L’atto del prendere coscienza di una realtà che si considera esterna a noi.
Si possono distinguere due sensi con cui il termine p. è usato nella storia della filosofia. In un senso generale esso designa ogni esperienza conoscitiva. In un senso più specifico indica l’esperienza conoscitiva di un oggetto determinato, sia fisico sia mentale, esperienza che si tende a distinguere, come diviene chiaro con T. Reid, dalla sensazione: se quest’ultima è un dato semplice e soggettivo, la p. è un atto conoscitivo complesso che unifica attivamente un insieme di sensazioni ascrivendole a un oggetto effettivamente presente.
Al fine di caratterizzare il processo percettivo ci si può servire, pur tenendo presente la molteplicità degli orientamenti di ricerca, della definizione generale di K. Koffka, per cui percepire significa sperimentare stimoli, effettuare discriminazioni tra di essi e comporli in un insieme dotato di significato.
- I primi veri e propri studi sulla p. si possono far risalire al Settecento, quando psicologi, fisiologi e filosofi ripresero alcuni problemi tradizionali, come si erano andati precisando nel secolo precedente, sviluppandoli scientificamente. In via puramente schematica possiamo distinguere, per tutto l’Ottocento e oltre, il persistere, nel campo degli studi sulla p., di due indirizzi in netta opposizione: l’indirizzo empiristico e quello nativistico. I principali esponenti del primo indirizzo possono considerarsi, pur con diversi atteggiamenti, H. Lotze, W. Wundt, H. von Helmholtz; la p. dello spazio, per es., è dagli empiristi considerata il risultato di un processo di apprendimento e gli elementi su cui si fonda sono indizi non spaziali, associati al movimento (nel caso della visione, soprattutto al processo di convergenza): sia la teoria dei segni locali di Lotze, sia quella dell’inferenza inconscia di Helmholtz (che sottolinea il ruolo che giocano, per es., la dimensione e la grandezza degli oggetti percepiti) sottolineano questa funzione dell’apprendimento.
Per i nativisti, invece, come E. Hering e C. Stumpf, la retina è in grado di percepire direttamente la spazialità e lo spazio è tendenzialmente una qualità sensoriale al pari delle altre. Una sintesi delle due posizioni fu tentata, sul finire del 19° sec., dallo strutturalismo di E.B. Titchener, secondo cui le sensazioni, sulla base dell’attenzione selettiva, sono raggruppate variamente e successivamente integrate da immagini; il contesto che così si forma conferisce agli elementi il loro ‘significato’; l’insieme di questi diversi momenti è ciò che chiamiamo percezione.
Una diversa direzione di ricerca è quella funzionalistica (J.R. Angell, H. Carr ecc.), che considera la p. nei suoi aspetti organizzativi e significativi, nell’ambito di un ‘utile’ processo di adattamento dell’organismo; variabili motivazionali, di atteggiamento e di personalità acquistano già nei funzionalisti un certo rilievo.
- Un indirizzo completamente nuovo negli studi sulla p. si deve alla scuola della Gestalt; distinguendo rigorosamente tra fisico e psichico, i gestaltisti promuovono lo studio della p. sul piano puramente psicologico, sottolineando la fondamentale importanza del rapporto figura-sfondo. Questa impostazione ha permesso di formulare una serie di leggi che regolano la p., come quella della pregnanza (Prägnanz), ossia della tendenza, nel processo percettivo, a scegliere sempre la Gestalt (forma) migliore, quella della chiusura (cioè della tendenza a completare, organizzandole in una Gestalt, configurazioni percettive incomplete). La tendenza all’equilibrio e il fenomeno di trasposizione (cioè la tendenza a reagire non allo stimolo isolato ma alle configurazioni isomorfiche di stimoli, reagendo quindi al ‘rapporto’ degli stimoli tra loro, cioè alla struttura della loro configurazione) sono altre significative caratteristiche della p. messe in luce dalla scuola gestaltista. Sono considerati elementi di rilievo l’atteggiamento, le motivazioni e l’influenza dell’esperienza precedente.
- Nell’ambito di un’impostazione che riprende suggestioni teoriche dell’associazionismo e rivaluta notevolmente il ruolo dell’apprendimento nello studio dei processi percettivi (constatando la difficoltà di ridurre la teoria della p. in termini di processi stimolo-risposta), D.O. Hebb ha proposto un originale modello neurofisiologico della p., in cui circuiti di neuroni interconnessi funzionalmente (assembramenti cellulari: cell assemblies) vengono attivati sequenzialmente (phase sequence).
Le correnti del transazionalismo, vivaci soprattutto a partire dagli anni 1950, hanno sottolineato l’importanza dell’interazione tra soggetto e ambiente nei processi percettivi, attraverso lo studio dei problemi della costanza percettiva e di alcune particolari ‘illusioni’ (per es., trapezio rotante di A. Ames); secondo questa scuola le illusioni sarebbero «il prezzo da pagare per il meccanismo di costanza». In altri termini, alcune dimensioni delle p. rimarrebbero costanti al mutare degli stimoli, altre varierebbero, consentendo di riconoscere agli oggetti un’identità nonostante il mutamento dell’ambiente.
Il ruolo delle ipotesi (con una ripresa della tesi dell’influenza inconscia e istantanea) è stato messo in luce da E. Brunswik (per cui si può parlare di funzionalismo probabilistico) e in prospettiva in qualche modo analoga possono collocarsi gli studi di J.J. Gibson sulla p. della profondità con l’introduzione dei gradienti di trama («i gradienti indicano le irregolarità dei caratteri delle unità percettive della superficie esplorata»).
Particolare sviluppo ha assunto la ricerca di ‘determinanti centrali’ della p.: atteggiamenti, disposizioni, valori, bisogni sono stati individuati come fattori di rilievo nel processo percettivo. Così si è cercato d’indagare su una p. subliminale, servendosi del riflesso psicogalvanico, e se ne sono analizzati gli aspetti ‘difensivi’. Rientra in questa impostazione il noto esperimento di J.S. Bruner e C.C. Goodman, da cui risulta una decisa sopravvalutazione del fattore percettivo ‘grandezza’ da parte di soggetti con particolari caratteristiche socioeconomiche (richiesti di precisare la grandezza di alcune monete loro sottoposte, i bambini poveri tendevano a una costante sopravvalutazione); da qui il concetto di social perception, ripreso fecondamente in Italia da R. Canestrari.
Un cenno meritano inoltre le teorie che hanno indagato le correlazioni tra p. in generale e p. del proprio corpo, mostrando come nei processi percettivi sia costantemente utilizzato come schema di riferimento quello corporeo. Significativa la convergenza delle ricerche in direzione degli aspetti motivazionali e di personalità; l’autostima è, per es., risultata correlata alle prestazioni ottenute sia in test spaziali sia in test di personalità.
- Negli ultimi vent’anni del 20° sec. si è ripresentato il problema del riferimento ai dati soggettivi per studiare la percezione. La possibilità, infatti, di esperire direttamente un dato fenomeno (per es., la costanza del colore degli oggetti nonostante la variazione di luminanza ambientale) ha permesso al ricercatore di essere egli stesso l’osservatore del fenomeno, senza ricorrere ad altri osservatori. È chiaro che ciò favorisce la diffusione di una varietà e molteplicità di risultati, perché ciascun osservatore esperisce direttamente i fenomeni illustrati (come nel caso di molte illusioni ottiche raffigurate comunemente nei manuali di psicologia). Il metodo fenomenologico, che proviene direttamente dall’elaborazione in campo percettivo della scuola della Gestalt, segue, comunque, procedure rigorose di manipolazione delle variabili. A differenza della teoria della Gestalt, che riteneva che le leggi dell’organizzazione percettiva avessero un fondamento neurofisiologico, le teorie contemporanee, di orientamento fenomenologico e cognitivista, hanno distinto tra un livello strettamente fisiologico e un livello psicologico della percezione. Il primo livello è quello trattato tradizionalmente come ‘sensazione’, relativo all’architettura funzionale dei neuroni e alle leggi della psicofisica regolanti l’elaborazione degli attributi fisici degli stimoli (intensità, lunghezza d’onda ecc.); nel secondo livello, invece, rientra la problematica relativa all’elaborazione cognitiva dell’informazione.
Questa distinzione può essere illustrata con l’esempio in figura. A livello fisiologico, la rappresentazione consiste in un insieme di punti, linee e macchie disposte su uno spazio bidimensionale, che vengono elaborate dal sistema visivo rispetto a parametri fisici relativi (intensità, contrasto, grandezza ecc.); a livello psicologico, si tratta invece di un ‘percetto’, di un’interpretazione cognitiva di ciò che è stato elaborato dal sistema sensoriale della visione. L’informazione cognitiva trasmessa dall’espressione ‘cane dalmata’ consente infatti di interpretare tale informazione puramente fisica (v. fig.). Questa relazione tra il livello fisico e il livello cognitivo è stata posta come interazione tra quelli che sono stati definiti processi bottom-up e top-down. L’elaborazione bottom-up è basata su informazioni e indizi presenti nella realtà, che pervengono direttamente ai sistemi sensoriali (le macchie dell’esempio precedente). Sebbene tale informazione, per essere interpretata e riconosciuta come un percetto significativo, necessiti dell’interazione con il processo top-down (l’informazione verbale), è evidente che gli indizi sensoriali non possono scendere al di sotto di una soglia che consenta tale interazione. I risultati di alcuni studi hanno messo in evidenza che questo interscambio tra i due tipi di elaborazione avviene al livello inconscio e che il riconoscimento di una figura frammentata, come nell’esempio di cui sopra, è segnalato dall’attività elettrica cerebrale prima che l’osservatore affermi di aver riconosciuto la figura.
Alterazioni delle p. si riscontrano in molte condizioni psichiche morbose. Le anomalie delle p. possono essere quantitative, cioè interessare l’intensità delle sensazioni (i suoni si sentono più forti, i colori sono visti più vivaci, oppure, al contrario, gli odori si avvertono meno, i colori sembrano più scuri), o qualitative, comportando alterazioni delle qualità delle sensazioni (i visi sembrano avere un colore diverso); nelle ‘sensazioni associate’ un unico stimolo provoca sensazioni in altri campi percettivi (senso di dolore per stimoli acustici). Dette anomalie si riscontrano per disturbi del tono dell’umore, nella schizofrenia e in molte intossicazioni, specie da farmaci o da sostanze psicoattive. I caratteri abnormi delle p. fanno sì che tutto sembri diverso, nuovo, sconosciuto, irreale. Talora la realtà esterna viene anche percepita come nuova e bellissima; altre volte il disturbo consiste nell’impossibilità di comprendere il mondo psichico degli altri. Si osservano nelle sindromi schizofreniche, nella depersonalizzazione. La dissociazione delle p. si verifica quando due p. legate fra loro nella realtà (per es., il canto e la forma di un uccello) non vengono considerate tali dal soggetto (nella schizofrenia e in alcuni stati tossici). La falsificazione delle p., cioè la p. di oggetti non reali, classicamente comprende: illusioni, allucinazioni, pseudoallucinazioni.