Indirizzo filosofico che pone nell’esperienza la fonte della conoscenza. Si oppone a ‘innatismo’ e a ‘razionalismo’, che fanno derivare la conoscenza per deduzione da principi razionali evidenti a priori, e si distingue dal ‘sensismo’, che ammette una sola fonte della conoscenza, il senso esterno o sensazione, in quanto ammette anche il senso interno o riflessione. Nella storia della filosofia l’e. è rappresentato, per l’antichità, in modo particolare dagli epicurei, dagli stoici e dagli scettici; per l’età moderna, specialmente da F. Bacone, J. Locke, D. Hume. Ha conosciuto notevoli sviluppi nell’età del positivismo, soprattutto in logica e psicologia, a opera di J.S. Mill, H. Spencer, F. Brentano ed E. Mach, ed è stato consapevolmente e, insieme, criticamente riaffermato da W. James e da J. Dewey. Per l’e. logico ➔ positivismo logico.
R. Avenarius e E. Mach furono i massimi esponenti dell’ empiriocriticismo (detto anche ‘filosofia dell’esperienza pura’), affermatosi nella seconda metà del 19° sec. nell’ambito del positivismo, di cui è espressione e critica a un tempo. Si presenta come un e. radicale (che coglie cioè il fatto nella sua immediatezza, fuori da ogni sovrastruttura mitologica e formale) e ‘critico’, in quanto, a differenza dell’e. o positivismo volgare, intende determinare i limiti di validità della scienza stessa. Questa ‘esperienza pura’, sgombra cioè di ogni elemento soggettivo, è un tessuto indistinto di sensazioni su cui sorgono, come sovrastruttura, i concetti scientifici. Questi sono ‘utili’, non in quanto ci danno l’intelligenza del reale, ma in quanto compendiano e semplificano la complessità dei fatti (teoria ‘economica’ della scienza).