Superficie piana, generalmente orizzontale, ma anche verticale o variamente inclinata.
Disegno, rappresentazione grafica di opere naturali o artificiali, di un luogo, di un terreno, o di un complesso di elementi predisposti secondo una precisa collocazione, che, accompagnata di solito da opportune didascalie o norme esecutive (a cui pure si dà il nome di p.), è destinata a servire di guida e di progetto per una costruzione.
Complesso di indicazioni, ordinatamente elaborate e prefissate nella loro successione, per lo più (ma non necessariamente) in un documento scritto, secondo le quali si intende predisporre e regolare lo svolgimento di un’azione, di un’attività o di una serie di attività, di un’impresa.
Complesso di norme che regola un determinato ambito territoriale e lo sviluppo edilizio dei centri abitati sia per quanto riguarda la costruzione di nuovi quartieri, sia per quanto riguarda la sistemazione di quelli esistenti; anche il progetto con i relativi allegati grafici.
L’organizzazione dei centri abitati e la guida del loro sviluppo sul territorio devono tener conto di numerosi fattori sia attuali sia potenziali; indispensabile è adeguare la struttura urbanistica alle necessità risolvendo i problemi inerenti a tale necessità, ma altrettanto importante è prevedere il dinamico evolversi dei bisogni della collettività e il loro continuo compenetrarsi. All’assolvimento di questo compito è deputato un insieme coerente di conoscenze teoriche e pratiche che, per convenzione, si definisce p. generale urbanistico.
In Italia la legge fondamentale sulle espropriazioni per cause di pubblica utilità (l. 2359/25 giugno 1865) disciplinava, sia pure in forma succinta, la sistemazione dei centri abitati, istituendo il p. regolatore edilizio e il p. di ampliamento. Il primo (previsto per Comuni con almeno 10.000 abitanti) poteva essere redatto «per causa di pubblico vantaggio determinata da attuale bisogno di provvedere alla salubrità ed alle necessarie comunicazioni»; in esso sono «tracciate le linee da osservarsi nella ricostruzione di quella parte dell’abitato in cui sia da rimediare alla viziosa disposizione degli edifici, per raggiungere l’intento». Il secondo poteva essere redatto da tutti «i comuni pei quali sia dimostrata l’attuale necessità di estendere l’abitato»; in esso sono «tracciate le norme da osservarsi nella edificazione di nuovi edifici, a fine di provvedere alla salubrità dell’abitato ed alla più sicura, comoda e decorosa sua disposizione».
Per molti anni la concezione del 1865 è risultata rispondente alle necessità; con il tempo insorse però la difficoltà di una concreta delimitazione del territorio a cui riferire i p. regolatori e i p. di ampliamento, dovuta alla grande dispersione della edificazione nelle zone periferiche delle città. Molti comuni adottarono allora i due p. contemporaneamente, creando il presupposto della unificazione dei p. stessi in un unico p. organico, che diventò poi il p. regolatore generale.
Il p. regolatore si andò gradatamente evolvendo, diventando un atto normativo di una certa complessità, prevedendo oltre al p. viario e alle norme di espropriazione anche la divisione in zone, la loro correlazione e il loro proporzionamento, i servizi pubblici ecc. Si impose quindi la necessità di un organico intervento legislativo, che tenesse conto degli insegnamenti della scienza urbanistica. La legge urbanistica 1150/17 agosto 1942, che può considerarsi la conseguenza del Congresso nazionale di urbanistica tenuto a Roma nel 1937, provvide a questa esigenza. Tale legge ha fatto del p. regolatore generale lo strumento essenziale per la sistemazione dei centri abitati; tenendo soprattutto conto delle necessità future, rendendone obbligatoria l’adozione ed estendendone la validità a tutto il territorio comunale con la opportuna zonizzazione. Il p. regolatore generale ha vigore a tempo indeterminato. Nelle intenzioni della legge urbanistica del 1942 e nelle sue applicazioni, affinché il p. sia efficace e non risulti un progetto irrealizzabile, è ritenuto indispensabile che nella sua redazione sia tenuto conto di tutti i fattori umani, naturali, ambientali, economici, sia presenti sia prevedibili in futuro, che contribuiscono in varia misura a determinare la complessiva struttura urbanistica delle città. La redazione vera e propria del p., secondo questo approccio, è quindi preceduta da uno studio accurato di tali fattori: esso viene fatto di regola mediante indagini statistiche sui vari fenomeni che interessano i fattori stessi per accertarne l’entità, le variazioni che possono verificarsi nel tempo e nello spazio e le varie correlazioni esistenti o possibili tra di loro.
I principali fenomeni che sono campo d’indagine preliminare per la redazione del p. sono: i movimenti demografico e migratorio della popolazione; la consistenza e la qualità delle abitazioni; l’entità, la natura, le direzioni delle correnti di traffico; i servizi pubblici; il clima; la natura geologica e topografica dei terreni; la legislazione in vigore, soprattutto per quanto riguarda la tutela dell’ambiente e del paesaggio; le attività industriali, artigiane, professionali, di scambio della popolazione. Sulla scorta dei dati ricavati dalle indagini, con successive approssimazioni, viene definito e trascritto in tavole grafiche il proporzionamento d’insieme delle varie zone (zonizzazione) e delle necessarie attrezzature (impianti per l’assistenza, per l’istruzione, per la ricreazione, per il riposo ecc.), anche in relazione ai tempi di attuazione. P. attuativi specificano successivamente le prescrizioni contenute nel p. urbanistico generale e gli obblighi ai quali i titolari delle aree interessate debbono adempiere prima di procedere agli interventi previsti. Il p., nei contenuti tecnici fissati dalla legge 1150/42 e nella pratica che ne è seguita, ha l’ambizione di descrivere nel dettaglio lo stato presente e quello futuro di territori, a volte, anche molto vasti.
In altri paesi europei, diversamente, il p. urbanistico generale si limita a esprimere poche e fondamentali indicazioni, rinviando ad altri strumenti e ad altri momenti, con ampio margine di autonomia, le decisioni di merito. Tale orientamento dipende sia dalla sempre meno prevedibile evoluzione dei fattori che incidono sulla struttura di un territorio, sia dalle modalità e dai tempi secondo i quali è conformato e utilizzato lo spazio urbano. Un p., in cui ogni scelta sia stata predeterminata all’inizio, richiederà faticosi aggiustamenti (le cosiddette ‘varianti’ al p.) in ogni circostanza nella quale, nel corso del processo di attuazione, su una data previsione non sarà stato possibile formare le intese necessarie alla fase operativa.
L’inefficacia imputata all’idea di p. contenuta nella legge 1150/42 ha prodotto, nel tempo, continue innovazioni, più che nella legislazione fondamentale (che non ha poi avuto una riforma organica), nella legislazione prodotta dalle regioni, alle quali dal 1972 è stata trasferita la competenza primaria in materia urbanistica, e, soprattutto, nella pratica professionale. Gli orientamenti più diffusi di riforma hanno portato all’individuazione – recepita in molte leggi regionali – di un duplice livello di p.: di tipo strutturale, il primo; di tipo operativo, il secondo.
Il p. strutturale definisce le strategie di sviluppo a lungo termine di un territorio e le basa sul controllo di poche variabili fondamentali: le direttrici geografiche di crescita o le aree di rigenerazione degli insediamenti preesistenti, le connessioni tra le reti della mobilità pubblica e privata, i beni storici, ambientali e paesaggistici da sottoporre a tutela.
Il p. operativo regola la formazione e l’attuazione delle specifiche azioni di intervento, che, nel confermare gli indirizzi generali, godono però dell’autonomia necessaria a corrispondere alle esigenze poste dai tempi. L’esproprio è sostituito, laddove possibile, dalla concertazione, trasparente e regolata, con la sfera privata.
Rilevanti sono anche le correlazioni e la reciproca funzionalità tra il p., da un lato, e gli strumenti di pianificazione e programmazione generale e settoriale, quali, per es., i programmi ferroviari e autostradali oppure i programmi – regionali, nazionali e comunitari – finalizzati a incentivare lo sviluppo economico. In questa accezione, il p. si distacca sempre più dall’idea originaria: da strumento di tutela differenziata degli interessi pubblici prevalenti diviene strumento per l’accompagnamento attivo dei processi di sviluppo di un determinato territorio. Altre sperimentazioni rispettano nella forma la legge fondamentale urbanistica ma nella pratica propongono un modello di p. del tutto diverso. A Milano, per es. a seguito della legge regionale 9/99, lo strumento generale di p. è il Documento di inquadramento delle politiche urbanistiche comunali – un testo anche nella veste grafica molto distante dagli elaborati del p. tradizionale – nel quale alcuni orientamenti di larga massima stabiliscono i criteri per valutare gli interventi sul territorio. Il vecchio p. urbanistico resta in vigore ma può essere variato con rapidità ogniqualvolta se ne ravveda la necessità. Nella pratica, scompaiono le previsioni di lungo periodo; il p. governa solo la contingenza.
Il p. contenente il circolo massimo assunto come riferimento di un determinato sistema di coordinate sferiche celesti. Nel sistema altazimutale (altezza e azimut), il p. fondamentale è il p. dell’orizzonte; nei sistemi equatoriali (angolo orario e declinazione, ovvero ascensione retta e declinazione) è il p. dell’equatore celeste; nel sistema eclitticale (longitudine e latitudine eclittica), è il p. dell’eclittica; nel sistema delle coordinate galattiche, è il p. dell’equatore galattico.
In meccanica celeste, il p. che passa per il baricentro del Sistema solare (cioè il Sole) ed è perpendicolare al momento risultante delle quantità di moto del sistema; se si considera il Sistema solare come isolato, questo p. ha giacitura costante.
Razionale utilizzazione dei mezzi già disponibili e di quelli di cui il soggetto ritiene di poter disporre in un dato periodo di tempo, in modo da conseguire il più economicamente possibile i fini che intende raggiungere (➔ programmazione): si possono avere p. di consumo e p. di produzione, p. individuali e collettivi, p. volontari e p. obbligatori, p. indicativi e p. di organizzazione sociale, p. statali globali e di settore.
Elenco dettagliato delle azioni necessarie per realizzare gli obiettivi (generalmente di tipo organizzativo) stabiliti da un’azienda. I p. aziendali sono classificati secondo tre dimensioni: tempo, finalità e portata. Considerando il tempo, si distinguono generalmente: p. a breve termine (un anno o meno), p. di medio termine (tra uno e 5 anni), p. di lungo periodo (5 anni e più). L’arco temporale coperto dalla pianificazione deve essere collegato agli impegni temporali dell’organizzazione per le decisioni in esame.
Considerando le finalità, vi sono una molteplicità di tipi di p. generali o per specifiche finalità; in particolare: p. mirati e p. permanenti. I p. mirati sono sequenze di azioni predeterminate sviluppate per situazioni non ripetitive. Alcuni tipi di p. mirati largamente presenti in azienda sono il programma (insieme di azioni coordinate per raggiungere finalità prefissate, spesso con un unico responsabile, il program manager), il progetto (insieme di attività finalizzate alla realizzazione di un prodotto ben definito, generalmente con un unico responsabile, il capo progetto), il p. finanziario di attività (raccolta dei dati economici relativi a una data attività, posti in un formato adeguato alle esigenze dei responsabili del budget ai vari livelli), il p. di contingenza (insieme di attività da sviluppare a fronte di uno scenario diverso da quello di riferimento e da utilizzare in caso di deviazione dell’evoluzione attesa). I p. permanenti sono corsi di azione predeterminati che si applicano a situazioni ripetitive al fine di accelerare il processo decisionale e consentire ai manager di affrontare situazioni simili in maniera coerente. Tipi comuni di p. permanenti sono quelli che danno luogo a procedure, politiche aziendali, regole di decisione.
Considerando infine la portata, si distinguono generalmente p. strategici, tattici e operativi. Il p. strategico riguarda i principali obiettivi di un’organizzazione, le azioni per la loro realizzazione e la conseguente allocazione di risorse necessaria. Il p. tattico riguarda l’implementazione a breve-medio termine di attività correnti e la relativa allocazione di risorse, dettagliando le modalità con cui le diverse attività verranno realizzate. Il p. operativo riguarda l’assegnazione di compiti a persone e a macchine, la sequenza temporale delle attività, la definizione di standard di lavoro e quote di produzione.
Macchina semplice per il sollevamento di pesi, costituita da una superficie piana A (fig. 1) inclinata di un angolo α sul p. orizzontale B. Se il peso P di un corpo C, poggiato su A, viene equilibrato con una forza F parallela ad A, la condizione di equilibrio, in assenza di attrito, è espressa, a norma del principio dei lavori virtuali, dalla relazione F/P=h/l=senα dove h e l sono rispettivamente l’altezza e la lunghezza del p. A. Se P viene invece equilibrato con una forza F′ parallela alla base b del p. A, sempre in assenza di attrito, si ha F′/P=h/b=tangα. Nel primo caso, poiché è sempre h<l, la macchina è sempre vantaggiosa; nel secondo caso essa è vantaggiosa, indifferente o svantaggiosa a seconda che sia h⋚b. L’attrito, se c’è, può essere da solo sufficiente ad assicurare l’equilibrio del corpo C; se ϕ è l’angolo di attrito, ciò si verifica per α≤ϕ; se viceversa α>ϕ l’equilibrio può essere assicurato applicando al corpo una forza F nello stesso verso dell’attrito, quindi parallela al p., ma naturalmente questa deve essere minore di quella che, a parità di ogni altra condizione, è necessaria in assenza di attrito: precisamente, deve essere F/P=senα−f cosα, essendo f il coefficiente di attrito.
Nei cantieri per l’edilizia il p. inclinato è un sistema di trasporto per soli materiali costituito da funicolari.
Prospettazione ordinata delle operazioni che contrassegnano un processo d’insegnamento-apprendimento. Il regolamento sull’autonomia delle istituzioni scolastiche (d.p.r. 275/8 marzo 1999) prevede che ogni istituzione scolastica predisponga, con la partecipazione di tutte le sue componenti, un p. dell’offerta formativa quale documento costitutivo dell’identità culturale e progettuale dell’istituzione stessa. Il p. esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa e organizzativa che le singole scuole elaborano nell’ambito della loro autonomia. Il p. deve risultare coerente con gli obiettivi generali dei diversi tipi e indirizzi di studio determinati a livello nazionale e, nel contempo, riflettere le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale e tener conto anche della programmazione territoriale dell’offerta formativa; esso riconosce inoltre le diverse opzioni metodologiche, anche di gruppi minoritari, e valorizza le corrispondenti professionalità.
All’elaborazione del p. dell’offerta formativa provvede il collegio dei docenti sulla base degli indirizzi generali e delle scelte di gestione e di amministrazione definiti dal consiglio di circolo o di istituto; il collegio tiene conto altresì delle proposte e dei pareri delle associazioni dei genitori e, per le scuole superiori, degli studenti. Il p. è adottato dal consiglio di circolo o di istituto, viene reso pubblico ed è consegnato agli alunni e alle famiglie all’atto dell’iscrizione all’istituto.
Percorso formativo che valorizza lo studio della matematica attraverso applicazioni informatiche, avviato in forma sperimentale negli anni 1980. Con la riforma Gelmini (2009) lo studio dell’informatica viene introdotto stabilmente in tutte le scuole.
Uno degli enti fondamentali della geometria insieme con il punto e la retta.
Alla nozione intuitiva di p. si perviene generalizzando esperienze elementari di superfici lisce, non incurvate (per es., la visione di una distesa di acque tranquille), supponendo le superfici stesse illimitate e uniformi in tutte le direzioni; nel contesto rigoroso della geometria euclidea, la nozione, assunta come primitiva, è implicitamente definita dai postulati del p.: a) nello spazio, per 3 punti non allineati passa uno e un solo p.; b) se una retta contiene 2 punti di un p., allora giace interamente sul p.; c) ogni retta di un p. divide questo in 2 parti disgiunte. Un p. è individuato, oltre che da 3 punti non allineati, anche da 2 rette incidenti o parallele (distinte), ovvero da una retta e da un punto non appartenente a essa. Quando lo spazio ordinario sia riferito a un sistema di coordinate cartesiane x, y, z, il p. risulta caratterizzato dal fatto di essere il luogo dei punti le cui coordinate soddisfano una equazione di 1° grado in x, y, z:
[1] formula,
dove a, b, c, d denotano quattro numeri reali, determinati a meno di un fattore di proporzionalità. Se d=0 il p. passa per l’origine degli assi, mentre se a=0 (oppure se b=0, o c=0) il p. è parallelo all’asse delle x (oppure, rispettivamente, all’asse delle y o all’asse delle z) e, infine, se a=b=0 (oppure se b=c=0 o se a=c=0) il p. è parallelo al p. xy (rispettivamente, al p. yz o al p. xz). Il p. di equazione [1] è parallelo al p. di equazione a′x+b′y+c′z+d′ = 0 se risulta a/a′ = b/b′ = c/c′, mentre è parallelo a una retta di parametri direttori l, m, n se si ha: al+bm+cn=0. Quando poi le coordinate x, y, z sono ortogonali, i coefficienti a, b, c delle variabili nell’equazione [1] del p. sono proporzionali ai coseni direttori della direzione n a esso perpendicolare; questi coseni direttori sono dati precisamente da
,
dove il doppio segno corrisponde alla libertà di scelta del verso positivo da assegnare convenzionalmente alla normale. La distanza, considerata in valore assoluto, del punto P0 (x0, y0, z0) dal p. α di equazione [1] è poi espressa da
Inoltre, il coseno dell’angolo ϕ formato dal p. [1] e dal p. α′ di equazione a′x+b′y+c′z+d′ = 0 è dato dalla formula
da essa si deduce la condizione di ortogonalità tra p.: aa′+bb′+cc′=0. Infine, il seno dell’angolo θ tra il p. [1] e una retta r di parametri direttori l, m, n è dato da
Ogni insieme di elementi A, B, C, …, detti punti del p. affine, nel quale siano assegnati certi sottoinsiemi r, s, … chiamati rette, in modo che siano soddisfatte queste 3 condizioni (dette spesso assiomi di incidenza): a) per 2 punti distinti A, B passa una e una sola retta; b) dati un punto A e una retta r non passante per A esiste una e una sola retta s che passa per A e non ha punti in comune con r: brevemente è s non-secante r; c) esistono almeno 3 punti non allineati.
Ogni p. grafico nel quale valga il seguente postulato di G. Fano: ogni retta possiede almeno tre punti. È perciò un p. proiettivo il p. grafico della fig. 2B, mentre non lo sono quelli delle fig. 2A e 2C. Nel caso di p. proiettivo costituito da un numero finito di elementi, si dimostra che tutte le rette hanno il medesimo numero q+1 di punti e che ogni punto appartiene a q+1 rette; inoltre il numero complessivo dei punti uguaglia quello delle rette ed è q2+ q+1. Il numero q si chiama ordine del p. proiettivo; nella fig. 2B è appunto illustrato un p. proiettivo di ordine 2. Spesso, quando si parla di p. proiettivo, ci si riferisce senz’altro all’ordinario p. della geometria elementare a cui si aggregano i punti impropri e considerando alla stessa stregua punti propri e punti impropri. Una superficie modello topologico del p. proiettivo è chiusa, compatta e non orientabile; un modello di p. proiettivo è costituito, per es., da una superficie sferica nella quale si pensino identificate tutte le coppie di punti diametralmente opposti.
Nozione che generalizza ampiamente quella dell’ordinario p. proiettivo; infatti le coordinate di un punto sono ora elementi di un corpo qualsiasi γ e quindi non più necessariamente, come avviene invece nel p. proiettivo, elementi di quel particolare corpo che è il campo dei numeri reali. Si considerino, precisamente, tutte le terne (x0, x1, x2) di elementi di γ eccettuata la terna (0, 0, 0), e si dichiarino equivalenti le terne (x0, x1, x2) e (x0a, x1a, x2a) ove a ≠0 è un elemento di γ. Tutte le terne tra loro equivalenti costituiscono un punto di un p. lineare su γ; si ottiene una retta del p. fissando due punti, per es. X (x0, x1, x2) e Y (y0, y1, y2) e considerando i punti di coordinate (x0a + y0b, x1a + y1b, x2a + y2b) al variare di a, b in γ. Il p. lineare così definito si chiama, più esattamente, p. lineare destro su γ, perché le moltiplicazioni delle coordinate dei punti per i fattori a, b di γ vengono sempre effettuate ponendo a destra questi fattori. In modo analogo si definisce un p. lineare sinistro su γ. Naturalmente, se γ è commutativo, si parla semplicemente di p. lineare su γ.
Nello spazio euclideo un p. α si dice p. di simmetria di una figura F rispetto a una data direzione d se, considerato un qualsiasi punto P di F, appartiene a F anche il punto P′ tale che il segmento PP′ sia parallelo a d e abbia il suo punto medio M su α.
Il complesso delle operazioni, preliminari a una ricerca, con il quale si stabilisce il tipo di dati che occorre raccogliere e la relativa tecnica per raccoglierli, per poi procedere alle elaborazioni previste e trarre, da queste, induzioni attendibili. Lo studio del p. degli esperimenti è sorto dalla necessità di coordinare i due metodi di ricerca che fanno capo l’uno all’esperimento, l’altro alla rilevazione statistica (metodo sperimentale e metodo statistico); ciò perché in molte ricerche (biologiche, economiche ecc.) è opportuno ricorrere a esperimenti i cui risultati vadano elaborati con il metodo statistico. Il p. degli esperimenti ha lo scopo di evitare che gli esperimenti siano fatti in numero insufficiente o eccessivo, ovvero che siano male distribuiti nel campo di variabilità del fenomeno studiato; e ottiene, sfruttando i risultati teorici della statistica, di far sì che i dati sperimentali acquisiti siano esattamente quelli necessari ai procedimenti statistici che si intende adottare nell’elaborazione dei risultati. A questo scopo, oltre a questioni di carattere pratico (strumenti disponibili, costo dell’esperimento ecc.), il p. degli esperimenti deve tener conto soprattutto: della significatività dei risultati (interdipendenza tra risultati e criteri di scelta dei campioni), della comparabilità dei risultati (nell’ordine di approssimazione richiesta, si vuole che siano trascurabili o eliminabili le influenze diverse da quelle sulle quali si sta indagando), della dissociazione o cumulazione dei fattori (si tratta di comparare i risultati, cioè di determinare l’effetto che, separatamente o a gruppi, è causato dai fattori che intervengono nel fenomeno).
La fase di impostazione di una rilevazione statistica, nella quale si stabiliscono gli scopi, i limiti e il metodo dell’indagine. Nella preparazione di un p. di rilevazione si dovrà perciò stabilire: il fenomeno da rilevare e i suoi elementi, il metodo teorico da seguire (per es., se si deve svolgere la rilevazione su tutti gli individui interessati al fenomeno o solo sopra una parte di essi, cioè a mezzo di un campione), la tecnica concreta da seguire (mezzi di raccolta dei dati, limiti di tempo, di spazio, di spesa ecc.), la compilazione degli eventuali questionari, le istruzioni al personale addetto, gli strumenti occorrenti (➔ rilevazione statistica).
Nelle costruzioni civili, parte di un edificio compresa tra la faccia superiore di un solaio (pavimento) e la faccia inferiore del solaio sovrastante (soffitto); il complesso di ambienti che si trovano a uno stesso livello; spesso solo la superficie piana corrispondente al pavimento di un solaio; la superficie, ad andamento per lo più pianeggiante, che delimita superiormente il terreno interessato alle opere di una costruzione (muro di sostegno, strada, fondazioni di un edificio ecc.).
Nelle costruzioni aeronautiche, sono detti p. alare, p. frontale, p. di simmetria i p. di una particolare terna baricentrica. In senso strutturale, p. alare equivale ad ala; piani di coda, insieme delle superfici posteriori che servono per la stabilità e il comando di un aeromobile: per la stabilità e manovrabilità longitudinale si hanno il p. di coda fisso orizzontale (➔ stabilizzatore) e il p. di coda mobile orizzontale. Per la stabilità e manovrabilità laterale si hanno il p. fisso verticale, o p. di deriva, che è lo stabilizzatore verticale, mentre il p. mobile verticale è il timone di direzione. Con riferimento all’effettuazione di un volo: p. di volo, documento, elaborato dal pilota o dal navigatore, comprendente tutti i dettagli nautici in funzione del percorso e delle condizioni meteorologiche; p. di carico, documento relativo alla corretta distribuzione dei carichi a bordo dell’aeromobile (merci, passeggeri, carburante) per assicurarne la stabilità in volo.
Nelle navi il p. di costruzione è la rappresentazione grafica della superficie esterna della carena, costituita dai disegni relativi alle intersezioni della carena con p. orizzontali (linee di acqua), con p. verticali trasversali (ordinate), con p. longitudinali paralleli al p. di simmetria o diametrale (longitudinali); il p. di deriva è la superficie che un galleggiante offre al suo movimento trasversale (deriva), ed è approssimativamente il rettangolo avente per lati la lunghezza e l’immersione media.
Nelle costruzioni ferroviarie, p. di stazione è la planimetria d’insieme di un piazzale di stazione ferroviaria, con l’indicazione delle caratteristiche dell’armamento (binari e deviatoi), dei manufatti (p. caricatori, marciapiedi, pensiline, sottopassaggi e sovrapassaggi) e dei fabbricati (fabbricato viaggiatori, magazzino merci, deposito locomotive ecc.); p. caricatore è il piazzale sopraelevato sul p. del ferro per rendere più agevole il carico e lo scarico delle merci dai carri. Serve anche per il deposito temporaneo delle merci che debbono essere ricaricate immediatamente; è sempre meno utilizzato, per la presenza sempre più diffusa dei container.
P. caricatori analoghi a quelli ferroviari sono usati per il carico di autocarri, in corrispondenza delle aperture per il carico e lo scarico delle merci in mercati, officine e industrie varie; p. di regolamento è il p. tangente alla superficie superiore del corpo stradale (detta piattaforma); questa superficie, su cui è appoggiato il ballast con l’armamento, è conformata in rettifilo a doppio spiovente con pendenza tra 2 e 3,5% per facilitare il deflusso delle acque verso l’esterno.
Per i p. di riscontro ➔ paragone.