senso La facoltà di ricevere impressioni da stimoli esterni o interni e per estensione la percezione e coscienza di fatti interni.
Significato; ciò che una parola, una frase, un contesto vuol dire.
Organi di s. L’insieme degli elementi di sostegno ed elementi specializzati che, sollecitati da particolari stimoli, generano impulsi, o segnali che raggiungono il sistema nervoso centrale, dove danno origine ad attività semplici, come i riflessi, o altamente integrate come le sensazioni. Nell’uso il termine è riservato a quelle formazioni voluminose nelle quali è concentrato un elevato numero di recettori, sostanzialmente dello stesso tipo in ciascun organo, che sono in rapporto con attività ben specializzate, onde le dizioni: organo di s. specifico per gli organi della vista, dell’udito, dell’olfatto, del gusto e del vestibolo, e organi della sensibilità generale per i dispositivi connessi con le differenti forme della sensibilità corporea. La presenza in ciascun organo di s. di organi sussidiari, che proteggono, orientano, o comunque facilitano la funzione specifica, aumentandone il grado di perfezione, rende più adeguato alla realtà fisiologica complessiva il termine di apparato (apparato della vista, dell’udito ecc.).
I recettori in alcuni organi di s. specifico hanno il significato di cellule nervose primarie perché essi stessi emettono il neurite per la conduzione centrale, in altri sono rappresentati da cellule epiteliali (cellule sensoriali secondarie) connesse alle fibre per la conduzione centrale da una giunzione neurosensoriale. A parte questa diversa natura, i recettori hanno caratteri sufficientemente analoghi a livello delle strutture endocellulari e di quelle per la conduzione, caratteri morfologici e strutturali differenti nella porzione destinata a ricevere le diverse forme di energia. Ogni recettore è attivato da una forma particolare di energia (stimolo adeguato) la cui quantità minima per produrre una risposta sensoriale è denominata soglia assoluta. Lo stimolo adeguato per l’occhio, per es., è l’energia luminosa entro una certa gamma di lunghezza d’onda. Altri tipi di energia (stimoli inadeguati), stimoli chimici, pressione meccanica ecc. producono egualmente una sensazione visiva, ma la quantità di energia richiesta è maggiore.
La specificità delle sensazioni è data sia dalla selettività dei recettori per determinate forme di energia, sia dalla specializzazione dei centri cerebrali per l’analisi particolare dell’informazione nell’ambito di una speciale modalità sensoriale (per es., lobi occipitali per l’analisi dell’informazione visiva).
S. comune Espressione filosofica la cui origine è nella denominazione aristotelica κοινὴ αἴσϑησις «sensazione comune», designante l’atto percettivo che fonde in unità i dati dei vari organi di s., riferendoli all’unico oggetto da cui sono determinati e accompagnando ogni esperienza sensibile in quanto ne rappresenta l’autoconsapevolezza. Diverso significato l’espressione acquisisce nella tradizione latina: per Cicerone, per es., essa designa l’insieme delle nozioni e delle credenze su cui esiste un implicito accordo da parte di tutti gli uomini. In quest’ultima accezione l’espressione fu ripresa e diffusa dalla scuola scozzese di T. Reid, che dal consenso universale sull’esistenza degli oggetti esterni faceva dipendere il cosiddetto realismo del s. comune, contrapponendolo al fenomenismo di G. Berkeley e D. Hume. S. morale Secondo la dottrina svolta dai moralisti inglesi del Settecento, e specialmente da A. Shaftesbury e da F. Hutcheson, capacità quasi istintiva di valutazione morale dalla quale nasce la discriminazione del bene e del male: è questo s. che costituisce una regola infallibile per l’uomo e che comanda ciò che si deve fare e non fare (virtù e vizio). È soprattutto Hutcheson ad assumere il s. morale quale facoltà autonoma rispetto a ogni immediato riferimento edonistico: è per mezzo del s. morale che si prova piacere per le azioni buone altrui e nostre, senza alcun riferimento a vantaggi ulteriori. La dottrina del s. morale è largamente diffusa in altri moralisti inglesi: in J. Butler, per es., e in D. Hume, il quale ritiene essenziale un s. particolare per produrre biasimo o apprezzamento morale, e per cogliere ciò che è utile alla felicità dei più.
In semantica logica e in linguistica, s. è distinto da significato: nell’uso di F. de Saussure, ripreso da L. Prieto e altri, con s. si indica la particolare utilizzazione, in un contesto determinato, del significato (➔) di una parola; a s. usato in tale accezione corrisponde ciò che il matematico G. Frege chiamò Bedeutung di una espressione, riservando Sinn alla connotazione della stessa espressione.
Trasposizione dei s. Presunto fenomeno parapsicologico consistente in un apparente spostamento di facoltà percettive (per es., ‘vedere’ con la nuca), in soggetti isterici gravi, sonnambuli ecc.
Lo studio dei s., cioè dei significati che può assumere una data frase, è oggetto dell’ermeneutica biblica e ha molta importanza nella storia dell’esegesi, implicando la possibilità d’interpretare in modi molteplici (e anche contrapposti) le stesse locuzioni. L’esegesi antica e medievale ha abbondato nella ricerca di s. diversi: letterale, storico, spirituale, mistico, tipico, dogmatico, allegorico, morale, anagogico, figurato ecc.; ma l’esegesi moderna cerca di porre un ordine in questi s., orientandosi su una fondamentale distinzione tra s. letterale e s. tipico (‘reale’ e ‘spirituale’): quest’ultimo si ha quando una persona o cosa del Vecchio Testamento è presa a immagine (τύπος) di una realtà manifestata nel Nuovo, o comunque concernente l’ordine della salvezza.