenomeni regolati da leggi universali, costruzione dell’intelletto, che ai dati ricevuti dall’esperienza impone la forma delle sue intuizioni sensibili e dei suoi concetti. Per I. Kant tuttavia, se l’uomo dal punto di vista della scienza naturale è cosa tra cose, soggetto al principio di causalità e quindi privo di libertà, dal punto di vista della ragion pratica si rivela invece libero e padrone del proprio destino. Il superamento di questo dualismo sarà tentato dallo stesso Kant e costituirà poi uno dei temi fondamentali dell’idealismo postkantiano.
Per J.G. Fichte, la n. è il limite, o non-Io, che l’Io pone a sé stesso per vincerlo e realizzarsi come attività etica. Per F. Schelling, la n. è la preistoria dello spirito, in quanto l’assoluto, unità indifferenziata di n. e spirito, si fa prima n. inconsapevole, che evolvendosi mette capo alla consapevolezza dello spirito. In G.W.F. Hegel la n., momento dell’autoalienazione o estraneazione da sé dell’idea assoluta, viene costruita aprioristicamente, secondo lo schema dialettico. Per il positivismo la n. è quella che emerge dall’indagine sperimentale. Il positivismo inoltre bandisce ogni finalismo nella considerazione della n. e, nelle sue versioni evoluzionistiche, attribuisce l’apparente armonia della n. all’operare di meccanismi di adattamento e di selezione, cui vanno ricondotte anche le forme superiori della n., comprese quelle umane.
A questa concezione reagisce, alla fine del 19° sec. e nei primi decenni del 20° sec., il neoidealismo, il quale rivendica il valore originario e assoluto dello spirito e considera la n. una forma di esperienza spirituale. Altri indirizzi della filosofia contemporanea, anche quando accolgono il concetto di evoluzione naturale, ne respingono l’interpretazione meccanicistica, rilevando nella n. l’‘emergere’ di forme nuove e originali. Di qui l’‘evoluzione emergente’ di C. Lloyd Morgan e l’‘evoluzione creatrice’ di H. Bergson.
Il naturalismo americano del primo decennio del 20° sec., pur reagendo al neoidealismo, evita di ricondurre, come aveva fatto il positivismo, le forme superiori della n., comprese quelle umane, alle inferiori, e afferma con G. Santayana: «tutto ciò che è ideale ha una base naturale, e tutto ciò che è naturale ha una base ideale», e con J. Dewey: «non possiamo separare la vita organica e lo spirito dalla n. fisica senza separare anche la n. dalla vita e dallo spirito». Una concezione organicistica della n. è teorizzata da A.N. Whitehead, in contrapposizione a quella astrattamente formale data dalla scienza fisico-matematica.
La considerazione scientifica della n., se da una parte segna il sorgere di una rigorosa filosofia naturalistica che non ammette l’esistenza di realtà extra- o sovrannaturali, dall’altra segna anche la crisi della nozione tradizionale di natura. Vengono abbandonati i progetti di una descrizione generale della n. come totalità, ai quali si sostituisce il compito meno ambizioso di descrizione delle molte n., ovvero dei molteplici settori della natura.
Filosofia della n. Espressione (ted. Naturphilosophie) resa famosa dall’idealismo postkantiano e specialmente da G.W.F. Hegel, il quale con essa designa una delle tre partizioni fondamentali della filosofia (logica, filosofia della n., filosofia dello spirito). Si distingue dalla scienza come indagine sperimentale in quanto deduce a priori le manifestazioni naturali dall’idea di una n. in generale, e mostra come la n. si risolva nello spirito.
Nella speculazione teologica medievale prevale la definizione di n. data da Aristotele, che insiste sull’elemento dinamico per cui n. differisce da ‘sostanza’ e da ‘essenza’ (i tre principi coincidono in Dio) e altresì da persona («sussistenza, individuale di una n. razionale», secondo Boezio e s. Tommaso). Così si parla di una n. (essenza, sostanza) e tre persone in Dio; due n. e una persona in Gesù Cristo; una n. e una persona nell’uomo. N. è anche il complesso delle cause create da Dio e sostenute nell’essere da un atto della sua libera volontà. La teologia cristiana vede così la n. inserita nella soprannatura per legame di assoluta dipendenza di quella da questa, e nella n. cerca le tracce del soprannaturale.
La teologia morale distingue nella n. umana vari stati: stato di pura n., in cui l’uomo possiederebbe tutto e solo ciò che corrisponde alla sua n.; stato di n. integra, in cui sarebbe dotato anche dei doni preternaturali (immortalità, impassibilità, immunità dalla concupiscenza); stato di n. elevata, in cui avrebbe anche doni soprannaturali (grazia santificante e predestinazione alla gloria). In seguito al peccato, Adamo ha potuto trasmettere soltanto lo stato di n. decaduta, quello in cui, perduti i doni soprannaturali e preternaturali, l’uomo, indebolito nell’intelligenza e nella volontà, è incapace di frenare la concupiscenza e vincere le tendenze disordinate che lo inclinano al male. Vi è infine lo stato di n. riparata, per cui l’uomo si ritrova, grazie alla redenzione operata da Gesù Cristo, nella possibilità di orientarsi al bene assoluto e di conseguire, unendosi con Cristo, la vita eterna nella gloria dopo l’ultima purificazione della morte.