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Antropologia

Nell’etnologia religiosa, l’espressione E. Supremo indica una figura pressoché universalmente diffusa nelle culture arcaiche, concepita e rappresentata in maniera assai diversa da altre figure che sono oggetto di culto o sono comunque connesse con i miti delle singole società di interesse etnografico. L’espressione si è imposta nell’uso delle scienze religiose e dell’etnologia religiosa in seguito a un lungo travaglio di indagini, mai interrotto a partire dalla prima organica formulazione del problema, dovuta ad A. Lang (1898). Alla luce della supposta universalità della nozione dell’E. Supremo, la ricerca è stata soprattutto impegnata nell’individuare le origini e le modalità stesse, onde si è venuta costituendo la figura nei singoli sistemi religiosi.

Numerosi studiosi hanno voluto vedere in tale figura il prodotto del pensiero causale dell’umanità primitiva che, sollecitato da una problematica intellettuale sull’origine del mondo e dell’uomo, avrebbe formulato la nozione di E. Supremo come creatore universale. A questa dottrina, che ha avuto nell’antropologo austriaco W. Schmidt (1868-1954) il massimo rappresentante e che con lui e con la sua scuola si è organizzata in una teoria generale dell’origine della religione avente negli E. Supremi delle culture arcaiche i resti di un vero e proprio «monoteismo primordiale» (Urmonotheismus), si è rimproverato di avere generalizzato la caratteristica di creatore che non è invece propria di tutti gli E. Supremi e di avere trascurato gli aspetti che meglio si spiegano come frutto di un pensiero mitologico anziché astratto.

Filosofia

Della genesi del concetto di e. si considera primo autore Parmenide: ma in realtà questi parlò piuttosto dell’‘ente’ (τὸ ἐόν «ciò che è») e non diede mai valore ontologico alla sostantivazione del verbo εἶναι. Tuttavia, il processo che condusse Parmenide dalla sfera delle affermazioni-negazioni particolari, in cui ogni ‘è’ si accompagna a un ‘non è’, all’asserzione dell’unico ‘ente’, è quello stesso che più tardi, attraverso l’astrazione da ogni contenuto determinato del pensiero, portò all’idea generalissima dell’‘essere’, come concetto di estensione massima e comprensione minima. Di questo ‘essere’, che in tal modo è il più vuoto e povero di tutti i concetti, già Aristotele aveva fatto in certo senso giustizia, quando aveva parlato dei molti significati in cui può usarsi la sua predicazione. Il concetto dell’e. è ripreso e approfondito nella speculazione medievale, che lo riferisce innanzitutto a Dio come ‘lo stesso e.’ o ‘totalità dell’e.’. Da Dio, e. semplicissimo come puro atto di esistere, in cui coincidono essenza ed esistenza, sono distinte le creature, in cui v’è distinzione, e composizione, di essenza (e. come potenza) ed esistenza (e. come atto). L’e. dunque non ha lo stesso significato nel creatore e nelle creature: l’e. di queste è una partecipazione ‘analogica’ all’e. di quello.

Nel pensiero moderno il concetto di e. assume particolare rilievo in filosofie come quella di B. Spinoza, dove e. indica l’e. di Dio (e insieme delle cose) nella sua necessità, o altresì in quella hegeliana, dove s’inserisce in una critica globale della metafisica classica dell’essere. Nella prima metà del 19° sec. A. Rosmini pose nel concetto dell’e. il fondamento ontologico di ogni realtà particolare; nella seconda metà del secolo, con l’affermazione del positivismo, il concetto dell’e. rimase in ombra, per essere poi ripreso negli ultimi due decenni di quel secolo e nel successivo dalla filosofia neoscolastica e dal neohegelismo. Presente nella fenomenologia di E. Husserl, il problema dell’e. ha un particolare rilievo nell’esistenzialismo, specialmente nel pensiero di M. Heidegger, K. Jaspers e J.-P. Sartre.

Vedi anche
ontologia Termine filosofico usato per la prima volta al principio del 17° sec. da J. Lorhard (1606) e R. Goclenio (1613) e divulgato soprattutto da C. Wolff (1730) per designare la scienza dei caratteri universali dell’ente; è corrispondente quindi a quella ‘prima filosofia’ del più maturo Aristotele, chiamata ... idea Nel significato più ampio e generico, ogni singolo contenuto del pensiero, ogni entità mentale, e più in particolare, la rappresentazione di un oggetto alla mente, la nozione che la mente si forma o riceve di una cosa reale o immaginaria. filosofia Il termine greco ἰδέα entrò nel linguaggio filosofico ... verità verità Conformità o coerenza a principi dati o a una realtà obiettiva. filosofia 1. Definizione e criterio di verità Nella storia della filosofia il concetto di verita è stato concepito in almeno due diverse prospettive, l’una ontologica, l’altra strettamente connessa al discorso umano. Nella prospettiva ... Martin Heidegger Filosofo tedesco (Messkirch, Baden, 1889 - ivi 1976). Compì gli studi universitari a Friburgo in Brisgovia, dove conseguì la laurea in filosofia nel 1913 con una tesi su Die Lehre vom Urteil in Psychologismus, pubblicata nel 1914, e la libera docenza con H. Rickert nel 1916 con lo scritto su Die Kategorien- ...
Categorie
  • METAFISICA in Filosofia
Tag
  • ESISTENZIALISMO
  • FENOMENOLOGIA
  • NEOSCOLASTICA
  • ANTROPOLOGIA
  • POSITIVISMO
Altri risultati per essere
  • essere
    Dizionario di filosofia (2009)
    L’uso del termine essere, come sostantivazione del verbo εἶναι (τὸ ὄν; τὸ εἶναι), è presente nel poema di Parmenide indicato come Sulla natura (περὶ φύσηως). Per quanto si possa sostenere che egli si riferisca piuttosto all’‘ente’ (τὸ ἐόν «ciò che è»), il processo che condusse Parmenide dalla sfera ...
  • ESSERE
    Enciclopedia Italiana (1932)
    Per il pensiero greco antichissimo "essere" era la stessa realtà sensibile, il mondo. Ma il cangiamento della realtà sensibile è essenziale all'essere, o questo è sempre identico a sé stesso? Eraclito, che considera l'essere perennemente fluente, identifica l'essere con la natura; Parmenide, che considera ...
Vocabolario
èssere¹
essere1 èssere1 v. intr. [lat. esse (volg. *essĕre), pres. sum, da una radice *es-, *s- che ricorre anche nel sanscr. ásti «egli è», gr. ἐστί, osco est, ant. slavo jestŭ, ecc.; il perf. fui da una radice *bhū- che ricorre nel sanscr. ábhūt...
nón èssere
non essere nón èssere locuz. usata come s. m. – Espressione filosofica usata per indicare l’assoluta assenza di ogni oggetto o ente (non essere assoluto), ovvero, più raram., l’esclusione di una determinata esistenza (non essere relativo)....
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