In generale, conoscenza diretta, personalmente acquisita, di una sfera particolare della realtà.
J. Locke e l’empirismo distinguono l’ e. esterna, o percezione dei fatti a noi esterni (sensazioni), e l’ e. interna, o percezione dei moti interni alla coscienza (riflessione). E. esterna ed e. interna costituiscono il presupposto di quell’ulteriore riflessione intellettuale che ne elabora i dati.
I. Kant accolse questo concetto dell’e., ma sostenne che l’e. presume necessariamente alcuni elementi ideali che non possono derivare da essa, ma uniti a essa ne costituiscono l’universalità e necessità (principi ‘a priori’ o ‘trascendentali’). Tra Otto e Novecento l’empiriocriticismo ha parlato di e. pura, i cui elementi ultimi e costitutivi sono le sensazioni, gli unici dati certi in base ai quali e alle loro connessioni studiare i fenomeni sia fisici sia psichici.
In filosofia della scienza, con il termine e. si intende di solito il metodo sperimentale, ossia l’insieme delle procedure comprendenti l’‘esperimento’ e l’‘osservazione’. Si suole anche distinguere l’ e. comune, che è quella spontanea, senza regole, e l’ e. scientifica, che nell’osservazione dei fatti applica regole fornite dalla ragione.
E. religiosa In generale, percezione dell’assoluto mediata da elementi dottrinali e culturali. Da un punto di vista fenomenologico, l’espressione ha assunto nei 19° e nel 20° sec. valori diversi in relazione alle varie concezioni filosofiche, religiose e psicologiche. Ma se varia è la valutazione degli elementi emozionali e concettuali coinvolti in tale tipo di e., la fenomenologia religiosa concorda nel collocarla nella sfera del sacro e nel distinguerla dall’ e. mistica che ha carattere piuttosto di immediatezza.
Teologia dell’e. (ted. Experimentaltheologie): è così definita la teologia di F. Schleiermacher e dei suoi discepoli della scuola di Erlangen (J.C. Hofmann, F. Frank, L. Ihmels, R. Grützmacher ecc.), che deducono la teologia dall’e. religiosa, dando particolare rilievo all’intenzione mistica.