È una forma di mercato caratterizzata dall’accentramento dell’offerta o della domanda nelle mani di un solo venditore o di un solo compratore (m. unilaterale) o di entrambi (m. bilaterale) e di conseguente chiusura del mercato stesso. Per questa sua caratteristica, le posizioni di monopolio sono oggetto di controllo antitrust.
Il m., intendendo con tale termine la forma di mercato in cui è accentrata l’offerta, è detto monopolionaturale o monopoliotecnico se deriva da un’assoluta esclusività data dalla natura (per es., l’esistenza di un unico giacimento di una determinata materia prima) o da una situazione tecnica caratterizzata da una domanda limitata e dall’efficienza tecnica di un unico produttore; si parla in questi casi anche di monopoliom. di fatto. Il m. è detto invece monopolioartificiale quando trae origine da una situazione di mercato frutto della concentrazione industriale e di accordi tra imprese e può allora essere combattuto con leggi adeguate. Il m. può essere anche legale, ossia monopoliodi diritto (o pubblico), quando deriva da una previsione normativa che, contestualmente, attribuisce a un solo soggetto il diritto di esercitare una determinata attività economica e inibisce a tutti gli altri operatori economici di svolgere la stessa attività. Nell’ambito dei m. di diritto si distingue poi tra il m. fiscale e quello monopolionon fiscale, a seconda del diverso interesse che induce il legislatore all’istituzione di una riserva di m. a favore dello Stato o di altro ente pubblico. In questa prospettiva si individua l’esistenza di un m. fiscale allorché la riserva di esclusiva viene creata allo scopo primario di procurare entrate tributarie. Il m. può essere anche durevole, temporaneo, puro (o perfetto) o imperfetto, parziale.
Si ha m. puro quando il mercato è caratterizzato dalla massima concentrazione dell’offerta nelle mani di un solo venditore e dall’impossibilità per altri venditori di entrare sul mercato stesso offrendo l’identico bene o servizio o beni e servizi a esso sostituibili. In questa ipotesi il monopolista cercherà di massimizzare il suo profitto manovrando la quantità o il prezzo e scegliendo la soluzione più conveniente dati la domanda del mercato e l’andamento dei suoi costi di produzione. L’equilibrio del mercato è in tal caso determinato in corrispondenza delle quantità che rendono uguali i ricavi e i costi marginali per l’impresa (benché questa determinazione si verifichi in realtà soltanto se la domanda è elastica) ma, a differenza di quanto avviene nella concorrenza, il reddito di chi offre è il massimo possibile, e il costo del bene o servizio è per il consumatore il massimo possibile. Per questa ragione la soddisfazione del consumatore sarà tipicamente inferiore se la struttura dell’industria è monopolistica piuttosto che concorrenziale, mentre per l’impresa è vero il contrario (costo sociale del m.).
Dal punto di vista della collettività è possibile dimostrare che il m. non è efficiente in senso paretiano. Infatti, le quantità prodotte sono inferiori a quelle socialmente ottimali in quanto non corrispondono a quelle per cui i costi medi di produzione sono minimi (e la capacità produttiva non è quindi sfruttata appieno). Inoltre il saldo netto tra le variazioni del surplus del produttore e del consumatore nel passaggio dal m. alla concorrenza è positivo. Numerosi studi empirici (G. Stigler, D.R. Kamerschen, D.A. Worcester, K. Cowling e D. Mueller) riferiti alla realtà statunitense danno supporto a tale posizione teorica. Secondo l’impostazione di A. Smith e J.A. Schumpeter, tuttavia, il saldo in perdita della società legato alla presenza di un m. è discutibile in quanto la sua esistenza può introdurre particolari forme di guadagno sociale. Per es., i profitti che esso comporta costituiscono un incentivo per l’introduzione di nuovi prodotti e nuove metodologie produttive in tempi più brevi di quanto avviene in un contesto concorrenziale. In situazione di debole crescita, forme di mercato monopolistiche divengono, secondo tali autori, istituzioni necessarie e ciò è confermato dal fatto che la società li favorisce garantendo, mediante i brevetti, forme temporanee di m. legali. A ciò alcuni autori oppongono la considerazione che la concentrazione del potere e il venir meno dello stimolo competitivo spesso addormentano lo spirito di iniziativa dell’impresa e ne deprimono l’efficienza tecnica. Lo sviluppo della produzione può risultarne rallentato e possono prodursi squilibri settoriali, sociali e regionali. Determinando sperequazioni nei redditi, inoltre, il m. impoverisce la domanda provocando a livello globale situazioni di ristagno (P. Sylos Labini) e a livello settoriale strozzature e tendenze inflazionistiche.
Un altro argomento teorico a favore dei mercati monopolistici è quello del m. naturale, che rappresenta la forma di mercato in cui è tecnicamente più efficiente avere un singolo produttore e che va quindi tutelata. Solitamente il m. naturale è caratterizzato da una funzione dei costi medi decrescente, anziché parabolica, tale da giustificare la concentrazione della produzione in una sola impresa. In altri casi è la presenza di un costo fisso particolarmente elevato che impedisce lo sviluppo di un sistema concorrenziale, come per es. il costo di una rete di distribuzione elettrica o telefonica. In tal caso l’esistenza di più imprese operanti nello stesso settore provocherebbe sistemi di produzione sovrapposti e costi unitari più elevati. Pertanto, è lo Stato in genere a concedere a una singola impresa di operare sul mercato, assoggettandola però ad alcune forme di regolamentazione governativa (per es., tariffaria). Dubbi sull’efficienza della regolamentazione governativa dei prezzi in situazioni di m. naturale sono stati sollevati da numerosi autori, i quali sostengono che il conseguimento dell’efficienza produttiva è garantito già in sede di concessione. Sotto il profilo politico il m. è criticato in quanto la concentrazione del potere economico può facilmente dar luogo ad abusi, sopraffazioni e pressioni indebite anche sul potere politico. Tuttavia, autorevoli esponenti della scuola di pensiero della public choice affermano che ciò può derivare dal particolare meccanismo del voto esistente.
L’analisi classica dell’ipotesi di m. è legata soprattutto al nome di A. Cournot, che per primo espose con rigore matematico la legge del prezzo di m., e punto di Cournot è detto il punto cui, nella rappresentazione grafica, corrisponde la coppia prezzo-quantità da cui deriva al monopolista il massimo ricavo netto globale. Più la domanda è elastica e più basso sarà il punto di Cournot, ossia il prezzo al quale il monopolista potrà vendere con il massimo vantaggio la quantità prodotta e viceversa, e quindi il m. dei beni a domanda poco elastica, come sono in genere quelli di prima necessità, è assai dannoso per il consumatore. Viene meno inoltre la proporzionalità tra prezzo e costo, che è legge fondamentale dell’economicità, e, se la produzione monopolizzata è a costi crescenti e decrescenti, il prezzo di m. tenderà a essere maggiore o minore di quel che sarebbe se i costi avessero un andamento costante, e sarà tanto maggiore o tanto minore quanto più rapidamente i costi aumenteranno o diminuiranno. Va poi ricordato che il monopolista può accrescere il suo guadagno, oltre che con la manovra del prezzo unico, con il ricorso alla discriminazione del prezzo, che consiste nell’applicare un prezzo diverso, in genere superiore al prezzo unico, a ciascuna unità prodotta e venduta, sfruttando la diversa capacità di acquisto dei vari gruppi di consumatori, o mediante differenziazioni apparenti o parziali del prodotto o mediante frazionamento dell’offerta nel tempo o nello spazio (segmentazione del mercato).
In pratica il m. puro si incontra raramente. E raro è anche il duopolio in cui vi sono due soli offerenti. Sempre più numerose sono invece le forme intermedie tra il m. e la libera concorrenza. Frequente il caso di m. (o di oligopolio) parziale, di una o più imprese, cioè, che abbiano posizione prevalente sul mercato tanto da influire a proprio vantaggio sul prezzo, mentre le imprese minori che operano nello stesso ramo di attività non possono che seguire il prezzo stabilito dalle maggiori adattando a esso la loro offerta, e di m. collettivo, risultante dalla realizzazione di cartelli, o consorzi, e di accordi in genere tra imprese appartenenti allo stesso ramo di produzione per limitare la concorrenza (➔ coalizione). Forme imperfette di m. possono anche derivare dall’assenza di barriere all’entrata sul mercato. Questa situazione, rendendo più esposto il monopolista alla concorrenza potenziale, può indurlo a diminuire i profitti al fine di disincentivare le imprese entranti.
È la situazione di mercato caratterizzata da un m. puro dal lato dell’offerta e da un monopsonio puro dal lato della domanda, in cui cioè un bene o servizio sia offerto da un solo soggetto economico e da un solo soggetto richiesto, e altri venditori e compratori non possono entrare sul mercato. Il monopolista e il monopsonista non si trovano, in tal caso, di fronte rispettivamente a una curva di domanda e a una curva di offerta, ma possono entrambi tentare di imporre la quantità o il prezzo a loro più vantaggioso, con la conseguenza che il prezzo del mercato e la relativa quantità venduta e acquistata finiranno per essere intermedi tra quelli desiderati dal monopolista e quelli più vantaggiosi per il monopsonista, e più vicini al livello voluto dall’uno o dall’altro, a seconda del rapporto di forza esistente tra i due contraenti. L’esempio più interessante di m. bilaterale e che più ha attirato l’attenzione degli studiosi è quello relativo al mercato di un fattore produttivo e in particolare al mercato del lavoro, dove l’organizzazione sindacale dei lavoratori e dei datori di lavoro ha spesso portato nella realtà a situazioni di difficili contrattazioni sboccate a volte in conflitti, con conseguente paralisi dell’attività produttiva.
Strumento giuridico attraverso il quale la legge riserva, in via esclusiva, a un soggetto o ente pubblico l’esercizio di una determinata attività economica (produzione o vendita di determinati beni o servizi) al fine di una più efficiente realizzazione dell’interesse generale. È una forma autoritativa ed eccezionale di intervento pubblico nell’economia, ammessa dalla Costituzione, sulla base di limiti e nel rispetto del principio dell’iniziativa economica privata (art. 41), in determinati settori economici, in particolare nella gestione di servizi pubblici essenziali, fonti di energia o situazioni di m. di fatto che abbiano preminente carattere di interesse generale (art. 43). La Corte costituzionale ha precisato, in diverse occasioni, che la ragione fondamentale dell’istituzione e della conservazione di un m., con la conseguente limitazione della libertà di iniziativa economica privata, consiste nel perseguimento di fini sociali e di utilità generale, essendo secondaria la finalità di reperimento di entrate finanziarie (sent. 78/1970 e 209/1976).
Nell’ordinamento italiano sono attualmente soggetti a m. pubblico il gioco del lotto, gestito dall’Azienda Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS), l’importazione e commercializzazione dei tabacchi lavorati, e la commercializzazione dei fiammiferi. Dal punto di vista organizzativo, i m. pubblici sono strutturati secondo il modello aziendale e hanno un’amministrazione essenziale. Quelli che operano a livello nazionale (cosiddette amministrazioni autonome) hanno un presidente, di regola un ministro, che ha poteri decisionali e di direttiva, un consiglio di amministrazione che ha funzioni consultive, deliberative ed esecutive, e talvolta un direttore generale, che svolge funzioni esecutive delle direttive del presidente. Inoltre, hanno un bilancio distinto da quello dello Stato. I m. pubblici che operano a livello locale (cosiddette aziende municipalizzate) sono ugualmente strutturati secondo il modello aziendale; ogni m. è tuttavia disciplinato con proprio regolamento speciale, e i suoi organi sono il direttore e la commissione amministratrice, nominata dal consiglio comunale.
Nell’ampia categoria dei m. pubblici rientrano anche i m. di Stato, che riguardano la produzione, l’importazione e la vendita di determinati prodotti, dei quali lo Stato si è riservato l’esclusiva per motivi tributari. I m. di Stato sono articolati secondo il modello di azienda speciale e hanno una struttura amministrativa più complessa rispetto a quella dei m. pubblici. In quanto sono diretti al reperimento di risorse da destinare al fabbisogno finanziario, divenendo così uno strumento di imposizione e riscossione di un’imposta di consumo o di fabbricazione, sono anche definiti m. fiscali. Il tributo si individua attraverso la fissazione (da parte dello Stato) del prezzo del bene ceduto (o del servizio erogato) in misura superiore a quella corrispondente al prezzo che sarebbe stato definito da un regime di concorrenza, e consiste quindi nella differenza tra le due entità. Non sono considerati, invece, m. fiscali quelli introdotti per fini di utilità generale rispondenti all’esigenza di garantire una maggiore e più efficiente fruibilità di servizi, che il legislatore considera di interesse collettivo.
Attualmente l’unico fondamento normativo concernente i m. fiscali è rinvenibile nel trattato istitutivo della Comunità europea, il cui art. 31 (prima art. 37) prevede, in via generale, che gli Stati membri procedano a un progressivo riordinamento dei m. nazionali che presentano un carattere commerciale, escludendo qualsiasi discriminazione tra i cittadini. L’art. 86, co. 2 (prima art. 90) dispone, però, una deroga alle regole della libera concorrenza in favore delle imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o «aventi carattere di m. fiscale».
Il monopolista legale è gravato dall’obbligo di contrarre con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto dell’impresa, osservando la parità di trattamento (art. 2597 c.c.). In dottrina si dibatte se tale obbligo possa estendersi anche alle altre forme di monopolio, a tutela del contraente debole.
Età antica. - Rari e poco durevoli prima dell’età ellenistica, i m. trovarono in questa, sotto forma di m. di Stato, un ambiente favorevole al loro sviluppo; furono frequenti in Egitto (miniere e cave, pesca, fabbricazione dei papiri, olio, sale, profumi ecc.) e si ebbero pure con certezza ad Antiochia, a Pergamo, a Mileto.
La coniazione delle monete fu uno dei primi m. dello Stato romano, che sperimentò una politica monopolistica soltanto nella seconda metà del 1° sec., e più decisamente la praticò a partire dal 4° sec.: il sale, il cinabro, i metalli e altri prodotti di miniere, nonché i servizi dei pubblici banditori, dei calzolai, dei parrucchieri, dei bagni ecc., furono tutti oggetto di m. e devoluti per lo più alle corporazioni.
Medioevo. - Nel Medioevo il concetto di m. è strettamente legato a quello di regalia e fino all’epoca del massimo sviluppo dell’economia cittadina i m. esercitati direttamente dall’autorità pubblica o da privati in virtù di appalti o concessioni (tra i più antichi il m. della coniazione e quello della produzione e vendita del sale) ebbero in prevalenza carattere fiscale, mentre gli interventi dello Stato a fini sociali e politici (nel campo dell’approvvigionamento e distribuzione di cereali e nel settore della navigazione) sboccarono raramente nella costituzione di monopoli. Alle prerogative del sovrano risalgono pure i privilegi monopolistici nella produzione, negli acquisti e nelle vendite concessi fin dall’Alto Medioevo a gruppi di privati ufficialmente riconosciuti, ma questi privilegi quasi certamente scomparvero col rapido crescere dei traffici tra 11° e 14° secolo. Le corporazioni, per quanto nate con probabilità senza i caratteri dell’obbligatorietà e del m., avevano tuttavia in sé la tendenza a evolversi in tal senso, e dopo la fine del Trecento assunsero sempre più decisamente questa fisionomia. Accanto a tutti i suddetti m. pubblici, anche se esercitati da privati, andavano poi a poco a poco sorgendo, specie nelle città, m. di natura esclusivamente privata, con taluni aspetti delle grandi concentrazioni capitalistiche dell’era moderna: per es., la concentrazione dell’esportazione dell’allume dal Levante nelle mani di mercanti genovesi (13° sec.); il m. dell’esportazione dell’allume del Napoletano, di Tolfa e di Volterra realizzato dalla casa Medici (15° sec.); il m. della produzione di rame dell’Europa centrale assicuratosi, alla fine del 15° sec., dalla casa Fugger ecc.
Età moderna. - L’età dell’oro dei m. pubblici e privati coincide però con il pieno trionfo del mercantilismo (fine 16°-metà 18° sec.): le necessità sempre più urgenti delle finanze statali inducono in tale periodo a estendere i m. fiscali ad altri prodotti (tabacco, polvere da sparo, prodotti chimici ecc.) e le corporazioni artigiane sono sempre più esclusivistiche, mentre si moltiplicano, sempre per concessione dello Stato, anche i m. privati, considerati il mezzo più efficace per stimolare l’espansione commerciale. È l’epoca delle grandi compagnie private cui, in compenso dei forti rischi affrontati, lo Stato concede il privilegio dell’esclusività, temporaneo ma prorogabile; sistema di cui si erano già avuti casi a Genova e nel Portogallo, ma che ha la più importante applicazione nel 16° sec. con la privativa dell’esportazione dei panni inglesi concessa ai Merchants Adventurers e che predomina nel Seicento in Inghilterra e in Olanda, e ancor più in Francia, dove si estende anche all’industria e dove si moltiplicano, specie al tempo di J.-B. Colbert, le ‘manifatture reali’. Queste ultime, che sorgono in virtù di uno speciale privilegio concesso dal re e, tra i vari favori, godono del diritto di privativa per il ramo di industria da esse esercitato, in una regione circoscritta e a volte in tutto il territorio dello Stato, furono ben presto imitate in altri Stati dell’Europa continentale, compresi gli Stati italiani, e stimolarono sulle prime l’iniziativa degli inventori e progettisti, attratti dalla possibilità di monopolizzare lo sfruttamento dei loro segreti, ma finirono per creare un ambiente contrario allo sviluppo industriale.
Le industrie privilegiate dovevano infatti costituire un serio ostacolo all’introduzione delle macchine e a quella trasformazione tecnica ed economica della produzione, detta rivoluzione industriale, che trovò invece un terreno favorevole in Inghilterra dove le privative industriali non avevano mai attecchito. Industrie privilegiate e corporazioni furono quindi per decenni oggetto di aspra critica da parte dei liberisti, e soltanto verso la metà del 19° sec. i m. privati creati nell’età mercantilistica possono dirsi ovunque eliminati, tranne che nel settore delle banche di emissione in cui si passa dall’iniziale libera concorrenza al m. rigidamente controllato dallo Stato. Si mantengono invece e si accrescono, anche nel periodo della massima affermazione del liberismo economico, i m. fiscali, e all’esercizio di una gran parte dei nuovi servizi pubblici si provvede con la concessione a società private in regime di monopolio.
Verso la fine del 19° sec. la concentrazione industriale, frutto della stessa libera concorrenza, comincia poi a sboccare in situazioni di vero e proprio m. o per lo meno di privilegi monopolistici derivanti dalla formazione di trust, di cartelli e di altri istituti miranti all’accaparramento di un potere di mercato da parte di pochi grandi complessi capitalistici. All’astratta ipotesi classica della concentrazione dell’offerta nelle mani di un solo venditore la realtà contrappone una varietà sempre maggiore di situazioni concrete di evidente o di larvato m., di oligopolio e in genere di concorrenza monopolistica, tutte contrassegnate dalla temporanea o definitiva impossibilità per nuovi concorrenti di entrare sul mercato dal lato dell’offerta, e d’altra parte la municipalizzazione e le nazionalizzazioni hanno determinato, anche in paesi a economia non totalmente accentrata, la formazione di nuovi m. pubblici in importanti settori della vita economica.
La crescente potenza di quelli che si chiamano i grandi m. (anche se non possono a rigore rientrare nell’ipotesi teorica di m.), che molto si giovano del protezionismo doganale e che spesso assumono anche carattere internazionale, e i molti pericoli per la collettività insiti in questo loro sviluppo hanno indotto in molti paesi lo Stato a intervenire con l’emanazione di leggi, più o meno rigorose, contro gli accordi e le pratiche miranti a limitare la concorrenza.
9. Il monopsonio (o mononio)
È la forma o situazione di mercato caratterizzata, di fronte alla concorrenza perfetta tra venditori, dall’accentramento della domanda nelle mani di un solo soggetto economico e dall’impossibilità per altri acquirenti di entrare sul mercato. Può anche dirsi, meno propriamente, m. unilaterale della domanda, ed è forma simmetrica a quella del m. propriamente detto, o m. dell’offerta; vi si possono pertanto applicare le considerazioni teoriche a questo relative, anche per quel che riguarda i significati estensivi del termine. Il prezzo di equilibrio nel monopsonio risulta determinato dal grado di elasticità dell’offerta, anche se si presenta uguale o minore dell’unità, ed è tanto più basso – ossia tanto più vantaggioso per il monopsonista – quanto minore è l’elasticità stessa. Particolare interesse concreto presenta l’ipotesi del monopsonio di un fattore produttivo (per es., di una materia prima) che si accompagni al m. dell’offerta del prodotto finito, nella produzione del quale viene utilizzato il fattore produttivo stesso; il che è possibile soltanto qualora la produzione del suddetto bene sia realizzabile con un solo processo produttivo. Si ha allora il monopsonio-m., situazione in cui l’equilibrio non è necessariamente determinato, in quanto l’azione del monopsonista-monopolista risulta limitata dall’elasticità dell’offerta del fattore di produzione e dall’elasticità della domanda del prodotto finito.