In genere, tendenza a dare particolare importanza alla funzione di ciò che si considera, a vedere un problema sotto l’aspetto della funzionalità.
Tendenza a considerare i principi e le basi dei processi progettuali connessi strettamente, se non esclusivamente, alla soluzione di problemi funzionali. Pur presente, con analoghe finalità, nella storia dell’architettura del passato, il termine, tuttavia, assume particolare pregnanza solo nella prima metà del 20° sec., coincidendo a volte con quello di razionalismo. Nelle posizioni più estreme e polemiche, il f. contrappone a un’arte della costruzione una scienza della costruzione, bandendo dalla progettazione qualsivoglia connotazione ideologica, metafisica o estetica.
Tendenza di natura strutturalista per cui il territorio, e quindi la regione, sono organizzati da una trama di centri coordinatori e distributori di servizi, tra loro collegati da rapporti gerarchici e da flussi (di persone, merci, informazioni ecc.). L’origine del f. in geografia regionale si fa risalire alla teoria delle località centrali di W. Christaller (1933); nel successivo dibattito metodologico si segnalano, a parte A. Lösch, nel mondo anglosassone C.D. Harris, D. Harvey, W. Isard e B.J.L. Berry con la sua scuola; in quello francofono E. Juillard, J. Labasse e P. Claval; e ancora E. Otremba in Germania, S. Leszczycki in Polonia, e in genere i membri della Commissione per i metodi della regionalizzazione economica dell’Unione geografica internazionale, i cui lavori si svolsero nell’arco degli anni 1960. In Italia, sulla scorta delle anticipazioni già offerte, sin dall’inizio degli anni 1950, da A. Sestini, B. Nice, e ancor prima da U. Toschi, il f. geografico si è pur lentamente affermato, fino alla metà degli anni 1970, progressivamente facendo ricorso a strumenti quantitativi di origine, in gran parte, americana; poi, soprattutto con A. Vallega, esso ha trovato, in linea con l’evoluzione del pensiero scientifico internazionale, un chiaro superamento verso l’applicazione, all’analisi regionale, della teoria sistemica.
Ambito di studi e di ricerche che prende le mosse dai postulati di F. de Saussure e che mira a identificare e a descrivere le unità della lingua in base alla funzione che esse svolgono nella comunicazione. La Scuola di Praga (1926) ha dato, soprattutto con N.S. Trubeckoj, i suoi contributi più importanti nel campo della fonologia, che studia i suoni in rapporto alla loro funzione distintiva, vale a dire alla capacità che essi hanno di distinguere due parole diverse: i fonemi rappresentano le unità distintive minime della lingua; le differenze di suono che provocano cambiamenti di significato si chiamano opposizioni fonologiche e i tratti fonici su cui poggia l’opposizione sono detti distintivi o pertinenti: per es. si ha opposizione fonologica tra occlusiva bilabiale sorda /p/ e occlusiva bilabiale sonora /b/ nelle parole pollo e bollo; in questo caso il tratto di sonorità è pertinente, in quanto la sua presenza o assenza determina un mutamento di significato. I due fonemi /p/ e /b/ non sono ulteriormente segmentabili in elementi minori e successivi; rappresentano quindi le unità distintive minime della lingua.
R. Jakobson individuò invece, ampliando una tripartizione di K. Bühler, sei funzioni del linguaggio: la funzione emotiva, incentrata sull’emittente, diretta a manifestarne sensazioni, stati d’animo, reazioni emotive; la funzione conativa, incentrata sul destinatario, diretta a imporgli un certo comportamento; la funzione referenziale, incentrata sul referente, diretta a fornire informazioni su di esso; la funzione metalinguistica, incentrata sul codice, diretta a evidenziarne le modalità di funzionamento; la funzione poetica, incentrata sul messaggio, diretta a curarne l’elaborazione e la strutturazione formali; la funzione fatica, incentrata sul canale, diretta a verificarne l’efficienza e a eliminare i disturbi o rumori.
M.A.K. Halliday ha distinto l’organizzazione funzionale del sistema linguistico dalle realizzazioni concrete secondo uno schema tripartito, che prevede una funzione ideazionale, con la quale si esprime l’esperienza personale, una funzione interpersonale, che serve per stabilire rapporti sociali, e una funzione testuale, che permette di organizzare il discorso.
Nella elaborazione teorica di A. Martinet il concetto di funzione indica il ruolo che il singolo tratto di lingua esplica nel sistema. In base al suo principio della doppia articolazione, sul primo piano l’enunciato può essere segmentato in unità dotate di una forma (fonica o grafica) e di un significato, non ulteriormente riducibile ( monemi); sul secondo piano ogni monema può essere segmentato in unità dotate anch’esse di una forma ma prive di significato, capaci di formare unità del livello superiore se combinate in successione ( fonemi); le unità di prima articolazione hanno una funzione significativa; le unità di seconda articolazione hanno una funzione distintiva. Per es. la frase ho un conto in banca si articola in 5 monemi, ciascuno dei quali ha una forma e un significato: ho+un + conto+in+banca. Ogni monema non è scomponibile in unità minori dal punto di vista semantico: per es. a ban e ca non inerisce più alcun significato. Il monema banca è invece ulteriormente segmentabile in unità acustiche: i fonemi /b/+/a/+/n/+/k/+/a/, che distinguono, per es., banca da panca o da banda. Le unità di prima e di seconda articolazione hanno la proprietà di essere discrete, nel senso che a una loro variazione progressiva non corrisponde una variazione proporzionale della funzione che esse svolgono: per es. alla prima o alla seconda metà del monema banca non corrisponde una porzione del significato ‘banca’; analogamente, realizzando il primo fonema di banca con un’articolazione intermedia tra b e p, non si ottiene un significato intermedio tra ‘banca’ e ‘panca’.
L. Hjelmslev riprese la dicotomia saussuriana ‘significante-significato’ nelle nozioni corrispondenti di espressione e contenuto. L’identificazione su base funzionale delle unità linguistiche avviene con la cosiddetta prova di commutazione, che serve a mostrare se la sostituzione di un elemento con un altro sul piano dell’espressione abbia come conseguenza una differenza sul piano del contenuto o, inversamente, se la sostituzione di un elemento con un altro sul piano del contenuto comporti una differenza sul piano dell’espressione. Qualora si verifichi tale eventualità ciò vuol dire che i due elementi appartengono a classi diverse, cioè l’uno esclude l’altro (è il tipo di rapporto classificato come ‘funzione aut’) e si dicono invarianti. Se invece la modificazione su uno dei due piani non produce una modificazione sull’altro piano i due elementi commutati appartengono alla stessa classe e si dicono varianti (è il tipo di rapporto classificato come ‘funzione et’); la commutazione è estesa da Hjelmslev anche al piano del contenuto. Le posizioni raggiunte dallo strutturalismo (➔), integrando i precedenti metodi di studio della linguistica storica, hanno dato luogo alla linguistica funzionale. Tale ramo della linguistica ha per oggetto di studio le funzioni (grammaticali, sintattiche, distintive, significative ecc.), inerenti per principio agli elementi di cui è costituita una lingua; la forma è dunque considerata non per sè stessa ma in vista della funzione che esplica. In tale contesto, le parole funzionali e gli elementi funzionali del lessico sono le parole, altrimenti dette grammaticali (articoli, preposizioni, congiunzioni e alcuni avverbi), che non hanno un significato proprio, come le parole lessicali, ma svolgono nella frase una funzione grammaticale o sintattica.
Indirizzo istituzionale e organizzativo della cooperazione fra i vari paesi europei, effettuata in singoli settori della loro vita economica anziché in modo generale e immediato nel quadro di una federazione politica vera e propria.
Indirizzo della psicologia che attribuisce alle manifestazioni della vita mentale il carattere di funzioni nel generale processo di adattamento dell’individuo all’ambiente. È sorto e si è sviluppato soprattutto negli USA a opera di W. James e J. Dewey.
Particolare approccio metodologico, sviluppatosi in numerosi indirizzi teorici, che privilegia il concetto di funzione nell’analisi dei fatti sociali. All’origine del f. vi è un particolare significato del termine ‘funzione’, quello di matrice organicistica, secondo il quale la funzione è il contributo che una determinata componente apporta all’organizzazione dell’insieme cui appartiene. In quest’ottica vi è un’evidente connessione tra funzione e bisogno: infatti, la funzione di un organo o di un elemento contenuto in un tutto può essere compresa chiaramente solo se si hanno presenti il bisogno o i bisogni che questi devono soddisfare. Ma, come avverte G. Rocher (1980), non esiste una teoria univoca del f., tanto che sembra più corretto parlare di ‘funzionalismi’.
Esponente più autorevole del f. assoluto, è l’antropologo B. Malinowski, solitamente considerato il padre della tradizione funzionalista. Nella voce ‘cultura’ scritta per l’International encyc;lopaedia of social science (1931), esprime il convincimento, tratto dalle sue numerose ricerche sul campo delle popolazioni primitive, che «l’analisi funzionale della cultura parte dal principio che in ogni tipo di civiltà, ogni usanza, ogni oggetto materiale, ogni idea e ogni credenza riveste una funzione vitale, deve svolgere un compito, rappresenta una parte indispensabile di una totalità organica».
Il f. relativo esprime la critica svolta contro queste tesi dal sociologo americano R.K. Merton, il quale propone l’introduzione di nuovi concetti per rendere compatibile il f. con l’analisi empirica: il concetto di equivalente (o sostituto) funzionale, grazie al quale ogni elemento culturale o sociale svolge più funzioni, allo stesso modo in cui una sola funzione può essere svolta da più elementi; il concetto di disfunzione, in quanto non è vero che tutte le funzioni contribuiscono all’adattamento o all’aggiustamento di un sistema sociale, potendoci essere quelle che ostacolano tali scopi; infine il concetto di funzioni manifeste distinte dalle funzioni latenti, le une conseguenze oggettive dell’azione volontaria e consapevole degli individui che le pongono in essere, le altre invece non comprese e non volute (ma osservabili ugualmente dal ricercatore).
Il f. sistemico o struttural-funzionalismo si distingue dai precedenti perché non si rifà all’analisi degli elementi culturali o sociali, ma adotta come punto di partenza la società considerata in modo astratto come un insieme interrelato di parti che si muovono in vista di obiettivi di integrazione. Ci si domanda quali siano le funzioni essenziali che devono essere svolte perché la società, ogni sistema sociale, esista, si conservi e si perpetui. Per T. Parsons, esponente principale di questo approccio teorico, ogni società, per poter esistere, deve rispondere a quattro imperativi: il perseguimento dei fini, la stabilità normativa, l’adattamento all’ambiente (fisico e sociale), l’integrazione dei membri.
Il neofunzionalismo, di cui si parla a proposito di certi aggiornamenti proposti specialmente da N. Luhmann negli anni 1970 in chiave di teoria generale dei sistemi, riprende l’originaria esortazione alla sintesi di Parsons e critica il f. convenzionale per non essere riuscito a introdurre in modo convincente la contingenza nella propria teoria dell’ordine collettivo. I neofunzionalisti non hanno abbandonato l’idea che la società possa essere analizzata come un sistema intelligibile, ma sono decisamente meno ottimisti di Parsons per quel che riguarda la capacità di una società di risolvere i problemi funzionali, e assai più inclini a riconoscere che le tensioni delle società moderne e postmoderne non possono trovare una soluzione pienamente soddisfacente. Specie i neofunzionalisti statunitensi sostengono che il progresso è fragile e spesso illusorio. I principali programmi di ricerca del neofunzionalismo riguardano gli studi sulla cultura, sul mutamento sociale e quelli di sociologia politica. Per quanto riguarda la cultura, i neofunzionalisti hanno messo in discussione il modello parsonsiano, ridefinendo concettualmente i rapporti tra cultura e società, proponendo un programma di ricerca sulla cultura incentrato sulla chiarificazione della complessa struttura dei sistemi simbolici. Per quanto concerne i programmi di ricerca sul mutamento sociale, i neofunzionalisti hanno rielaborato criticamente la teoria ortodossa del cambiamento sociale sotto più aspetti. In primo luogo, l’attenzione verso la tendenza crescente alla differenziazione culturale, sociale e psicologica è stata integrata con l’individuazione di variabili-modello di mutamento strutturale. Inoltre, lo schema convenzionale della differenziazione ha lasciato il posto a un modello più analitico, in cui assumono un ruolo di rilievo anche le contingenze associate alla mobilitazione e al conflitto fra i gruppi. Mentre il f. ortodosso aveva dato particolare rilievo alla presunta maggiore efficacia ed efficienza di istituzioni differenziate, il neofunzionalismo cerca di mettere in luce altre conseguenze della differenziazione, quali la frammentazione, la mancanza di flessibilità e di affidabilità. Per quanto concerne la sociologia politica, i neofunzionalisti hanno messo in dubbio la concezione parsonsiana della democrazia come risultato di un’evoluzione secolare, opponendovi una serie di analisi storiche e comparative di un’ampia gamma di strutture e movimenti politici. D. Sciulli manifesta la convinzione che la vita moderna sia caratterizzata da una incessante pressione verso la razionalizzazione strumentale e l’autoritarismo burocratico, soprattutto nelle sfere materiali dell’economia e delle istituzioni politiche. Con la sua ‘teoria critica non marxista’ Sciulli intende incoraggiare le attività che accrescono l’autonomia delle formazioni fondate sulla collegialità e i vincoli procedurali. In conclusione, si può osservare che, rispetto al f. nella sua prima versione, nonché alle critiche che gli sono state mosse dall’esterno, il neofunzionalismo ha fatto progressi significativi sia a livello della teoria generale sia a livello dei programmi di ricerca. Esso ha prodotto una vasta gamma di studi e di ricerche che hanno tenuto conto dei rilievi critici, pur conservando la continuità con il nucleo essenziale della tradizione funzionalista.