scienza Insieme delle discipline fondate essenzialmente sull’osservazione, l’esperienza, il calcolo, o che hanno per oggetto la natura e gli esseri viventi, e che si avvalgono di linguaggi formalizzati.
In particolare, la s. moderna rappresenta l’insieme delle conoscenze quale si è configurato nella sua struttura gerarchica, nei suoi aspetti istituzionali e organizzativi, a partire dalla rivoluzione scientifica del 17° secolo. Fu concepita inizialmente (principalmente con G. Galileo) come concezione del sapere alternativa alle conoscenze e alle dottrine tradizionali (relative al modello aristotelico-tolemaico), in quanto sintesi di esperienza e ragione, acquisizione di conoscenze verificabili e da discutere pubblicamente (e quindi libera da ogni principio di autorità). Successivamente il ruolo della s. si è andato via via rafforzando dal punto di vista sia sociale e istituzionale sia metodologico e culturale, e la s. è diventata uno degli aspetti che meglio caratterizzano, anche per le innumerevoli applicazioni tecniche, il mondo contemporaneo e i valori culturali che esso esprime.
La s. in Egitto e in Mesopotamia. Secondo Erodoto, la matematica ebbe origine in Egitto e in Mesopotamia. Intorno al 3000 a.C. il sistema numerale degli Egizi era a base decimale, con simboli diversi che designavano le potenze di 10. La geometria, come l’aritmetica, era orientata verso la soluzione di problemi pratici, quali si presentavano ai costruttori o agli agrimensori. Anche il calendario egizio presentava il medesimo carattere di un’idealizzazione orientata all’uso pratico, con scarsa attenzione alla concordanza dei giorni con gli eventi astronomici: l’anno era diviso in 12 mesi di 30 giorni ciascuno, al termine del quale si aggiungevano 5 giorni. Intorno al 2000 a.C. i Babilonesi svilupparono un sistema numerale a base sessagesimale, più complesso di quello egizio. La tecnica matematica babilonese fu applicata anche all’osservazione del cielo, dalla quale ricavarono le norme per la semina e il raccolto, per le feste religiose, per la predizione del futuro e per un calendario corrispondente agli eventi celesti. In Egitto e in Mesopotamia fu coltivata pure la medicina: la malattia era considerata conseguenza dell’invasione del corpo da parte di spiriti malvagi, e l’efficacia dei rimedi farmacologici, di origine animale, vegetale o minerale, era connessa ai rituali della preparazione e della somministrazione.
La s. in Grecia. L’aspetto più originale della s. greca è il tentativo di formulare un’interpretazione dell’universo come un tutto. Nasce il concetto di κόσμος, vale a dire di un ordine immanente nella natura che può essere colto dalla ragione o dai sensi o da entrambi. Con la nascita della cosmologia nasce anche la filosofia greca. Talete, Anassimandro e Anassimene sono considerati i primi filosofi e i fondatori della s. occidentale: avanzarono domande sulla forma, sulla collocazione, sull’origine, sugli elementi del mondo, e sui cambiamenti delle cose visibili. Le risposte a queste domande furono quasi subito sottoposte a discussione (cosa che non accadeva con le precedenti spiegazioni mitologiche), e si iniziò a riflettere sulle regole di argomentazione e di prova. Il naturalismo degli ionici si concluse nella seconda metà del 5° sec. con l’atomismo di Leucippo e Democrito.
Intensa fu la reazione critica suscitata dalla scuola ionica. Già nel 6° sec. Pitagora aveva iniziato una radicale eversione dell’orientamento dei naturalisti, attribuendo all’anima o alla mente la priorità rispetto ai fenomeni fisici. La finalità, che è una proprietà della mente, governa e spiega i movimenti e le trasformazioni delle cose. Il numero è un’entità intelligibile ed eterna mediante la quale soltanto può essere compresa la reale natura delle cose. I pitagorici costruirono un’astronomia geometrica: al centro dell’universo stava una massa di fuoco attorno alla quale ruotavano la Terra, la Luna, il Sole, i pianeti e la volta delle stelle fisse. La perfezione dei corpi celesti è insieme geometrica e morale: essi sono incorruttibili, e quindi divini. Come i filosofi ionici, anche i pitagorici mescolarono nelle loro teorie due elementi: l’osservazione empirica e il pensiero astratto; l’intera storia della s si svolgerà intorno a questi due poli. Parmenide usò l’argomentazione logica per attaccare le conseguenze materialiste della filosofia ionica. Platone, in polemica con i pensatori ionici, tentò di ricondurre il mondo a proprietà geometriche. Lo stesso Aristotele fu influenzato da questo dialogo nell’astronomia e nella fisica; diverso, tuttavia, è il suo atteggiamento nelle opere di biologia: l’osservazione sta alla base della classificazione del mondo animale, che utilizza la logica dei generi e delle specie, ossia l’edificio formale quasi perfetto da lui costruito nell’Organon. In generale, l’influenza del pensiero filosofico greco sulla s. fu tale che si produsse una netta separazione tra s. teoriche e pratiche fino agli inizi dell’età moderna.
La s. moderna. Nel 16° sec. il rinascimento delle lettere e le nuove scoperte geografiche produssero un ampliamento senza precedenti della conoscenza umana. L’acme della ‘nuova s.’ fu però raggiunto nel 17° sec., quando si fissarono i caratteri distintivi della svolta concettuale. Abbandonato il ricorso all’autorità, il nuovo uomo di s. ha come uniche guide la contemplatione e la prattica: se la prima, in quanto speculativa, era ancora difficile da uniformare, la seconda, osservativa e sperimentale, era ripetibile e comunicabile.
Le pubblicazioni dell’Accademia dei Lincei, fondata nel 1603 da F. Cesi, si avvalsero per la prima volta dei nuovi strumenti scientifici: se Galileo era lo scienziato divenuto con il cannocchiale «scopritore, non di nuove terre, ma di non più vedute parti del Cielo», Cesi con l’uso del microscopio rivelò parti mai vedute di animali e vegetali. Con l’affermarsi del razionalismo cartesiano gran parte dell’orientamento empirico proprio dei Lincei e poi della scuola galileiana andrà perduto a vantaggio di una sistemazione filosofica coerente sia da un punto di vista metodologico sia metafisico.
Il gran successo dei Philosophiae naturalis principia mathematica (1687) di I. Newton fece prevalere la convinzione che l’applicazione della matematica alla natura fosse sufficiente a raggiungere anche nella filosofia naturale la certezza propria delle verità immutabili. In realtà, ciò non avvenne né nelle s. fisico-matematiche né tanto meno in quelle esclusivamente fondate sull’osservazione e la classificazione dei fatti. Durante tutto il 18° sec., lo sperimentalismo e il matematismo furono esercitati intensamente, anche se l’integrazione tra i due metodi risultò assai più problematica di quanto l’opera di Newton non facesse supporre. Anche la riforma della chimica compiuta da A. Lavoisier non poteva rientrare nei canoni della s. precedente se non vagamente.
La stessa cosa avvenne a metà Ottocento con l’evoluzionismo darwiniano: nonostante C. Darwin ritenesse di aver seguito il metodo baconiano e il modo di ragionare di Newton, i risultati della sua ricerca non erano coerenti con lo status della s. del tempo. Ciò può essere ripetuto per altre grandi innovazioni: per es., per il mancato riconoscimento della legge di G. Mendel o per la reazione del mondo scientifico alla relatività ristretta di A. Einstein.
La storia della s., mantenendo aperta la connotazione delle metodologie scientifiche, può così contribuire a una migliore comprensione degli sviluppi della s. moderna, la quale non fornisce, se non apparentemente, un unico schema esplicativo della realtà.
Il problema di una classificazione delle s. s’impose in età rinascimentale, quando ormai la crescente varietà e specializzazione delle s. non poteva più venire inquadrata negli schemi sommari ideati da Aristotele e ripresi dai cultori medievali delle s. del trivio (grammatica, dialettica e retorica) e del quadrivio (geometria, aritmetica, musica, astronomia). Il problema fu affrontato da R. Bacone, la cui classificazione è tuttavia anch’essa di carattere soggettivo in quanto basata sulle ‘facoltà dell’anima razionale’: memoria, immaginazione e ragione. La memoria è il fondamento della storia naturale e della storia civile, che registrano e ordinano rispettivamente le opere della natura e dell’uomo. L’immaginazione produce le opere letterarie e la ragione quelle filosofiche, che si dividono in ‘divine’ (ovvero teologiche), ‘naturali’ e ‘umane’. La filosofia naturale si divide a sua volta in ‘speculativa’ e ‘operativa’, rientrando nella prima sia l’astronomia sia la metafisica, e nella seconda sia la meccanica e la magia, intese come metafisica applicata, sia la matematica. La filosofia umana comprende lo studio del corpo umano e delle arti basate sui sensi, oltre che quello della logica, dell’etica e delle s. sociali. La classificazione di Bacone viene utilizzata anche dagli illuministi d’Alembert e D. Diderot, mentre T. Hobbes esclude la poesia e dà un’impronta oggettiva alla distinzione tra storia (s. dei fatti) e filosofia (s. delle conseguenze); tale impronta viene poi accentuata da J. Locke e da G.W. Leibniz, che distinguono la fisica (del corpo e dello spirito) dalla pratica (storia ed etica), aggiungendovi l’uno la semiotica (s. del linguaggio) e l’altro la logica formalizzata sul modello della matematica.
Dopo la nascita della meccanica newtoniana, che realizza la sintesi della dinamica dei corpi terrestri con quella dei corpi celesti, e la sistemazione da parte di Buffon e di A. Humboldt dei dati della storia naturale, nascono nuove classificazioni più comprensive e accurate. Il fisico A.-M. Ampère applica un procedimento per dicotomie successive, che dalle due grandi categorie delle s. cosmologiche (o della materia) e noologiche (o dello spirito) gli permette di ricavare progressivamente ben 128 s. specifiche. Interessanti le classificazioni di A. Comte, A.-A. Cournot, H. Spencer. Comte stabilì un ordinamento insieme logico e cronologico, che comporta un continuo aumento di complessità e diminuzione di generalità procedendo dalle s. più antiche verso quelle più moderne. Ogni s. dipende da quella che la precede, ma è indipendente da quella che la segue. Spencer usò una tripartizione in s. astratte (logica, matematica), astratto-concrete (meccanica, fisica, chimica) e concrete (astronomia, geologia, biologia, psicologia, sociologia). Cournot definì, sotto l’aspetto logico, tre serie di discipline: teoriche, storiche e tecniche, distinguendo le prime in matematiche, fisiche, biologiche, noologiche e politiche.
Il pensiero antico non riconosce due tipi di conoscenza, una filosofica e l’altra strettamente scientifica. In Platone si avverte l’esigenza di una distinzione tra il sapere delle s. particolari (aritmetica, geometria, astronomia) e la s. perfetta che è la dialettica (propria del filosofo), ma la distinzione resta generica e incerta. L’affacciarsi di un’istanza empirica si avrà in Aristotele, che tuttavia non operò una netta differenziazione tra due tipi di conoscenza.
La classificazione aristotelica delle s., tramandata dagli Arabi e ripresa in Occidente dalla scolastica, contribuì a tenere distinto il sapere della mente dall’opera della mano e fissò tra i cultori delle varie s. una gerarchia, dominata dal filosofo e dal teologo. Il pensiero medievale fu caratterizzato in larga misura dal tentativo di conciliare in una visione unitaria le concezioni sulla natura con le verità di fede delle Scritture. Lentamente, con la scuola di Chartres (12°-13° sec.), cominciò a farsi strada l’idea di una natura come contesto di rapporti causali retto da proprie leggi. Nel 14° sec. le indagini matematiche, fisiche e astronomiche delle scuole di Oxford (R. Grossatesta) e dei fisici di Parigi (G. Buridano, N. di Oresme), inaugurarono quel proficuo rapporto tra matematica e s. della natura che sarà alla base della s. moderna.
Una netta distinzione tra una s. della natura e una filosofia della natura maturò con il sorgere dell’empirismo moderno e con l’affermarsi dei procedimenti induttivi e dei metodi quantitativi nell’indagine della natura. Con l’ipotesi eliocentrica di N. Copernico, con il naturalismo del Rinascimento, con il Novum Organum di R. Bacone e con il metodo galileiano si affermò il criterio dell’esperienza come contrassegno di un tipo di sapere che intende distinguersi dalla speculazione filosofica e, soprattutto, dalla tradizione aristotelica imperante nelle scuole. Ma già in Descartes la distinzione diventa labile: la fisica cartesiana, e razionalista in genere, non possiede la forte attitudine alla sperimentazione preponderante in Galileo, e i suoi principi fondamentali restano in gran parte speculativi.
Il principio dell’hypotheses non fingo di I. Newton rappresenta il più chiaro ammonimento a non cercare spiegazioni dei fenomeni naturali che non siano verificabili con l’osservazione attraverso procedimenti matematici. La fisica newtoniana rappresenta in larga misura il modello di conoscenza scientifica a cui guarderà l’empirismo sei-settecentesco (con J. Locke, D. Hume) sarà di privare di fondamento le dottrine teleologiche dell’aristotelismo medievale.
Il tentativo più compiuto di operare la distinzione tra s. e filosofia è quello di I. Kant. La critica filosofica di Kant e degli illuministi negò ogni carattere scientifico alla metafisica e insistette sulla validità della conoscenza sperimentale. Il tentativo di rivendicare il prestigio perduto della metafisica si riaffacciò tra gli idealisti tedeschi: con J.G. Fichte, F.W. Schelling, G.W.F. Hegel la natura si ripresenta in forma mistica, come una manifestazione esteriore dell’essere, e le s. naturali sono nuovamente assoggettate al primato della pura speculazione.
Nella seconda metà del 19° sec. il fondatore del positivismo A. Comte e il teorico della logica induttiva J.S. Mill sostennero la superiorità metodica delle s. esatte, chiedendosi se s. ‘morali’ come la psicologia e la sociologia avrebbero mai potuto raggiungere una capacità di predizione dei fenomeni analoga a quelle della fisica e della meccanica razionale. Dalla teoria dell’evoluzione dei viventi formulata da Darwin, che distrusse l’antica certezza della superiorità della specie umana, derivò una completa riformulazione della biologia, delle s. dell’uomo e della società.
Nel 20° sec. orizzonti fino ad allora imprevedibili sono stati aperti dalla genetica e dalle neuroscienze, che fanno ricorso a varie discipline e rendono instabili i confini tra le s. della natura e le s. dell’uomo. In fisica, la scoperta della radioattività naturale, la teoria della relatività di Einstein, il sorgere della meccanica quantistica hanno segnato profonde svolte concettuali, stimolando riflessioni concernenti il valore statistico delle cosiddette leggi di natura, la difficoltà di adeguare agli eventi fisici i nuovi metodi matematici e gli strumenti di misura, l’unificazione di teorie generali come il campo, la meccanica quantistica, la gravità, le interazioni forti e deboli. Caduto il principio della semplicità e costanza della natura, i linguaggi della matematica si sono modellati sul criterio della loro complessità. La filosofia della s. insiste su questi problemi, e anche la storia del pensiero scientifico si è rivelata indispensabile sia per una migliore comprensione dei ‘paradigmi’ precedenti e dei rispettivi sfondi filosofici, religiosi, culturali, sia per affermare il ruolo della s. come cultura, nella scuola e nell’educazione.
Disciplina che si occupa dell’analisi critica dei metodi, linguaggi, teorie, entità delle s. empiriche e umane (senza escludere le loro problematiche specifiche: si potrà così parlare di filosofia della fisica, di filosofia della biologia, di filosofia della psicologia ecc.).
Origine e sviluppo. Le sue radici storiche vanno ricercate nel 19° sec., in The philosophy of the inductive sciences founded upon their history di W. Whewell (1840) e nel System of logic ratiocinative and inductive di J. Stuart Mill (1843). All’empirismo di Mill, che conduce a privilegiare come momenti fondamentali del procedimento scientifico l’osservazione e l’esperimento, si contrappone la posizione di Whewell, tesa invece ad analizzare la funzione delle teorie. A questi due contrastanti punti di vista si rifanno le più importanti posizioni nel campo della filosofia della scienza.
L’estensione delle tesi di Mill, insieme all’impiego del calcolo di Boole al campo della chimica, porterà B. Brodie (The calculus of chemical operations, 1876) a sviluppare una teoria chimica assiomatizzata, in grado di rendere conto di tutti i fatti allora noti, escludendo il concetto di atomo a favore di attributi osservabili, legati a cambiamenti qualitativi delle sostanze chimiche e a mutamenti di massa, prima e dopo una reazione. La critica di Brodie al concetto di atomo fu ulteriormente sviluppata nell’epistemologia di E. Mach (1883). Le teorie e le entità teoriche non avrebbero, per Mach, altro valore che quello di mettere in relazione tra loro dei fenomeni e di fornirne una rappresentazione ‘economica’: sarebbero dunque meri strumenti. Sulla stessa linea si pone il rifiuto di P. Duhem (1906) del valore dei modelli nella prassi scientifica, se non come utili artifici, privilegiando piuttosto la sistematizzazione assiomatico-deduttiva. Fra gli avversari di queste tesi riduzionistiche vanno annoverati L. Boltzmann, N.R. Campbell, H. Poincaré, con il suo accento sulla natura convenzionale degli assiomi geometrici e sul ruolo determinante delle formulazioni ‘linguistiche’ delle teorie.
La serrata critica alle concezioni ‘induttivistiche’ della s. da parte di K. Popper rappresenta un ulteriore esempio del contrasto tra orientamento razionalistico, volto a sottolineare il ruolo della teoria, e orientamento empiristico, volto a individuare le basi osservative del discorso scientifico. In seguito, L.J. Wittgenstein e studiosi quali S. Toulmin, N.R. Hanson e Th. Kuhn avrebbero messo in discussione l’impostazione logicista e astorica del neopositivismo, sottolineando l’importanza, anche sul piano teorico, della storia della s. ai fini di una corretta e plausibile indagine epistemologica. In questa prospettiva, benché con esiti differenziati, si situano J. Agassi, P.K. Feyerabend, I. Lakatos. Tipica di questa tendenza epistemologica è l’attenzione per la dinamica storica più che per la struttura logica delle teorie scientifiche. Kuhn e Feyerabend hanno particolarmente insistito sui profondi mutamenti storici a cui sono andati soggetti concetti, metodi e procedure di controllo, nonché sulla preminenza, riscontrabile nella storia della s., delle assunzioni teoriche (concezioni del mondo, convenzioni metodologiche ecc.) rispetto ai dati osservativi (che anzi dipenderebbero essi stessi dai presupposti teorici), avanzando su queste basi la cosiddetta ‘tesi di incommensurabilità’, per la quale teorie scientifiche di epoche diverse, benché formulate per spiegare lo stesso ambito di fenomeni, sarebbero fondate su diversi presupposti ontologici e metodologici e, pertanto, non confrontabili né sul piano teorico né su quello empirico e ontologico.
Temi. Tra i temi istituzionalizzati della filosofia della s. possono essere qui ricordati: il problema della spiegazione scientifica, impostato da C.G. Hempel sin dai primi anni 1940 e variamente discusso; il problema di una precisa definizione del concetto di legge scientifica, in quanto distinto da quello di semplice generalizzazione empirica; il problema del rapporto fra teoria ed esperienza o osservazione, nel cui ambito rientrano tanto le problematiche tipicamente neopositiviste quanto i successivi dibattiti che hanno avuto per oggetto le teorie epistemologiche di Popper, W.V.O. Quine e Kuhn; il problema dell’induzione e di una connessa logica induttiva; il problema del ruolo dei modelli nella conoscenza scientifica; il problema della corrispondenza delle descrizioni scientifiche a una realtà oggettiva e indipendente.
Il problema del progresso scientifico. Il modello tradizionale d’interpretazione dello sviluppo storico delle s. presenta i loro risultati come soggetti a un processo continuo di accumulazione, che riflette la continuità dell’avvicinamento conoscitivo a una realtà in larga misura indipendente dall’attività dello scienziato. Il successivo processo di allontanamento da tale modello deve molto alle critiche avanzate nel 1962 da Kuhn in The structure of scientific revolutions. Kuhn sottolineava l’importanza delle concezioni del mondo, delle «idee generali speculative», storicamente soggette a mutamento, rispetto al ragionamento deduttivo e alla sperimentazione che permettono il loro collaudo, invertendo in certo modo l’ordine della procedura induttiva, dai fatti alle teorie, ritenuta la caratteristica fondamentale delle s. empiriche da R. Bacone e dalla tradizione epistemologica che a lui si è ispirata. All’ottimismo di Stuart Mill e di Spencer, che ritenevano pressoché automatico il progresso delle s. come quello delle strutture organiche in evoluzione, si contrappone con Kuhn la tesi di una crescita discontinua della conoscenza scientifica, caratterizzata da rivoluzioni che danno luogo a nuove interpretazioni o ricostruzioni della realtà, inconciliabili con quelle precedenti. Le influenze sociali che determinano la cristallizzazione in paradigmi delle nozioni precedentemente accumulate, o favoriscono la loro rottura e sostituzione con paradigmi interamente nuovi, sono state analizzate in termini marxisti e non da varie correnti di storia e filosofia della s., che in parte tendono a ristabilire la concezione cumulativa del progresso conoscitivo e la collegano con un’analisi delle differenze tra il ‘razionalismo’ di Popper e l’‘irrazionalismo’ di Kuhn, ritenuto responsabile del discredito gettato sull’obiettività della s. dalla cosiddetta letteratura della contestazione (da H. Marcuse a T. Roszak).
A questa controversia d’interesse prevalentemente epistemologico si è sovrapposta quella sulla neutralità o non-neutralità della s., cioè sull’eventuale dipendenza dal contesto sociale non solo delle applicazioni industriali e militari delle scoperte scientifiche, ma anche dei programmi di ricerca non ‘finalizzati’ e del conseguente sviluppo della s. ‘pura’.
In teologia, s. è la facoltà intellettiva per cui Dio conosce le cose, reali o possibili, presenti o future. I teologi distinguono in Dio una s. di visione da un’altra di semplice intelligenza: con la prima Dio conosce le cose reali esistenti o future; con la seconda le cose possibili, quelle cioè che potrebbero essere se Dio decidesse di dar loro l’esistenza, ma che non saranno mai. Tra queste due s., ammesse comunemente da tutti i teologi, il gesuita L. Molina ne pone una intermedia, detta perciò s. media. In essa Dio conosce quelle cose o quelle azioni libere della creatura razionale, che, benché non esistite, sarebbero esistite se egli avesse deciso il verificarsi di alcune condizioni. Queste azioni libere e condizionate vengono chiamate dai teologi futuribili. Secondo i molinisti non si vede come Dio possa conoscere questi futuribili con lo stesso mezzo con cui conosce i futuri, perché essi non sono futuri, né in quello in cui conosce i meramente possibili, perché i futuribili sono qualche cosa di più. Di conseguenza si deve ammettere un terzo mezzo, cioè una terza s., nella quale sarebbe appunto possibile conciliare la prescienza divina con la libertà umana.