Consapevolezza che il soggetto ha di sé stesso e del mondo esterno con cui è in rapporto, della propria identità e del complesso delle proprie attività interiori.
Libertà di c. Diritto di sentire e professare opinioni e fedi religiose senza alcuna restrizione, impedimento o coazione dell’autorità politica ed ecclesiastica. È stato teorizzato e rivendicato dall’epoca della Riforma, quando si poneva il problema del diritto delle varie chiese, e in particolare dei gruppi minoritari (per es., anabattisti e sociniani), a convivere nell’ambito di uno stesso Stato. In seguito ha investito ogni tentativo di imposizione di una particolare dottrina attraverso il potere dello stato; la sua rivendicazione è divenuta caratteristica delle posizioni laiche e liberali tra Sette e Ottocento ed è stato riconosciuto nelle fondamentali carte costituzionali degli Stati moderni e delle organizzazioni internazionali. Matrimonio di c. Matrimonio canonico celebrato omissis denunciationibus et secreto, per regolare la posizione di due persone che non possono contrarre un matrimonio civilmente valido o che, pur potendolo, ne subirebbero un pregiudizio (per es., nel caso della vedova pensionata che, passando a nuove nozze, perderebbe il diritto alla pensione). Autorizzato dall’ordinario del luogo, è registrato in uno speciale registro che si conserva nell’archivio segreto della curia vescovile, e può essere reso palese dal vescovo. Va ricordato, tuttavia, che il nuovo codice (can. 1071, par. 1, n. 2), raccomanda di non celebrare, al di fuori di un caso di necessità, un matrimonio canonico che non possa essere riconosciuto o celebrato a norma della legge civile.
Il concetto di c. come c. teoretica, distinta da una semplice consapevolezza, si sviluppa prevalentemente con il sorgere della filosofia moderna. Cartesio, riprendendo il tema agostiniano dell’appello all’interiorità come garanzia contro qualsiasi forma di scetticismo, trovò nel cogito il fondamento della sua gnoseologia e della sua metafisica. E il cogito come pensiero, inteso in senso lato, coincide con la c. concepita come complesso dell’attività interiore dell’uomo. Questa concezione della c. influenzò durevolmente la speculazione post-cartesiana, né l’impostazione mutò sostanzialmente con G.W. Leibniz, nonostante la distinzione tra l’ appercezione, che implica sempre la c., e la percezione, grado inferiore di conoscenza, in cui si può anche non essere chiaramente coscienti. I. Kant conservò il termine di appercezione come sinonimo di c., distinguendo peraltro tra un’appercezione pura trascendentale ( io penso) e una appercezione empirica. Quest’ultima come c. psicologico-empirica s’identifica con l’esperienza interna, risultando variabile e soggettiva e potendo sempre presentare dei gradi, mentre la prima è c. logica pura, polo di unificazione di tutte le rappresentazioni. Essa costituisce quindi l’aspetto formale della c., presupposto e condizione della c. empirica che come tale è peraltro sempre determinata in rapporto alla realtà esterna. Le successive concezioni idealistiche della c. si mossero invece nel senso di risolvere in essa o meglio nello spirito o autocoscienza tutto il reale. G.W.F. Hegel ha indicato nella Fenomenologia dello spirito un processo di sviluppo dialettico della c. per cui essa si libera alla fine da qualsiasi riferimento ad altro, divenendo c. assoluta ossia autocoscienza. Lo spiritualismo, dall’introspezionismo di Maine de Biran alla concezione di Bergson, ha visto nella c. un accesso privilegiato alla conoscenza di sé, fondamento quindi di ogni speculazione. Le correnti materialistiche (J.V. Vogt, E. Haeckel ecc.) tesero invece a ridurre la c. a semplice epifenomeno di avvenimenti fisiologici dell’organismo, mentre l’impostazione di W. Wundt con la sua teoria del parallelismo psicofisico tentò di gettare le basi di uno studio psicologico della c., vista come concomitante essenziale dei suoi correlati somatici.
Nella riflessione contemporanea la teoria della c. più rilevante è quella di E. Husserl, che riprendendo la tradizione cartesiana innesta su di essa la nozione d’intenzionalità ripresa da F. Brentano dalla filosofia scolastica. In questo senso carattere precipuo della c. è il trascendimento di sé, il porsi cioè in rapporto con un oggetto che non le è immanente. Il successivo sviluppo del pensiero husserliano ha tuttavia sempre più accentuato i tratti immanentistici della c., sottolineandone l’aspetto di «corrente di esperienze vissute», fino a giungere alla riaffermazione di una soggettività assoluta o io trascendentale.
La c. è sempre stata oggetto di studio e di ricerca, soprattutto nelle sue manifestazioni sensoriali, e, nonostante il riconoscimento della notevole problematicità del metodo introspettivo, Wundt giunse a definire la psicologia come la scienza degli stati di coscienza.
Lo studio dei fenomeni di c., intesa come sintesi di varie attività psichiche che si integrano dando luogo a una soggettiva esperienza sensibile del presente, si è sviluppato nella psicologia moderna e contemporanea considerando possibile l’indagine psicologica e la determinazione di stati e di livelli attraverso la mediazione comportamentale di cui l’uomo si serve per esprimere i propri contenuti di coscienza. Si parla così di una c. vigilante in contrapposizione a una c. onirica e si riconoscono diversi livelli intermedi: da quello della tensione e dello sforzo attentivo concentrato, alla perdita totale della c. in cui nessun contenuto può essere ricordato. La presenza di vari livelli e, soprattutto, la distinzione fra c. vigilante e c. onirica fanno riconoscere una dissoluzione della c. che in casi particolari – confusione mentale, epilessia, isterismo con manifestazioni di «restringimento del campo di c.» (P. Janet) – assume un carattere patologico.
I livelli dell’attività psichica, secondo Freud, sono tre: cosciente, preconscio e inconscio, e da essi prende consistenza il concetto di campo di c., i cui limiti definiscono due ordini di fatti psichici: quelli coscienti (presenti in un dato momento nel campo di c.) e quelli che sono provvisoriamente fuori del campo, detti precoscienti. I contenuti inconsci possono invece affiorare a livello di c. solo indirettamente (sogni, lapsus), o per mezzo di adeguate tecniche psicanalitiche. Poiché la c. era stata considerata fino alla prima metà del 20° sec. un fenomeno psicologico accessibile solo con il metodo introspettivo, gli orientamenti psicologici che rifiutavano questo metodo (➔ behaviorismo) avevano considerato la c. un argomento che non poteva rientrare nell’ambito della psicologia sperimentale. Tuttavia, grazie al progresso delle conoscenze sulle funzioni cerebrali e allo sviluppo di nuove teorie psicologiche (➔ cognitivo), la c. è divenuta tema centrale delle indagini sperimentali.
Nelle ricerche psicologiche di indirizzo cognitivista la c. è considerata come la consapevolezza che un individuo ha dei propri processi cognitivi e della loro efficacia sul piano dei risultati conseguiti. Uno sviluppo di questo tipo di ricerche riguarda la distinzione tra operazioni cognitive implicite e operazioni cognitive esplicite. All’interno di uno stesso processo (per es., il riconoscimento di oggetti visivi o la memoria), le operazioni possono essere implicite (o inconsce) oppure esplicite (o consce): nel primo caso, un individuo riconosce un oggetto o se ne ricorda senza controllare attivamente e coscientemente le proprie operazioni; nel secondo caso, mette in atto consapevolmente strategie di identificazione dell’oggetto e di ricerca delle relative tracce mnesiche. Questa distinzione è stata estesa anche a tutte le operazioni motorie complesse (➔ abilità), nelle quali a una fase di apprendimento ed esecuzione cosciente (esplicita o controllata) segue una fase di esecuzione inconscia (implicita o automatica).
Alla concezione della c. come sistema di controllo delle operazioni cognitive si affianca l’altro orientamento di ricerca sulla c. intesa come ‘attenzione focalizzata’: la c. è ricondotta essenzialmente all’operazione di spostamento dell’attenzione su determinati aspetti e informazioni del mondo esterno e interno, in funzione delle necessità e finalità fisiologiche e psichiche dell’individuo.
Fino alla metà del 20° sec., la c. è stata considerata come un luogo separato della mente dove scorrono le varie attività mentali allo scopo di essere, per così dire, visionate, controllate e corrette, anche se vari filosofi della mente, come G. Ryle e poi D.C. Dennett, hanno aspramente criticato questa concezione. Il problema della ‘sede’ della c. è stato peraltro affrontato anche dalla neurofisiologia e dalla neuropsicologia, che hanno inizialmente considerato la c. come sinonimo di comportamento vigile, indipendentemente dalle attività cognitive svolte. Quando, invece, è stato dato risalto al linguaggio nella sua funzione di verbalizzazione consapevole dei processi cognitivi e motori in corso, la c. è stata localizzata nel lobo temporale dell’emisfero sinistro, sede delle aree del linguaggio. Un nuovo impulso agli studi sulle basi cerebrali della c. venne dalle ricerche compiute negli anni 1960 da R.W. Sperry e da altri neuropsicologi sugli effetti delle resezioni del corpo calloso che rendevano i due emisferi cerebrali funzionalmente separati, ponendosi così il problema se dovesse cadere il principio tradizionale della c. come organizzazione integrata della psiche. La discussione sulla unità della c. si è ampliata considerando anche i casi di personalità multipla, nei quali coesistono personalità diverse. Sperry ha ribadito che la c. è una proprietà superiore del cervello che si realizza nella integrazione delle funzioni delle singole aree e non è localizzabile in strutture distinte. Una posizione completamente differente è stata assunta negli anni 1980 dal neurofisiologo J.C. Eccles, secondo il quale la c. non è riducibile a un substrato neurofisiologico. I risultati delle ricerche hanno tuttavia rinforzato la concezione per cui la c., o per lo meno le operazioni coscienti, potrebbero essere localizzate in aree cerebrali distinte. Per es., è stato accertato che, a seconda della sede della lesione, i pazienti possono avere un deficit nelle operazioni di memoria inconsce o consce. Nel complesso, gli studi della psicologia e delle neuroscienze hanno esteso la nozione di inconscio dalla sfera psicodinamica alla sfera dei processi cognitivi (per cui si parla di inconscio cognitivo), e hanno ampliato il concetto di c., non più considerata come un flusso indistinto di pensieri ed emozioni, ma come un sistema integrato di operazioni, in parte consce e in parte inconsce.