Filosofo (Edimburgo 1711 - ivi 1776). Rimasto orfano di padre a tre anni, trascorse l'infanzia a Ninewells con la madre. Successivamente fu di nuovo a Edimburgo e studiò in quella università. Nel 1734 si trasferì in Francia, prima per pochi mesi a Reims, poi a La Flèche, dove rimase fino al 1737, lavorando alla composizione del suo Treatise of human nature. I primi due libri del Treatise furono pubblicati a Londra nel 1739, il terzo sempre a Londra nel 1740. Ma l'opera ebbe scarsa fortuna. Fu (1745) per un anno precettore privato presso una famiglia in Inghilterra, e successivamente segretario d'ambasciata in varî paesi d'Europa. Intanto pubblicò una serie di Essays di vario argomento (morali, politici, economici, letterarî), in più edizioni a partire dal 1741, e, rispettivamente nel 1748 e nel 1751, i Philosophical essays concerning the human understanding (titolo mutato poi in An enquiry concerning human understanding) e l'Enquiry concerning the principles of morals. Nel 1752 ottenne un posto di bibliotecario a Edimburgo e si dedicò alla preparazione di una History of England, pubblicata in varî volumi (1754-61). Nel 1757 uscì la Natural history of religion (pubblicata assieme ad altri saggi), mentre i Dialogues concerning natural religion uscirono postumi nel 1779. Nel 1763 fu di nuovo in Francia, a Parigi, come segretario dell'ambasciatore lord Hertford. Fu accolto con grande favore dai rappresentanti della cultura illuministica. Nel 1766 tornò in Inghilterra insieme con Rousseau, ma l'amicizia fra i due fu di breve durata e terminò con una clamorosa rottura. Nel 1767 fu a Londra come sottosegretario al ministero degli Esteri. Si dimise l'anno dopo per ritirarsi a Edimburgo, dove morì nel 1776. Intento di Hume fu quello di applicare il metodo sperimentale all'intero ambito della vita spirituale, riallacciandosi alla recente tradizione inglese, da Locke a Butler. Tale metodo implica la rinuncia a ricerche di principî ultimi e di qualità originarie delle cose. Il risultato è una rivalutazione del sentire e una critica delle pretese della ragione, a cui non è riconosciuta la capacità di rispecchiare processi reali, di scoprire verità di ordine teologico, di regolare la vita pratica. In sostanza le sole proposizioni razionali sono quelle della matematica e della geometria. Ma ad esse non corrisponde nulla di reale: le verità di Euclide conserverebbero certezza ed evidenza anche se in natura non vi fossero circoli o triangoli. Le verità matematiche sono dunque verità astratte, ossia non colgono in nessun modo zone di realtà accessibili ai sensi. La verità, almeno la verità dell'uomo, è quella offerta dal sentire, e precisamente dalle impressioni, come H. le chiama, ossia sensazioni, passioni, emozioni forti e vivaci. Le idee invece sono immagini illanguidite delle impressioni. La validità di un'idea è quindi desumibile dall'impressione o dalle impressioni che l'hanno prodotta. Le impressioni si connettono tra loro mediante l'associazione, paragonata da H. all'attrazione newtoniana: i singoli atti di coscienza si congiungono a formare delle nozioni più complesse non in base a criterî logici, ma in base al ripetersi dell'esperienza, all'abitudine. La facoltà che presiede alla costituzione di queste idee non è più l'intelletto ma l'immaginazione, che ha perciò un ruolo attivo e formativo. Le idee formate dall'immaginazione possono essere esperite come riproduzioni di fatti reali o come finzioni della fantasia. Si può per esempio leggere un libro come se fosse un romanzo o come se fosse una vera storia. È indubbio che in entrambi i casi le idee sono le stesse e sono poste nello stesso ordine. Però sono concepite in diverso modo: nel caso del romanzo, cioè della storia non vera, sono concepite in modo languido e debole, nel caso della storia vera in modo vivo e penetrante tutti i particolari. Vi è in questo secondo caso un assenso del soggetto, una credenza nella realtà dell'idea concepita. Da questa impostazione rigorosamente empiristica discende la critica di alcune nozioni tradizionali. Spazio e tempo non hanno consistenza originaria, ma sono il risultato (astratto) del disporsi delle impressioni, del loro presentarsi insieme nello stesso istante o del loro presentarsi in istanti successivi. La connessione di causa ed effetto - è questa la più celebre confutazione di H. - non è fondata su un ragionamento a priori, ma soltanto sulla nostra abitudine all'osservazione di certi fenomeni. Se una palla di biliardo si muove verso un'altra, la supposizione che quest'altra sarà messa in movimento dall'urto della prima non si fonda su alcun ragionamento a priori, ma soltanto su anteriori esperienze. Dal punto di vista del ragionamento a priori sarebbe egualmente legittimo e coerente supporre che le due palle si arrestino e che la seconda torni indietro. È dunque senza fondamento la pretesa di una scienza della natura di basarsi su una causalità oggettiva. Analogamente insostenibile è la nozione di sostanza, cioè di esistenza continua e identica sia dei corpi sia dell'io. Si tratta in realtà di un prodotto dell'immaginazione che di fronte alla costanza delle percezioni è spinta a credere a un nucleo stabile dell'oggetto percepito. Di fatto noi abbiamo una serie di percezioni, ma nessuna esperienza di questo nucleo stabile. L'idea di un'anima o di un io non è altro che un principio inintelligibile, la finzione di un qualcosa che tenga insieme un flusso di atti di coscienza. Il sentire è anche alla base della vita morale. Pure su questo punto H. polemizzò contro quei filosofi che vogliono far derivare la morale dalla ragione, e oppose loro il principio della simpatia, cioè il desiderio disinteressato della felicità altrui, come quello da cui scaturisce il comportamento morale. La vita religiosa è analogamente fondata sul sentimento: sul timore, sulla speranza, sul senso del mistero. Ma la ragione non offre contributi di giustificazione della vita religiosa. Non vi è alcuna possibilità razionale di risalire al divino; le proposizioni tradizionali della teologia, quelle stesse del deismo, non hanno fondamento. H. fornì anche contributi in estetica, in politica, in economia. Le teorie estetiche si basano essenzialmente sulla negazione della natura intellettuale dell'esperienza del bello. Il bello risulta da un accordo tra la costituzione dell'uomo e alcune forme o qualità che possono dirsi piacevoli. In politica H. negò innanzi tutto le pretese fondazioni razionali di alcuni principî, quali la giustizia, la proprietà, il contratto originario, il diritto divino dei re. Tuttavia parlò di una scienza politica, basata su nozioni generali, disegnando un modello perfetto di ordinamento. L'atteggiamento generale è moderato, diffidente verso le innovazioni, e tuttavia tollerante e liberale. Il suo modello è una democrazia rappresentativa, censitaria e decentrata. Gli scritti economici sono di tendenza antimercantilistica. Diede anche importanti contributi alla teoria della moneta e del commercio internazionale.