Rapporto per il quale una conclusione deriva da una o più premesse. Nella storia della filosofia si distinguono tre principali interpretazioni di tale rapporto. Secondo la prima, esso è fondato sull’essenza necessaria o sostanza degli oggetti cui si riferiscono le proposizioni: è questa l’interpretazione di Aristotele che identifica la d. con il sillogismo, inteso come la derivazione di una proposizione (conclusione) da un’altra proposizione (premessa) basata sulla struttura sostanziale dell’oggetto; Aristotele distingue la d. sia dalla dimostrazione, che è una forma particolare di d., sia dall’induzione, che muove da fatti particolari per giungere alla determinazione dei principi. La seconda interpretazione considera tale rapporto fondato sull’evidenza sensibile che gli oggetti presentano: questo il punto di vista degli stoici, per i quali il fondamento del rapporto deduttivo è il fatto sensibile, cioè l’evidenza della rappresentazione catalettica; su questa linea, in epoca moderna, J. Locke fonda la d. sul rapporto di concordanza o discordanza fra le idee, immediatamente percepito nell’esperienza, e J. Stuart Mill la considera come l’applicazione a casi particolari di regole generali ottenute per via di induzione. Infine, una terza interpretazione nega che tale rapporto abbia un unico fondamento e lo ritiene affidato a regole sul cui uso si possa realizzare un accordo: è questa la posizione convenzionalistica della logica contemporanea per cui le regole della d. non si fondano più né sulla sostanza degli oggetti, né sull’evidenza sensibile, ma sono scelte in modo arbitrario, sebbene opportuno (R. Carnap, D. Lewis, B. Russell).
D. trascendentale Espressione tratta dal linguaggio giuridico, nel quale significa la dimostrazione della ‘legittimità’ della pretesa che si avanza, usata da I. Kant per spiegare «il modo in cui i concetti a priori si possono riferire a oggetti». Uno sviluppo in senso idealistico della d. trascendentale kantiana può considerarsi la d. che J.G. Fichte intese come dimostrazione sistematica di tutte le proposizioni della filosofia.
Teorema di d. Noto anche come teorema di Herbrand-Tarski (1930 ca.), consente di stabilire un’equivalenza fra l’affermazione della derivabilità di una certa espressione E da certe premesse, e l’affermazione della dimostrabilità di un’opportuna espressione E′ a partire da un insieme vuoto di premesse (➔ anche derivazione). Il teorema di d. stabilisce un collegamento tra le teorie cosiddette applicate e la logica pura; consente infatti di passare da un’espressione che dipende da certe assunzioni particolari, tipiche di una data teoria, a un’espressione che è indipendente da ogni ipotesi, e che pertanto può essere riferita a una qualsiasi teoria con un adeguato linguaggio.