Atteggiamento o movimento che riconosce come fondamento della conoscenza, del giudizio e dell’operare pratico la ragione e la razionalità.
Corrente di pensiero e di ricerca che si delineò a partire dalla Germania degli anni 1920 e divenne poi un aggregante filone di ricerca per tutto il cosiddetto movimento moderno internazionale. Dal punto di vista degli esiti formali, nel r. si prediligono superfici nude e luminose, ampie vetrate, piante libere per una maggiore disponibilità dello spazio.
Come atteggiamento teorico il r. è fenomeno ricorrente nella trattatistica finalizzata, appunto, alla razionalizzazione dei processi compositivi e costruttivi. Posizioni razionaliste possono essere considerate, nell’età moderna, quelle di C. Lodoli, F. Milizia, F. Algarotti o di architetti e teorici della cosiddetta rivoluzione illuminista: É.-L. Boullée, C.-N. Ledoux, J.-N.-L. Durand.
Una premessa ideale del r. si trova già nelle istanze teoriche inglesi della fine del 19° sec. (scuola delle Arts and Crafts) o, comunque, nei primi fenomeni di meccanizzazione e industrializzazione. Ulteriori prodromi sono, pure, negli esperimenti del Deutscher Werkbund (1907) o in atteggiamenti quali quelli dell’architetto viennese A. Loos. È tuttavia necessario giungere al primo dopoguerra per trovarne formulazioni programmatiche univoche, per es. con la fondazione in Germania, nel 1919, della scuola d’arte del Bauhaus (➔), basata sulla ricerca del rapporto tra progettazione e produzione industriale. Occasioni per la diffusione della ‘ottimistica’ concezione di poter affrancare i popoli dalle ingiustizie sociali intervenendo ‘razionalmente’ nei processi di industrializzazione, con l’architettura come veicolo principale e funzionale allo scopo, furono: il quartiere Weissenhof di Stoccarda (1927); l’analogo quartiere Siemensstadt a Berlino (1929) o le case popolari a Rotterdam di J.J.P. Oud (1924-27). Esperienze di architettura e urbanistica, queste, che consentirono di sperimentare i principi del «programma razionalista»: funzioni primarie per l’ambiente umano; creazione di tipi standardizzati per ogni bene d’uso, dagli oggetti quotidiani alle tipologie dell’edilizia e dell’urbanistica; figura dell’architetto come tecnico capace di affrontare il problema dell’integrazione tra la disciplina architettonica e i problemi costruttivi, estetici, urbanistici, sociali e politici nel complesso ciclo tecnologico che va dalla progettazione industriale alla pianificazione urbana; promozione della necessità di un lavoro di équipe.
Tali eterogenei principi trovarono anche, dal 1928, un proprio organo di diffusione nei CIAM (➔), che ebbero in Le Corbusier uno dei principali animatori. Il r., dunque, come corrente culturale, con un affermato disinteresse per i problemi puramente stilistici e con la ricercata oggettivazione del processo creativo, unì materialmente e idealmente singole personalità o gruppi di lavoro nei vari paesi. Le Corbusier, con le proprie soluzioni architettoniche e urbanistiche, rimane forse la figura di maggior rilievo. L. Mies van der Rohe e W. Gropius, costretti a lasciare la Germania, contribuirono a esportare in America l’eredità del r. per misurarla con la produzione, il mercato e la cultura locali (➔ International Style). Importantissimi furono pure i rapporti tra il r. tedesco e il coevo costruttivismo russo e molti architetti tedeschi, del resto, lavorarono in Russia.
In Italia il r., dopo la formazione nel 1926 del lombardo Gruppo 7, diventa corrente di importanza nazionale con la nascita, nel 1928, del Movimento Italiano per l’Architettura Razionale (➔ MIAR), in cui il gruppo confluì. Questo movimento, impegnato nel rinnovamento dell’architettura, si scontrò con l’arte ufficiale del regime fascista, dando conseguentemente vita a sporadiche realizzazioni architettoniche. Tra i nomi dei protagonisti di quell’impegno organizzativo e progettuale vanno ricordati gli architetti G. Terragni e A. Libera e il contributo critico di E. Persico e G. Pagano.
Dal 1940 l’influenza delle cosiddette normative razionaliste si estese fuori dall’area dei paesi di grande sviluppo economico, sia come occasione di rinnovamento sociale delle condizioni abitative, sia come indiretta forma di colonialismo culturale (l’architettura di alcune capitali africane quali Kinshasa, Elisabethville ecc.).
R. giuridico (o giusnaturalismo razionale o moderno) Corrente di pensiero inaugurata dal giurista olandese U. Grozio, nel De iure belli ac pacis (1625), che pose a fondamento del diritto naturale la ragione umana intesa non come facoltà di attingere ai principi (cioè come logos), ma come facoltà calcolante, capace di stabilire relazioni, secondo il modello rigoroso della matematica. L’esigenza che il diritto positivo venisse sempre portato innanzi al tribunale della ragione umana costituisce ancor oggi un’acquisizione essenziale della coscienza giuridica occidentale. Il r. costituì il presupposto concettuale della codificazione ottocentesca del diritto positivo.
Il termine r. entra nell’uso nel 17° sec. nell’ambiente del deismo inglese per indicare la tendenza ad accogliere le verità religiose non in quanto rivelate, ma solo in quanto possano essere fondate o giustificate dalla ragione. Forme di questo r. religioso possono essere considerate le posizioni di alcuni indirizzi protestanti o di alcune correnti esegetiche del testo biblico o, anche, tesi sulla religione (I. Kant).
In un’altra accezione il termine si è storicamente consolidato nella storiografia filosofica per designare principalmente le filosofie di Cartesio, B. Spinoza e G.W. Leibniz, caratterizzate dalla tesi che la ragione, intesa come speculazione puramente intellettuale e deduttiva, sia lo strumento privilegiato per il conseguimento della verità. Il tentativo cartesiano di elaborare regole metodologiche modellate sul ragionamento deduttivo matematico e volte al conseguimento di un sapere certo e indubitabile rappresenta l’atto di nascita di questo tipo di razionalismo.
Più in generale, si definiscono razionalistiche tutte quelle concezioni filosofiche che, in sede di teoria della conoscenza, considerino la ragione come strumento essenziale per la conoscenza della realtà (sia naturale sia metafisica), contrapponendosi quindi a ogni forma di sensismo o empirismo. Si parla anche di un r. illuministico, fondato sul concetto di ragione, inteso come capacità critica e attitudine antidogmatica, finalizzate in particolare al progresso della conoscenza scientifica in tutti i campi e in generale al miglioramento della condizione umana. Di tipo diverso dai precedenti è il r. hegeliano, consistente nella tesi che lo sviluppo dialettico della realtà e soprattutto della storia presenti un intrinseco significato che gli deriva dall’essere lo sviluppo della stessa Ragione o Spirito.
Con l’espressione r. critico K.R. Popper ha anche definito la propria concezione epistemologica fallibilistica, intendendo così indicare la distanza sia dall’empirismo classico sia dall’empirisimo logico. Tale concezione comporta da un lato la rilevanza dei fattori teorici nell’impresa scientifica (ipotesi, teorie, concezioni generali), dall’altro la funzione critica dell’esperienza su tali fattori.