Formulazione logicamente coerente di un insieme di definizioni, principi e leggi generali che consente di descrivere, interpretare, classificare, spiegare fenomeni di varia natura.
Le domande a cui un’adeguata disamina della nozione di t. deve fornire risposte sono fondamentalmente le seguenti: che cos’è una t. scientifica?; qual è il rapporto tra una t. e i ‘fatti’ dell’esperienza?; qual è lo status conoscitivo di una t.? P. Duhem ed E. Mach intendevano per t. un sistema di proposizioni matematiche, dedotte da un ristretto numero di principi, il cui scopo è di rappresentare e unificare nel modo più semplice ed economico un vasto insieme di leggi sperimentali. Considerando quelli di semplicità e di economia gli unici criteri per la valutazione delle t., Duhem e Mach escludevano esplicitamente che queste possano essere considerate rappresentazioni o descrizioni vere della struttura ultima della realtà; esse sarebbero solo degli efficaci strumenti per organizzare e prevedere i fenomeni sperimentali. Benché tale prospettiva ‘strumentalistica’ o pragmatica sia stata spesso criticata, la caratterizzazione della struttura delle t. su cui essa si basa è stata comunque ampiamente articolata e precisata nel corso del 20° secolo.
Secondo la concezione elaborata dai rappresentanti del positivismo logico (in particolare da R. Carnap, C.G. Hempel ed E. Nagel), una t. è un sistema di ipotesi mediante le quali viene unificata e spiegata una vasta e qualitativamente eterogenea gamma di regolarità empiriche (leggi sperimentali), che vengono così interpretate come manifestazioni macroscopiche di entità e processi a esse sottostanti. L’introduzione di entità e processi teorici, e quindi non osservabili ma soltanto ipotetici, viene solitamente operata, secondo questa concezione, allorché esista un corpus di leggi sperimentali la cui validità sia stata accertata indipendentemente dalla teoria. Fondamentale è la distinzione tra leggi sperimentali (o empiriche) e termini osservativi da un lato, e leggi teoriche e termini teorici dall’altro. Nella prospettiva neoempiristica una t. può essere caratterizzata come un sistema assiomatico di tipo ipotetico-deduttivo dai cui enunciati primitivi o postulati (o assiomi) possono essere ricavati, per mezzo di regole di inferenza deduttive, altri enunciati (teoremi). Naturalmente, una t. viene di solito formulata attraverso l’utilizzazione di termini descrittivi tipicamente teorici e le sue connessioni con l’esperienza e i dati sperimentali non sono affatto evidenti. Il problema che si è posto ai neoempiristi è stato pertanto quello di colmare il divario tra leggi teoriche (contenenti termini teorici) e leggi sperimentali (contenenti solo termini osservativi), in modo da poter dedurre queste ultime dalle prime. A questo obiettivo avrebbero risposto opportune ‘regole di corrispondenza’ mediante cui certi termini teorici vengono collegati con termini osservativi e senza le quali i primi sarebbero privi di portata osservativa. La connessione in tal modo operata fornisce comunque solo un’interpretazione empirica ‘parziale’ dei termini teorici, potendo ciascuno di questi essere associato a più di una procedura sperimentale, e quindi non identificandosi il suo significato empirico con una procedura sperimentale univoca.
Pur fornendo la concezione neoempiristica delle t. la più organica sistematizzazione del 20° sec., essa è stata variamente criticata. L’obiezione più rilevante che le è stata rivolta è quella che ha messo radicalmente in discussione la distinzione tra termini ed enunciati osservativi e termini ed enunciati teorici sui cui essa è interamente basata. Già avanzata da K.R. Popper e da W.V.O. Quine, tale obiezione è stata argomentata nel modo più radicale, tra la fine degli anni 1950 e i primi anni 1960, da vari filosofi della scienza (S. Toulmin, N.R. Hanson, T. Kuhn, P.K. Feyerabend) che hanno sottolineato come le asserzioni osservative siano esse stesse già «cariche di teoria», nel senso che assunzioni di ordine teorico agirebbero sin dall’inizio orientando e interpretando l’osservazione, che appare pertanto priva di quel potere di controllo indipendente da qualsiasi presupposto teorico che le era stato attribuito. L’esistenza di osservazioni ‘neutre’ rispetto alle t., alle quali queste ultime si sovrapporrebbero fornendone spiegazioni, è stata così considerata poco meno di un mito. Nella prospettiva antipositivistica di Kuhn (The structure of scientific revolutions, 1962) intercorrono profondi e complessi intrecci tra osservazione, esperimento e ipotesi teoriche, intrecci di cui solo l’indagine storica può rendere conto. Dal quadro delineato da Kuhn non emerge tanto un’astratta definizione di t. scientifica, quanto la descrizione di un’attività (quella degli scienziati) volta a interpretare settori sempre più ampi della realtà e a escogitare le stesse procedure sperimentali sulla base di presupposti scientifici, metodologici e metafisici propri di una particolare epoca storica (i cosiddetti ‘paradigmi’) e destinati a essere sostituiti da altri presupposti in epoche di ‘rivoluzione scientifica’. L’approccio storico di Kuhn ha operato un profondo mutamento nell’indagine epistemologica in genere e in quella sulla nozione di t. in particolare: dall’analisi astorica e logico-strutturale tipica del neopositivismo, l’interesse epistemologico si è volto, mediante l’analisi di specifici case studies desunti dalla storia della scienza, all’approfondimento di problematiche quali la genesi storica delle t. e il cambiamento teorico.
Benché i presupposti del neoempirismo siano stati irrimediabilmente minati dagli approcci epistemologici di tipo storico, le analisi strutturali che caratterizzavano le indagini neoempiristiche non sono state del tutto abbandonate e un certo rilievo presentano alcune recenti analisi semantiche delle t., intese come sistemi assiomatici, nei termini della teoria logico-matematica dei modelli. Tali analisi, per le quali la distinzione teorico-osservativo ha perduto la centralità che le attribuivano i neoempiristi, si devono principalmente a J.D. Sneed e W. Stegmüller, M. Przełecki, P. Suppes, M.L. Dalla Chiara, B.C. van Fraassen.
L’indirizzo epistemologico di tipo storico è stato spesso accusato di dare un’immagine relativistica della scienza, un’immagine le cui conseguenze sul piano del problema dello status conoscitivo delle t. sono abbastanza ovvie. Chi subordina le t. scientifiche a visioni del mondo storicamente mutevoli difficilmente può ritenere legittima la domanda se esse siano descrizioni vere, o sempre più corrette, della realtà. In conseguenza di questi esiti dell’epistemologia contemporanea si è acuito il dibattito sullo status conoscitivo delle teorie. Esplicite tesi realiste relativamente alle entità e ai processi postulati dalle t. sono state sostenute soprattutto da Popper e H. Putnam: il primo ha considerato la successione storica delle t. come un asintotico avvicinamento alla verità; Putnam, almeno in una prima fase del suo pensiero e in esplicita polemica con la visione di Kuhn, ha insistito sul riferimento ontologico dei termini teorici e sulla stabilità interteorica di tale riferimento.
In anni più recenti al relativismo e allo strumentalismo sono state contrapposte concezioni realiste (N. Cartwright e I. Hacking), secondo cui va riconosciuta esistenza fisica reale almeno a quelle entità teoriche i cui poteri causali possono essere controllati sperimentalmente. Non sono tuttavia mancate anche sofisticate prospettive di tipo positivistico e strumentalistico, come quella di van Fraassen, che identifica le t. con strutture matematiche provviste di modelli empirici, ossia strumenti per rappresentare correttamente i fenomeni osservabili, senza pretendere che esse possano essere anche considerate vere, nel senso di descrivere la struttura ultima e inosservabile della realtà.
L’evoluzione del concetto di t. deduttiva (di cui soprattutto si occupa la logica matematica) risulta strettamente collegata ai successivi tentativi di esporre in modo organico le t. matematiche, considerate come le t. deduttive per antonomasia. Per questa via, nel 4° sec. a.C., si pervenne alla concezione di t. deduttiva esposta da Aristotele e realizzata da Euclide nei suoi Elementi. Una t. deduttiva è un sistema organico di termini e di enunciati relativi a un prescelto settore o aspetto della realtà in modo che siano verificate le seguenti condizioni: a) un numero finito di termini indefiniti, la cui intelligibilità è evidente, costituisce una base sufficiente per definire qualunque altro termine della t.; b) nella t. esiste un numero finito di enunciati veri perché evidenti, detti assiomi o postulati, dai quali è possibile ricavare mediante corrette deduzioni logiche tutti gli altri enunciati veri della t.; c) se un certo insieme di enunciati appartiene alla t., a questa appartiene pure qualunque altro enunciato deducibile da quell’insieme. Questa concezione classica di t. deduttiva si è conservata per oltre 2000 anni senza eccessive preoccupazioni critiche. Eppure in essa ha un ruolo fondamentale il criterio extralogico dell’evidenza intuitiva (anche se limitato all’intelligibilità dei termini primitivi e alla verità degli assiomi); inoltre a questa concezione possono essere fatte altre obiezioni più profonde come, per es., l’illecita identificazione tra verità e dimostrabilità.
Con la scoperta delle geometrie non euclidee, avvenuta nel 19° sec., il metodo assiomatico classico fu posto in crisi. La concezione moderna di t. deduttiva è fondata sulla negazione di qualsiasi forma di intuibilità e di verità assoluta degli assiomi: questi sono considerati solo come condizioni in qualche modo arbitrarie che devono essere soddisfatte dagli oggetti denotati dai termini primitivi, i quali, poi, non sono più indefiniti perché intelligibili intuitivamente, ma sono definiti implicitamente dagli assiomi. I Grundlagen der Geometrie di D. Hilbert costituiscono la prima grande opera in cui questo metodo assiomatico moderno viene applicato fino alle sue ultime conseguenze.
Una t. deduttiva T è, dunque, un insieme di enunciati o formule, espresse in un determinato linguaggio L (ordinario o simbolico) suscettibile di opportune interpretazioni in alcuni settori o aspetti della realtà. Si parla di t. formalizzata in senso stretto o anche di formalismo o di sistema formale quando T è costituita solamente dal suo linguaggio, dal suo apparato deduttivo e dai teoremi in essa dimostrabili, senza nessun riferimento esterno. Si parla di t. deduttiva (o anche di t. formalizzata in senso ampio) quando si associa al sistema formale T la sua interpretazione in un insieme di oggetti, detto ‘universo dell’interpretazione’ (➔ logica).
Le diverse t. deduttive si distinguono l’una dall’altra per il linguaggio, per l’apparato deduttivo o per entrambi queste componenti. L’apparato deduttivo di un sistema formale è costituito dagli assiomi e dalle regole di inferenza. L’insieme degli assiomi si compone di due sottoinsiemi distinti di formule, quello degli assiomi logici e quello degli assiomi propri della t.; se quest’ultimo sottoinsieme è vuoto, il sistema formale costituisce un calcolo logico. I calcoli logici in cui tra gli operatori logici si usano soltanto i connettivi si dicono enunciativi, quelli in cui si adoperano anche i quantificatori si dicono predicativi. Se i quantificatori sono applicabili solo a individui si hanno i calcoli predicativi del primo ordine o elementari, se i quantificatori sono applicabili anche ai predicati si ottengono i calcoli predicativi di ordine superiore.
Le t. formalizzate sulla base di calcoli elementari si dicono t. del primo ordine o elementari. Molte t. matematiche sono formalizzabili come t. elementari. Così avviene, per es., delle t. dell’ordinamento parziale, dell’equivalenza, dei gruppi, degli anelli, dei campi ecc. Per sviluppare molte t. matematiche elementari risulta conveniente includere tra i simboli dell’alfabeto la costante predicativa di identità, il cui simbolo è =, definita implicitamente mediante opportuni assiomi che generalmente si conviene di conglobare tra gli assiomi logici. Ogni sistema formale di questo genere si dice una t. del primo ordine con identità. Tali sono, per es., le t. dei gruppi, quella degli anelli ecc.
Le dimostrazioni effettuate con il calcolo logico di Hilbert e Bernays (➔ logica) o con altri calcoli di tipo equivalente sono assai diverse da quelle che effettivamente un matematico adopera nella dimostrazione dei suoi teoremi. G. Gentzen ha costruito altri tipi di calcoli (calcoli di Gentzen), che in quanto più vicini agli ordinari processi deduttivi sono chiamati calcoli naturali o t. della deduzione naturale. Ci limitiamo a ricordare uno di questi calcoli con riferimento a una t. formalizzata elementare: il cosiddetto calcolo N. I connettivi adoperati sono ¬, ⋀, ⋁, →, ⇄; i quantificatori ∀, ∃. Questo calcolo non ha assiomi, ma solo 14 regole: le prime 2 permettono rispettivamente di introdurre assunzioni ed espressioni aventi la forma della legge del terzo escluso, le altre 12 consentono trasformazioni sulle espressioni, prescrivendo come aggiungere o eliminare connettivi e quantificatori in espressioni date. Una derivazione nel calcolo N di un’espressione A è una successione finita di espressioni ciascuna delle quali o è un’assunzione o è il risultato di un’applicazione della regola del terzo escluso o è ottenuta mediante una delle ultime regole e in cui l’ultima espressione è A. Con alcune modifiche il calcolo N diventa accettabile anche dagli intuizionisti.
Nell’antica Grecia, la delegazione che le città-Stato inviavano alle grandi celebrazioni religiose e ginniche; era composta di teori, che variavano di numero a seconda delle circostanze, e guidata da un architeoro. I teori erano ospitati o a spese dello Stato in cui si recavano, o presso i prosseni della loro città, o presso ospiti pubblici detti teorodochi.