S. ionico Fenomeno caratteristico di alcuni tipi di solidi, sia organici sia inorganici, che, messi a contatto con una soluzione ionica, sono capaci di mandare in soluzione ioni, mentre il posto di questi nel solido è preso da una equivalente quantità di ioni presenti nella soluzione. L’entità dello s. ionico è tanto maggiore quanto più elevata è la valenza degli ioni in soluzione e, a parità di valenza, quanto minore è il loro raggio ionico (tenendo conto dell’idratazione). Pertanto, l’ordine di selettività è per i cationi più comuni: Al+++ > Ba++ > Pb++ > Ca++ > Cu++ > Mg++ > Ag+ > K+ > NH4+ > Na+ > Li+; per gli anioni più comuni: SO24– > I− > NO3− > Br− > Cl− > F−. In queste sequenze le posizioni degli ioni H+ e OH− dipendono dalla natura dei gruppi funzionali presenti nel supporto solido. La reazione mediante la quale avviene lo s. è così schematizzabile:
(R−X+)s + (Y+)sol ⇄ (R−Y+)s + (X+)sol ,
dove R− sta a indicare il supporto solido dello ione scambiabile, X+ e Y+ sono gli ioni scambiabili e i pedici s e sol indicano rispettivamente la fase solida e quella della soluzione. La reazione è reversibile, cioè può avvenire sia da sinistra a destra, sia viceversa, in funzione della natura e concentrazione degli ioni presenti in soluzione. Quando il solido ha scambiato tutti, o quasi, gli ioni scambiabili che possedeva, deve essere rigenerato, cioè la sua capacità può essere ripristinata facendo avvenire, in senso inverso, la reazione verificatasi durante la fase di esaurimento, trattando il solido con soluzioni relativamente concentrate dello ione da scambiare. Fra gli scambiatori inorganici di ioni possono trovare applicazione le argille e le zeoliti; questi materiali sono di tipo cationico, sono cioè in grado di scambiare solo cationi (escluso l’idrogeno), di solito ioni alcalini (sodio), con ioni alcalino-terrosi o trivalenti presenti in soluzione; si rigenerano con soluzioni di cloruro di sodio.
Di gran lunga più impiegati sono gli scambiatori organici di ioni (resine scambiatrici) in ragione della loro versatilità; infatti è possibile produrre questi materiali con una gamma di proprietà variabili in funzione dell’applicazione alla quale sono destinati; possono scambiare cationi (resine cationiche) o anioni (resine anioniche). Le resine scambiatrici sono costituite da una matrice, frequentemente a base di polistirene reticolato con divinilbenzene, sulla quale sono fissati gruppi funzionali; a seconda della natura di questi, le resine scambiatrici si dividono in quattro categorie: a) resine cationiche forti: si ottengono trattando la matrice con acido solforico concentrato così da introdurre il gruppo funzionale –SO3H nella matrice; tali resine possono dare luogo a reazioni di s. anche con i cationi presenti in sali di acidi forti; b) resine cationiche deboli: presentano, come gruppo funzionale, il carbossile, –COOH, che, a differenza del gruppo solfonico, è debolmente ionizzato e può dare luogo ad apprezzabili reazioni di s. solo con i cationi di sali di acidi deboli. Tali resine operano soltanto a pH superiore a 7, tuttavia rispetto alle resine cationiche forti hanno un costo minore e la rigenerazione può avvenire più facilmente (cioè richiede un minor eccesso di rigenerante); c) resine anioniche forti: si ottengono per clorometilazione e successiva amminazione con ammine terziarie (in genere trimetilammina) della matrice polimerica; hanno come gruppo funzionale una base ammonica quaternaria e possono operare nell’intero campo di pH rimuovendo sia gli acidi forti altamente dissociati (per es., il cloridrico e il solforico) sia gli acidi debolmente dissociati (per es., il carbonico e il silicico); d) resine anioniche deboli: si ottengono anch’esse per clorometilazione della matrice, ma la successiva amminazione avviene con ammine primarie o secondarie così da dar luogo a gruppi funzionali poliamminici contenenti ammine secondarie o terziarie; possono operare soltanto a pH inferiore a 7, rimuovendo gli acidi forti ma non quelli deboli; tuttavia la loro capacità di s. verso gli acidi forti è superiore di circa due volte rispetto a quella presentata dalle resine anioniche forti (a parità di consumo di rigenerante).
Le resine scambiatrici di ioni trovano diverse applicazioni, fra cui la dolcificazione delle acque e la deionizzazione (demineralizzazione) delle acque (che impiega resine cationiche in ciclo idrogeno e anioniche attraversate successivamente dall’acqua da trattare). Come si demineralizza un’acqua, così si possono ugualmente asportare tutti gli ioni (inorganici e organici) da una qualsiasi soluzione; ciò è di notevole interesse perché le resine offrono un metodo efficace per depurare soluzioni ottenute in produzioni tipiche dell’industria alimentare e farmaceutica. Le resine possono anche servire come sistemi di concentrazione; infatti, se si ha una soluzione contenente uno ione in bassa concentrazione, facendola passare su una resina questa trattiene, quantitativamente, lo ione, che può poi essere eluito dalle resine sotto forma di soluzione piuttosto concentrata. Lo s. ionico interviene anche a livello di trattamento terziario nella depurazione delle acque di scarico e consente talvolta non soltanto il miglioramento della qualità dell’effluente finale, ma anche il recupero di metalli pregiati, quali argento, cromo, rame ecc.
Sotto il termine generale di s., nel significato di cessione ad altri di un bene o di una prestazione in cambio di altro bene o prestazione, vanno ricordati il baratto, la compravendita di beni sia strumentali sia di consumo, la cessione e l’acquisizione dell’uso di un fattore di produzione (terra, capitale, lavoro, capacità organizzativa), il pagamento di tributi visti come corrispettivo di servizi resi dallo Stato, la sottoscrizione di titoli di debito pubblico, lo sconto di cambiali ecc. Nello s. si realizza infatti una scelta tra quello a cui si rinuncia e quello che si conta di ottenere in cambio attraverso un atto economico liberamente compiuto. Nella realtà economica la libertà di scelta dei singoli, anche in economia non accentrata, risulta però sempre limitata dal livello del reddito, dalle condizioni personali e dalla conoscenza del mercato dei singoli individui, oltre che dalla situazione generale, dal costume ecc. L’intervento dello Stato attraverso l’imposizione di obblighi (tributi, prestazioni obbligatorie ecc.) e divieti (di attività, di consumi, di scambi con l’estero ecc.), la fissazione di prezzi politici e ogni altra azione che miri a influire in qualche modo sul mercato, riducono ulteriormente la libertà di scelta. Attraverso lo s. si realizza la circolazione dei beni e servizi collegando produzione e distribuzione.
Già per gli economisti classici lo s., e quindi il prezzo, rappresentavano il centro dell’indagine scientifica. L’economia marginalistica, introducendo il concetto di utilità marginale (➔ utilità), ha proseguito poi l’analisi dei presupposti dello s. (divario per ciascuno scambista tra le utilità marginali comparate del bene che si vuol cedere e di quello che si vuol acquistare, conoscenza di tale divario e possibilità di compiere lo s.) e del meccanismo attraverso il quale (crescendo per ciascuno dei soggetti l’utilità marginale del bene ceduto con il diminuire delle quantità restanti e scemando parallelamente l’utilità marginale del bene ottenuto in cambio, man mano che ne aumenta la quantità posseduta) l’iniziale divario va via via riducendosi e l’utilità dello s. e, quindi, la sua cagione cessano totalmente quando si livellano per ogni scambista le utilità marginali dei due beni. In un mercato in regime di libera concorrenza il prezzo, o rapporto in base al quale due beni si scambiano tra loro, tende così a diventare lo stesso per tutti i possessori dei beni, e nulla muta sostanzialmente se all’ipotesi del baratto si sostituisce quella dello s. monetario. L’economia di s. così descritta viene sintetizzata attraverso la costruzione grafica nota come ‘scatola di Edgeworth’ (1881; ➔ Edgeworth, Francis Ysidro), dove due individui consumatori scambiano due merci. Si dimostra che nel punto di tangenza delle loro curve di indifferenza (quando cioè le utilità marginali ponderate con i prezzi delle merci sono uguali) viene realizzato uno s. ottimo che consente a entrambi di massimizzare la propria funzione di utilità. Il rapporto di s. risultante determina il sistema di prezzi relativi (➔ prezzo).
Oltre all’ipotesi, fin qui illustrata, dello s. in regime di libera concorrenza, la scienza economica ha poi studiato le condizioni in cui lo s. si realizza in regime di monopolio, unilaterale e bilaterale, di duopolio, di oligopolio e di concorrenza monopolistica.
La teoria ricardiana. L’analisi degli s. internazionali più antica è quella curata dagli scrittori mercantilisti, i quali però non ne approfondirono le cause fondamentali, ma ne posero imperfettamente in evidenza solo alcuni aspetti monetari e politico-economici. Le prime trattazioni di un certo rilievo teorico si devono a D. Hume e A. Smith, che tuttavia si limitarono a sottolineare genericamente la convenienza della divisione internazionale del lavoro. Occorre arrivare a R. Torrens e in particolare a D. Ricardo per trovare esposizioni compiute e soddisfacenti di quella teoria dello s. internazionale la cui validità euristica è ancor oggi indiscussa. Le ipotesi fondamentali su cui tale teoria si basa sono: a) libera e perfetta trasferibilità interna e internazionale dei prodotti; b) libera e perfetta trasferibilità interna dei fattori produttivi mobili; c) imperfetta o inesistente trasferibilità internazionale dei fattori produttivi mobili. In tale situazione, secondo Ricardo, la legge che regola la determinazione del valore relativo, ossia il rapporto di s., delle merci all’interno di un paese non serve per la determinazione del valore relativo delle merci scambiate fra due paesi. Nello s. internazionale non è la differenza nei costi assoluti di produzione che determina l’interscambio, ma una differenza nei costi comparati, intendendosi per costo comparato il rapporto fra i costi assoluti in termini di lavoro (questo è l’unico fattore esplicitamente considerato da Ricardo) delle merci prodotte in ciascun paese, cioè del costo di produzione nazionale. Per Ricardo, dati due paesi che producono a costi comparati diversi due merci differenti, se ciascuno di essi, anziché produrre entrambe le merci, si dedica alla produzione della merce nella quale si trova rispetto all’altro in condizioni di maggior vantaggio (o di minore svantaggio), e se fra essi si attua lo s. delle merci da ciascuno prodotte, tale s. è fonte di guadagno per il complesso dei due paesi e, in determinate condizioni, per ciascuno di essi. In sostanza, se vi è un divario fra i costi comparati, lo s. è sempre utile alla comunità internazionale, anche quando tutti i costi assoluti di un paese sono più elevati di tutti i costi assoluti dell’altro paese (cosiddetto paradosso ricardiano), poiché ciascun paese ha interesse a specializzarsi nella produzione della merce per la quale ha maggiore attitudine e a chiedere l’altra all’estero. Lo s. è tuttavia utile a ciascun paese solo se avviene a una ragione di s. compresa fra i costi comparati dei due paesi. Questo è il nucleo centrale della teoria pura classica dello s. internazionale. Ricardo utilizzò, per le sue dimostrazioni, due famosi esempi. Nel primo considerò direttamente i costi assoluti del panno e del vino prodotti in Portogallo e in Inghilterra; nel secondo valutò i costi indirettamente in relazione alla capacità produttiva di scarpe e cappelli di due persone.
Sviluppi della teoria ricardiana. J.S. Mill, Edgeworth, A. Marshall e altri studiosi affinarono e integrarono la teoria ricardiana considerando specialmente gli elementi che influenzano la determinazione della ragione di s. e quindi approfondendo l’analisi della ripartizione, fra i paesi scambisti, dei benefici derivanti dallo s. internazionale. Mill mise in rilievo come la ragione di scambio internazionale, il cui livello determina appunto la distribuzione dei benefici derivanti dallo s., dipendesse dalla domanda reciproca internazionale, e in particolare dall’intensità della domanda che ciascun paese fa della merce prodotta dall’altro. Marshall successivamente sviluppò le concezioni di Mill con l’ausilio di un metodo grafico legato alle curve di domanda-offerta internazionale, ed Edgeworth ampliò a fini politico-economici l’impiego di tali curve. Le concezioni di base della teoria classica sono state chiarite e sviluppate da C.F. Bastable e F. Taussig e, a fini particolari, per sottolineare ancor più i vantaggi derivanti dallo s. internazionale, con un altro schema grafico da W. Cunningham ed E. Barone. Ma tutti, o quasi tutti, hanno operato queste elaborazioni accettando sostanzialmente l’originale impostazione ricardiana.
Il superamento della teoria ricardiana. Occorre arrivare ai lavori di G. Haberler (1933) e B. Ohlin (1933) per trovare nuove analisi che si distacchino dall’originaria impostazione ricardiana (senza modificarne lo schema, ma aggiornandone i contenuti nel quadro della logica marginalistica). I punti di distacco sono sostanzialmente due. Da un lato, la determinazione del prezzo dei prodotti non è ricondotta più al solo fattore lavoro, ma a una molteplicità di fattori che concorrono alla produzione del bene. Dall’altro, la teoria del commercio internazionale viene riformulata in termini di costo-opportunità: in presenza di disponibilità limitata dei fattori produttivi, la scelta di indirizzare le risorse per l’incremento di produzione di un bene comporta un costo (cioè il costo opportunità) costituito dalla diminuzione delle produzioni alternative. Il prezzo di un prodotto è quindi uguale al suo costo marginale di sostituzione, inteso quale «somma dei prezzi dei fattori addizionali richiesti per produrre X unità di un certo bene invece di X–1». Il rapporto tra i costi marginali di sostituzione dei due prodotti si dice rapporto marginale di sostituzione. In un regime di concorrenza perfetta il prezzo dei fattori produttivi tende a essere uguale al valore del prodotto marginale di ciascuno di essi. Dal momento che lo s. tra prodotti dipende dal valore relativo dei fattori produttivi richiesti per il loro ottenimento, il rapporto di s. tra due prodotti è uguale al loro rapporto marginale di sostituzione, che rappresenta la ragione di s. di equilibrio in un mercato chiuso. Nel caso di due paesi producenti ciascuno due prodotti, se in essi i rapporti marginali di sostituzione sono diversi (ossia se i prezzi dei prodotti sono comparativamente diversi), la divisione internazionale delle attività produttive conviene a entrambi, poiché in tal modo ciascun paese ottiene, in seguito allo s., la disponibilità di una combinazione dei due prodotti avente un indice d’utilità più elevato di quello riguardante la migliore combinazione ottenibile in regime di mercato chiuso. Ogni paese esporta quel prodotto che ottiene a costi di sostituzione (o alternativi) relativamente minori, nella cui produzione cioè si trova in condizioni di maggior vantaggio o di minore svantaggio. La ragione di s. internazionale è uguale al rapporto marginale di sostituzione nei due paesi ed è determinata dall’intensità delle loro domande-offerte.
Più innovatrice è, senza dubbio, la teoria di Ohlin, la quale segue in generale le concezioni di K. Wicksell, E. Cassel e specialmente di E. Heckscher dando luogo alla cosiddetta teoria di Heckscher-Ohlin. Ohlin non accolse l’esposizione tradizionale e considerò lo s. internazionale nell’ambito della teoria dell’equilibrio economico generale e quale caso particolare dello s. interregionale (effettuato fra ‘regioni’ considerate quali «luoghi d’immobilizzazione relativa dei fattori di produzione»). Egli ipotizzò l’esistenza di più merci e di più fattori, considerò tassi di cambio che permettevano il confronto internazionale dei prezzi e affermò che la causa dello s. si trovava nella differenza dei prezzi delle merci, i quali variano in relazione all’intensità delle domande (dipendente, oltre che dai gusti, dalla distribuzione dei redditi nei vari paesi) e alla possibilità delle offerte. Ogni paese tenderebbe a specializzarsi nelle produzioni di quelle merci che richiedono prevalentemente l’impiego di fattori in esso abbondanti (e quindi aventi prezzi relativamente meno alti) e importerebbe le altre merci. Ciò determinerebbe il massimo impiego, nei vari paesi, dei fattori relativamente abbondanti e la contrazione dell’impiego dei fattori relativamente scarsi, e, naturalmente, promuoverebbe il livellamento dei prezzi dei prodotti ma, insieme, una mera tendenza al livellamento (essendo improbabile che si abbia un completo livellamento) anche dei prezzi dei fattori produttivi.
Lo schema interpretativo di Heckscher-Ohlin è stato sottoposto a verifiche empiriche che in parte ne hanno ridimensionato la validità. L’applicazione del metodo delle interdipendenze settoriali nelle ricerche empiriche ha dato luogo a risultati sorprendenti. L’esito di tali ricerche (W. Leontief, 1954; K. Bharadway, 1962) ha messo in luce come le esportazioni degli USA, paese molto dotato di fattore capitale, presentino un contenuto relativo di lavoro più elevato delle importazioni (paradosso di Leontief).
La nuova teoria degli s. internazionali. Solo a partire dalla fine degli anni 1970 si sono avuti, nella teoria pura del commercio internazionale, gli sviluppi più rilevanti sia sul piano dell’analisi statica sia su quello dell’analisi dinamica. Fino ad allora il punto di vista teorico dominante sul ruolo del commercio internazionale era di natura essenzialmente statica e si richiamava ancora ai principali risultati del modello Heckscher-Ohlin. In seguito, però, lo sviluppo di studi empirici sul commercio internazionale ha fatto emergere l’esistenza di nuovi fenomeni che hanno messo in discussione la portata euristica di tale modello. In particolare, tra le tendenze di maggior rilievo vanno considerate: a) la prevalenza degli s. commerciali tra paesi simili nella struttura economica piuttosto che tra paesi diversi; b) l’importanza degli s. infrasettoriali (di beni appartenenti al medesimo settore industriale) rispetto a quelli intersettoriali (di beni appartenenti a diversi settori industriali); c) la persistenza di molteplici forme di protezionismo, finalizzate ad acquisire competitività in settori strategici. Di conseguenza, la necessità di formulazioni teoriche compatibili con l’interpretazione di questi ‘fatti stilizzati’ ha stimolato lo sviluppo di nuove linee di ricerca di entità e importanza sufficienti a rendere legittima l’ipotesi della formazione di una nuova teoria degli s. internazionali (E. Helpman, P. Krugman). Questi nuovi indirizzi, benché apparentemente eterogenei sotto il profilo formale, presentano diversi elementi in comune riguardanti: l’introduzione dell’ipotesi di tecnologie di produzione a rendimenti crescenti; l’analisi nel contesto di forme di mercato diverse dalla concorrenza perfetta; l’esplicita considerazione dell’esistenza di prodotti differenziati. Il ruolo svolto da ciascuno di questi elementi nella teoria degli s. internazionali era conosciuto da tempo, almeno a grandi linee; tuttavia solo negli ultimi decenni l’analisi economica ha messo a punto strumenti più adatti a descrivere il funzionamento di sistemi economici caratterizzati da rendimenti di scala crescenti e mercati imperfetti in un contesto di equilibrio generale. L’introduzione dell’ipotesi dei rendimenti di scala crescenti rappresenta un’innovazione di rilievo nei nuovi modelli, in quanto consente di individuare una componente importante degli s. internazionali del tutto indipendenti dalle differenti dotazioni dei fattori produttivi e dai vantaggi comparati. Ciò può essere chiarito prendendo a riferimento due paesi identici nelle loro caratteristiche settoriali, incluse le dotazioni fattoriali e le tecnologie di produzione. Nell’approccio tradizionale in questo caso non esiste alcun vantaggio comparato e dunque alcun incentivo al commercio tra i due paesi. Queste conclusioni possono invece cambiare quando si considerano le economie di scala. Se, per es., ogni paese produce due beni dei quali solo uno può beneficiare di economie di scala crescenti e se, inoltre, i due paesi possono commerciare tra loro senza incorrere in eccessivi costi di trasporto, ciascuno di essi si specializzerà nella produzione di un bene differente. Tuttavia, essendo escluse differenze nelle dotazioni fattoriali, i due paesi non sono inevitabilmente associati a un’unica possibilità di specializzazione determinata da quelle differenze. La struttura del commercio internazionale risulta allora indeterminata. Fattori quali la storia, il caso, o gli interventi deliberati di politica industriale possono avere, in questi modelli, un’influenza determinante sulla struttura degli scambi. Pertanto, il paese in grado di avvantaggiarsi nella produzione del bene caratterizzato da economie di scala crescenti potrà beneficiare di costi medi di produzione più bassi e sarà esportatore di quel bene. Inoltre la differenza di costo farà sì che, dopo l’apertura agli s., tale paese potrà realizzare economie di scala dinamiche connesse alla crescita della produzione e conseguire quindi nel tempo vantaggi ancora maggiori. Infine, la conseguente riduzione dei costi medi unitari nella produzione del bene esportato da tale paese avvantaggerà anche i consumatori residenti nell’altro paese, i quali potranno disporre di quel determinato bene a prezzi più bassi. In generale, la forma di mercato presa in considerazione nei modelli interpretativi basati sulle economie di scala è quella della concorrenza monopolistica nella quale le imprese producono beni differenziati (o meglio ritenuti dai consumatori differenti da quelli delle aziende concorrenti dello stesso settore) rispetto ai quali agiscono da monopolisti. In tale contesto, gli s. internazionali riguardano il commercio di prodotti differenziati di una stessa industria e assumono il carattere di commercio infra-industriale. L’esistenza di questo tipo di commercio è una conseguenza del fatto che nessun paese è in grado di produrre autonomamente l’intera gamma dei prodotti differenziati, per cui ciascuno di questi si orienta su di una gamma limitata dello stesso prodotto, e in particolare su quella per la quale è possibile mantenere costi unitari di produzione più bassi. Varietà e versioni differenti dello stesso bene vengono invece importate da altri paesi. Il commercio infra-industriale si dimostra in tal modo vantaggioso per i consumatori, i quali possono disporre di una più ampia gamma di prodotti differenziati a prezzi più bassi.
In sintesi, da questi modelli si conclude che i vantaggi comparati determinano la struttura del commercio inter-industriale, mentre le economie di scala nella produzione di beni differenziati danno origine al commercio intra-industriale. Quanto maggiore è la differenza nella dotazione di fattori tra paesi (per es., tra paesi in via di sviluppo e paesi sviluppati) tanto più rilevanti sono i vantaggi comparati nel commercio inter-industriale, mentre quanto più simile è la struttura economica dei paesi aperti agli s. internazionali tanto maggiore è l’incidenza del commercio infra-industriale. Infine, i guadagni dinamici associati alle economie di scala forniscono anche una chiave di lettura della persistenza di politiche industriali e commerciali che violano i principi del libero scambio. Infatti, l’indeterminatezza della struttura del commercio e la conseguente possibilità aperta a tutti i paesi di specializzarsi in quelle produzioni a cui si associano i maggiori guadagni dinamici è uno dei motivi che giustificano gli interventi attivi delle politiche statali per il conseguimento della suddetta specializzazione.
S. di carica Particolare tipo di processo in cui in un urto si ha trasferimento di carica da uno ione positivo a un atomo neutro: il primo neutralizza la propria carica catturando un elettrone del secondo, che resta pertanto ionizzato. Il fenomeno è anche noto come trasferimento elettronico. Se l’energia di ionizzazione dello ione iniziale è maggiore di quella dell’atomo, in una tale reazione è possibile un’emissione di energia, spesa per eccitare le particelle collidenti o per aumentarne l’energia cinetica. Fenomeni di s. di carica risultano particolarmente importanti nei processi di moto di ioni nei gas, come, per es., nelle scariche elettriche. Processi di s. di carica si hanno anche in fisica nucleare e subnucleare.
Forze di s. Particolare tipo di forze introdotte, inizialmente, per spiegare il legame chimico omopolare. In tale tipo di legame esiste un termine energetico dipendente dalla possibilità che gli elettroni hanno di scambiarsi a coppia le rispettive posizioni. Tale fenomeno di s. è tipicamente quantistico e non trova un esatto equivalente in meccanica classica; presenta peraltro una qualche analogia formale con i fenomeni di risonanza che avvengono tra due oscillatori isocroni accoppiati: per questo motivo le forze (o interazioni) di s. sono dette anche forze di risonanza. Queste forze possono essere rappresentate matematicamente mediante operatori di s., che compiono l’operazione di scambiare le coordinate tra i due elettroni, nel termine dell’energia potenziale nell’equazione d’onda. Va osservato che le forze di s. sono attrattive quando gli spin dei due elettroni sono antiparalleli, repulsive quando sono paralleli. Ciò non dipende dall’azione diretta tra i momenti magnetici associati agli spin, che è di entità trascurabile, ma dal fatto che, a causa del principio di Pauli, la densità di probabilità spaziale degli elettroni, e quindi la loro energia, dipende fortemente dall’orientamento degli spin: se l’autofunzione associata al sistema formato dai due elettroni ha parte spaziale simmetrica nello s. delle particelle, cosa che avviene quando gli spin sono antiparalleli, l’energia associata è minore di quella corrispondente all’autofunzione con parte spaziale antisimmetrica e spin paralleli, e pertanto il sistema è più stabile. La dipendenza dell’intensità delle forze di s. dalla distanza r è del tipo exp(–Cr), con C costante. Un’altra proprietà delle forze di s. è costituita dal fatto che presentano il fenomeno della saturazione: tale fenomeno, esemplificato dal caso della molecola di idrogeno, consiste nel fatto che un atomo di idrogeno avvicinato alla coppia di atomi fortemente legati costituenti una molecola non è soggetto a una sensibile attrazione, quasi che le forze di s. fossero state tutte assorbite dal legame già formato.
In fisica nucleare, un’importante informazione sulla natura delle forze che agiscono tra i nucleoni nei nuclei si può ricavare dal fatto che l’energia di legame per nucleone ha approssimativamente lo stesso valore per tutti i nuclei; l’energia di legame totale è dunque, in prima approssimazione, proporzionale al numero di nucleoni presenti nel nucleo: le forze nucleari mostrano perciò il fenomeno della saturazione, che, come si è visto, è una caratteristica peculiare delle forze di scambio. Ciò ha suggerito di rappresentare matematicamente le forze nucleari mediante operatori di s. che, in questo caso, compiono l’operazione di scambiare le coordinate tra coppie di nucleoni, nel termine dell’energia potenziale dell’equazione d’onda nucleare. L’adozione delle forze di s. nelle teorie nucleari è stata poi giustificata dal successo che il metodo ha avuto nelle applicazioni. S. termico Fenomeno consistente nel trasferimento di calore (energia termica) tra due corpi e, più generalmente, da una zona dello spazio a un’altra; si verifica in presenza di gradienti di temperatura (e anche di entalpia, concentrazione ecc.); lo s. termico consiste quindi in una trasmissione (➔) del calore.
Nelle ferrovie lo s., o deviatoio, è l’apparecchio che consente di far passare un convoglio da un binario a un altro che da esso si diparte. Lo s. nella forma più elementare (s. semplice) è costituito (fig. 1) da due parti fondamentali: cambiamento o telaio degli aghi e crociamento. Due s. semplici indipendenti l’uno dall’altro e ubicati sullo stesso binario alla minima distanza possibile costituiscono lo s. doppio. Il collegamento tra due binari paralleli è realizzato attraverso due s. le cui manovre sono reciprocamente vincolate, e che nell’insieme costituiscono la comunicazione; essa può essere semplice, con due s., uno per ciascun binario, che consentono il passaggio da un binario all’altro ma non viceversa, e doppia, con quattro s., due per ciascun binario, che permettono indifferentemente il passaggio dall’uno all’altro binario. S. inglese è quello che consente il collegamento tra due binari intersecanti e può essere semplice (fig. 2A) se permette il passaggio da una sola direzione all’altra e doppio (fig. 2B) quando lo consente su tutte e due le direzioni.
Nelle linee di contatto per trazione elettrica, si chiama s. aereo la particolare geometria di posa dei conduttori di contatto che consente il regolare transito dei pantografi in corrispondenza degli scambi.
Analoghi agli s. ferroviari sono gli s. usati sulle linee tranviarie.