In scienza della gestione, indicatore degli standard che l’organizzazione aziendale si prefigge di raggiungere. Una volta definita la missione di un’impresa, il passo successivo della pianificazione strategica d’azienda è di stabilire come tale missione debba essere realizzata. Ciò avviene formulando una serie di o. intermedi, definiti in termini il più possibile quantitativi, da raggiungere in tempi prefissati. Tali o. formano la base per la pianificazione, la fonte delle politiche d’impresa, la definizione di standard di prestazione e la valutazione delle prestazioni. Il risultato effettivo viene misurato e connotato con quanto previsto e questo confronto diventa un punto di riferimento per la valutazione della gestione d’impresa, del comportamento dei manager e delle prestazioni complessive. In questo quadro, gli o. servono anche come fattore motivante, ossia a incoraggiare il personale dell’organizzazione a raggiungere le finalità stabilite. Gli o. aziendali specifici sono in genere una conseguenza diretta delle finalità generali dell’organizzazione e riguardano: redditività, posizione sul mercato (ovvero fasce di utenza e quote di mercato), servizio all’utente, sviluppo delle risorse umane, finalità connesse al pubblico interesse (fornire occupazione e formazione, garantire la sicurezza sul lavoro e la qualità dell’ambiente ecc.).
Nella prassi aziendale, vengono detti o. di breve periodo quelli realizzabili nel periodo di un anno o meno, e o. di lungo periodo quelli realizzabili nell’arco di un periodo superiore all’anno. Sono detti, inoltre, o. esterni quelli che si concentrano sui servizi al cliente e alla società nella sua globalità; interni quelli progettati per soddisfare esigenze interne all’organizzazione. La gestione per o. è una tecnica gestionale flessibile, che può essere introdotta a livello locale come a livello dell’intera organizzazione, anche se, generalmente, il processo inizia dall’amministratore delegato, che definisce gli o. consultando il Consiglio di amministrazione, estendendosi poi a tutta l’organizzazione, dall’alto verso il basso, attraverso una sequenza di riunioni in cui i capi, ai vari livelli, fissano con i loro subordinati gli o. parziali, fino al livello più basso della gerarchia aziendale.
Dispositivo ottico costituito da un sistema di lenti o di specchi capace di raccogliere e riprodurre un’immagine reale di un oggetto, la quale può essere osservata mediante un oculare o un display digitale.
Gli o. si distinguono in diottrici e in catottrici, a seconda che siano costituiti da lenti o da specchi; quelli diottrici vengono usualmente classificati, a seconda del numero delle lenti, in singoletti (a una lente), doppietti (a due lenti), tripletti (a tre lenti), ecc; esistono poi o. catadiottrici, composti di specchi e lenti, allo scopo di diminuire le aberrazioni, alcune delle quali danno luogo a effetti opposti nei sistemi catottrici e in quelli diottrici. A seconda dello strumento sul quale sono montati, gli o. si distinguono in o. da cannocchiale o da telescopio, o. da microscopio, o. fotografico, o. per proiettori (sostanzialmente analoghi a quelli fotografici).
I principali elementi caratteristici di un o. sono: l’apertura relativa, rapporto tra il diametro h della pupilla d’ingresso (➔ diaframma) e la distanza focale f (A = h/f); il fattore di trasparenza, rapporto tra il flusso luminoso uscente dall’o. e il flusso che incide su di esso attraverso la pupilla d’ingresso; l’angolo del campo (o campo), angolo entro il quale le immagini di oggetti estesi fornite dall’o. risultano sensibilmente esenti da aberrazioni; l’ingrandimento, lineare e angolare (➔ ingrandimento); il potere separatore (➔ potere). L’apertura relativa A e il fattore di trasparenza T determinano poi la luminosità l dell’o., definibile, con riferimento a oggetti che abbiano dall’o. distanza abbastanza grande rispetto alla distanza focale, mediante la formula l=πA2T/4.
Sono o. diottrici costituiti di solito da un sistema di 2 o 3 lenti sottili, coassiali, vicine o addirittura incollate; l’apertura relativa varia tra 1/5 (o. a corto fuoco, per es., quelli da binocolo) e 1/20 (o. a lungo fuoco, per es., quelli dei grandi cannocchiali astronomici); il campo è sempre piuttosto ristretto. La posizione dell’oggetto, che viene sempre a trovarsi al di là del doppio della distanza focale, fa sì che l’immagine risulti sempre rimpiccolita. Gli o. di maggior diametro (fino a ∿1 m) sono sempre costituiti, a evitare forti aberrazioni cromatiche, da un doppietto di vetri adatti; per o. di modesto diametro si usano anche tripletti, che, con una opportuna scelta dei vetri e delle distanze focali, possono costituire degli obiettivi apocromatici.
Sono o. catottrici (per telescopi qui s’intendono quelli riflettori), costituiti da uno specchio concavo, oppure, nei cosiddetti telescopi di Schmidt, da uno specchio concavo e da una lastra sottile trasparente opportunamente sagomata.
Si tratta generalmente di un sistema di lenti piuttosto complesso (ciò per ottenere una buona correzione delle aberrazioni), atto a dare immagini notevolmente ingrandite di oggetti che vengono posti in un piano normale all’asse del sistema, a una distanza dalla lente frontale di poco superiore alla prima distanza focale del sistema. Sono o. fortemente convergenti (distanza focale minore di 40 mm), a elevata apertura, sensibilmente esenti da aberrazioni di sfericità (o. planeici) e da cromatismo; in quelli a più piccola distanza focale la lente frontale è emisferica, con la fronte piana rivolta verso l’oggetto (o. acromatico di Amici). Vi sono o. detti a immersione, usati quando per avere immagini corrette è necessario che tra l’oggetto e la lente sia interposto un mezzo otticamente omogeneo che abbia lo stesso indice di rifrazione della lente frontale (glicerina o, meglio ancora, olio di cedro); gli o. per i quali non è necessario tale artificio si chiamano, invece, o. a secco.
I numerosi tipi di o. da microscopio possono essere classificati nelle seguenti categorie: o. acromatici, resi acromatici solo per due colori dello spettro, generalmente le lunghezze d’onda 6536 e 4861 Å; o. semiapocromatici, o. acromatici nei quali il cromatismo residuo è fortemente ridotto realizzando alcune delle lenti in fluorite; o. apocromatici, sensibilmente più complessi dei precedenti, a forte ingrandimento, molto luminosi e acromatizzati per tre colori dello spettro.
Accanto a questi o. diottrici si usano anche o. catottrici, costituiti da due specchi sferici foggiati e disposti secondo lo schema riportato in fig. Poiché si tratta di o. a riflessione, l’acromatismo è perfetto in tutto lo spettro, qualità questa che è assolutamente impossibile ottenere con o. diottrici.
Questo o. costituisce il sistema ottico convergente atto a formare l’immagine reale dell’oggetto inquadrato sul piano focale della macchina da ripresa (apparecchio fotografico, cinepresa o telecamera). La categoria degli o. diottrici è estremamente varia e notevolmente differenziata a seconda delle specifiche necessità; gli o. catadiottrici trovano impiego in fotografia e nella cinematografia scientifica come teleobiettivi per lunghezze focali molto elevate. La classificazione più significativa è quella basata sul valore della lunghezza focale dell’o.: con larga approssimazione, è comunemente considerato o. normale quello che presenta una lunghezza focale comparabile alla diagonale del fotogramma (ca. 50 mm per il formato 24 × 36 mm, intorno a 80 mm per il 6 × 6 cm); l’o. grandangolare e il teleobiettivo hanno lunghezza focale, rispettivamente, inferiore e superiore a quella dell’o. normale. Nell’o. zoom, la possibilità di variare con continuità la lunghezza focale entro ampi limiti, spaziando anche tra configurazioni ottiche di tipo diverso (grandangolare, normale, teleobiettivo), consente all’operatore di modificare a suo piacere la scelta del campo ripreso. Esiste inoltre l’o. macro, caratterizzato da elevati valori di ingrandimento a scapito della luminosità, che consente la messa a fuoco anche di oggetti molto vicini all’apparecchio da ripresa.
Nella generalità dei casi gli o. fotografici costituiscono sistemi ottici complessi, costituiti da numerosi elementi semplici (lenti concave e convesse), variamente disposti e riuniti in gruppi, al fine di compensare le reciproche aberrazioni. La messa a fuoco dell’immagine è conseguente, di norma, allo spostamento elicoidale del solo gruppo frontale dell’o.; è inoltre presente, nei soli o. diottrici, la ghiera di regolazione dell’apertura del diaframma. Per eliminare riflessi indesiderati, ridurre la trasparenza alle radiazioni ultraviolette e ottenere una fedeltà cromatica uniforme, si adottano particolari procedimenti tecnologici, come il trattamento multistrato, antialone, delle lenti prima del loro assemblaggio in gruppi. Esistono anche o. motorizzati per aumentare la velocità di messa a fuoco degli apparecchi autofocus. Si è infine sviluppato il settore degli o. provvisti di lenti asferiche, che risultano più compatti, leggeri e con caratteristiche generalmente migliori di quelli formati solo da lenti delimitate da superfici sferiche.
O. educativi Le mete o traguardi che l’azione educativa si propone di raggiungere in un determinato processo di istruzione. Pur rientrando nella più generale categoria delle finalità educative, da queste si distinguono per la loro maggiore concretezza e per il fatto di essere connessi all’individuazione di comportamenti coerenti e di attività empiricamente osservabili e misurabili. La ricerca relativa si è sviluppata, soprattutto negli Stati Uniti, in opposizione alla tradizione pedagogica delle finalità educative, da tutti considerate troppo vaghe e difficilmente accertabili, quindi scarsamente utili per l’attività di formazione. La definizione di o. educativi validi in questo campo implica una serie di chiarificazioni. Si ritiene che da o. generali (riferiti, per es., a un corso intero di studi) si debba scendere a o. più specifici o propriamente comportamentali (come quelli relativi a singole unità didattiche o addirittura a singole operazioni). Gli o. educativi possono essere di diversa natura: cognitivi (riferiti alle abilità intellettive); affettivi (con riguardo agli atteggiamenti, interessi, valori ecc.); contenutistici (con riferimento agli ‘oggetti’ delle discipline studiate) ecc. Sono state elaborate differenti classificazioni di o. educativi. Tra queste, la tassonomia di B.S. Bloom comprende le categorie: conoscenza, comprensione, applicazione, analisi, sintesi, valutazione. Quella di R.M. Gagné dispone in serie: apprendimento di segnali, di serie verbali, di concetti, di principi, risoluzione di problemi. Altre classificazioni sono state effettuate da G. Hoz e da J.P. Guilford. Nel 1999, in linea con questo impianto concettuale, furono introdotte particolari figure professionali, contrattualmente regolate, dette appunto funzioni-obiettivo. Si tratta di incarichi assegnati a docenti individuati tra il personale di ogni scuola volti alla realizzazione del piano dell’offerta formativa. L’istituto è stato confermato anche nelle sessioni negoziali successive mutando solo il nome degli incarichi in: «funzioni strumentali al piano dell’offerta formativa».