tabacco Nome comune di varie specie di piante appartenenti al genere Nicotiana (in particolare di Nicotiana tabacum; v. fig.) e delle loro foglie essiccate, caratterizzate dalla presenza in ogni loro parte, fuorché nei semi, di alcaloidi, costituiti per circa il 97% da nicotina. La percentuale di questo alcaloide nelle foglie dei t. coltivati va dallo 0,7 al 4%, a seconda della varietà. Tale caratteristica è il motivo dell’uso che l’uomo ha fatto del t. fin dalla Preistoria, e della sua coltivazione e studio nei tempi storici e attuali.
La denominazione Nicotiana, riferita in un primo tempo alla pianta di t. e quindi usata, in botanica sistematica, per indicare il genere, fu creata dal naturalista A. Lonicer di Marburgo nel 1565, in omaggio a J. Nicot de Villemain (➔), ambasciatore di Francia presso la corte del Portogallo, che per primo fece conoscere il t. in Francia. Ben prima di C. Colombo il t. era noto in America, dove gli indigeni usavano alcune specie di Nicotiana come sorgenti di narcotici ritualistici. Nella prima metà del 16° sec. dall’America passò in Europa, ma le notizie al riguardo non sono sicure ed esatte. La prima nazione a conoscere il t. fu la Spagna, a opera del monaco R. Pane che, di ritorno dall’isola di Santo Domingo nel 1518, portò con sé dei semi di tabacco. Nel 1555 il frate A. Thévet introdusse dal Brasile in Francia i primi semi e la nuova pianta fu coltivata nella provincia di Angoulême. Ma il t. acquistò rinomanza solo dopo che Nicot l’ebbe fatto conoscere come pianta medicamentosa alla regina madre Caterina de’ Medici, che soffriva di emicrania (1560). Nicot, che in Portogallo aveva inteso elogiare le virtù terapeutiche della nuova pianta, in onore di Caterina la chiamò herba reginae. Nel 1560 il cardinale Prospero di Santa Croce, nunzio a Lisbona, inviò al pontefice alcuni semi di t. insieme alle istruzioni per l’uso delle foglie. Da questo cardinale deriva il nome di herba sanctae crucis o erba santa, con il quale il t. fu anche denominato.
Durante la seconda metà del 16° sec. e nel 17° il t. penetrò negli altri Stati europei, a opera dei Portoghesi, degli Spagnoli e degli Inglesi, in Africa, in Asia e in Oceania. Si diffuse con rapidità, forse perché si prestava molto bene a costituire un cespite di entrate per le finanze erariali. Quest’ultimo aspetto suggerì ben presto a molti Stati l’istituzione di un più o meno rigido monopolio della coltivazione, della produzione dei manufatti e della loro commercializzazione: per prima fu la Repubblica Veneta, verso la fine del 16° sec., a costituirlo. In Europa, in applicazione delle norme comunitarie, i vari regimi monopolistici nazionali del t. sono stati gradualmente soppressi.
Il genere Nicotiana ha distribuzione naturale nell’America Settentrionale, Centrale e Meridionale, nell’Australia e nel Pacifico meridionale; il 75% delle specie ha il suo habitat nelle Americhe; il 25% nell’Australia e nel Pacifico meridionale. Il luogo d’origine e quindi il centro di distribuzione sembrano coincidere con l’America Meridionale; da qui la diffusione e conseguente speciazione delle Nicotianae si è diretta verso l’America Settentrionale da una parte, dall’altra verso l’Australia e il Pacifico meridionale. L’azione dell’uomo, deliberata o involontaria, ha contribuito in modo massiccio a creare tali correnti e aree di distribuzione. Intenzionalmente l’uomo ha esteso la distribuzione soprattutto di Nicotiana tabacum e Nicotiana rustica in quanto più ricche di nicotina. Per tutte le altre specie l’intervento dell’uomo è stato fortuito, ma altrettanto determinante; per es., con l’inconsapevole trasporto dei semi, estremamente piccoli, anche per lunghe distanze. Due fattori hanno poi agevolato l’involontaria disseminazione operata dall’uomo: la tendenza naturale di un certo numero di specie a occupare luoghi disturbati (greti, pendii franosi, macerie ecc.) e, particolarmente importante, l’adattabilità di numerose specie ai diversi contesti ecologici.
Al genere Nicotiana, appartenente alla famiglia delle Solanacee, sono ascritti una sessantina di specie e un gran numero di varietà largamente diffuse in coltivazione. La specie più importante dal punto di vista economico, Nicotiana tabacum, è un anfidiploide (numero cromosomico 2n=48) alla cui formazione sono stati interessati i progenitori di Nicotiana sylvestris e alcune specie della sezione Tomentosae.
Si tratta di una pianta annuale o bienne, con fusto erbaceo o semilegnoso; le foglie sono sessili, di rado subpicciolate, di forma variabile a seconda della varietà, con epidermide attaccaticcia per la presenza di numerosi peli ghiandolari; i fiori, disposti in pannocchia di cime, hanno il calice ovoidale, quinquefido, a lacinie triangolari acuminate; la corolla è actinomorfa, imbutiforme, con tubo 2-3 volte più lungo del calice, lembo quinquelobato, di colore variabile dal roseo al rosso, talora bianco; l’androceo pentandro ha stami epicorollini, antere diteche, polline polverulento tricolpato; il gineceo ha pistillo bicarpellare sincarpo, ovario supero, biloculare, ovuli numerosi a placentazione centrale, stigma capitato, bilobo; il frutto è una capsula ovato-conica; i semi sono reniformi, di colore marrone chiaro, minutissimi: un grammo contiene dai 10.000 ai 12.000 semi. Caratteristica biochimica è la presenza, soprattutto nella foglia, di alcaloidi, costituiti per la massima parte (97% circa) da nicotina. La percentuale di questo alcaloide nelle foglie dei t. coltivati va dallo 0,7 al 4%, a seconda della varietà.
Il genere Nicotiana presenta caratteri intermedi tra i generi Cestrum e Petunia, entrambi strettamente affini e con centro di differenziazione nell’America centro-meridionale. È probabile che gli ancestori avessero numero cromosomico 2n=12 e costituissero due complessi ancestrali pregenerici, uno più affine agli attuali Cestrum e uno più affine alle attuali Petunia, da cui il genere Nicotiana ha avuto origine per ibridazione. Tra i vari meccanismi responsabili dell’evoluzione del genere Nicotiana, si può considerare l’ibridazione non seguita da raddoppiamento del numero cromosomico
Varietà colturali. Le varietà di t. coltivate sono numerose e assai diverse tra loro; la loro coltivazione e la loro produzione richiedono non solo semi diversi, ma anche differenti climi, terreni, pratiche colturali e sistemi di cura; quest’ultima operazione, soprattutto, differenzia commercialmente un tipo di t. da un altro. Una prima distinzione fondamentale può essere fatta fra t. chiari e t. scuri. Seguendo una classificazione più articolata, i t. possono essere suddivisi in: t. tipo Virginia, chiari, curati ad aria calda, usati per sigarette, trinciati da pipa, prodotti da mastico e da fiuto; t. tipo Burley e Amarillo, chiari, curati ad aria, impiegati per gli stessi usi del Virginia e, inoltre, per sigari chiari; t. tipo Avana e Sumatra, scuri, curati ad aria, usati per sigari chiari; t. Orientali, chiari, curati al sole, usati per sigarette; t. tipo Kentucky, scuri, curati a fuoco diretto, usati per sigarette, sigari toscani (scuri), trinciati da pipa, prodotti da mastico; t. locali, non facilmente classificabili, scuri, curati generalmente ad aria o al sole, impiegati per tutti gli usi.
Semina. Il t. è coltura sarchiata e perciò da rinnovo, ha una notevole adattabilità climatica e può succedere a sé stesso per più anni. A causa della piccolezza del seme (in media 0,7 mm di lunghezza e 0,5 mm di larghezza) e anche per accelerarne lo sviluppo vegetativo, non viene seminato direttamente in pieno campo ma in semenzai. Nell’emisfero boreale il periodo della semina va da febbraio a marzo, mentre il trapianto avviene tra aprile e maggio. Nelle zone tecnologicamente più avanzate la semina viene effettuata utilizzando seme ingrossato mediante confettatura e posto negli alveoli di speciali contenitori in polistirolo, previamente riempiti di torba o altro substrato inerte; successivamente questi contenitori sono posti a galleggiare in vasche ripiene d’acqua in serre fisse o mobili. È comunque ancora largamente diffuso il sistema di semina in semenzai in terra con copertura di garza o plastica.
Necessità colturali. Tutte le varietà di t., a eccezione del tipo Orientale, hanno bisogno di acqua in abbondanza. Altro fattore di rilevante importanza è l’umidità dell’aria; per es., i t. che sono destinati a fornire la fascia dei sigari possono crescere solo in climi caldo-umidi quali quelli della zona tropicale (America Centrale, Indonesia, Camerun). Su una stessa pianta le caratteristiche delle foglie variano moltissimo: le foglie inferiori sono di tessuto più leggero mentre quelle all’apice della pianta sono molto più spesse, ricche di nicotina e di oli essenziali, e quindi più aromatiche. Una particolare operazione colturale che si esegue su alcune varietà a uno stadio più o meno sviluppato della fioritura è la cimatura, l’asportazione cioè dell’infiorescenza e di alcune foglie superiori; questa operazione aumenta il tasso di nicotina nelle foglie e anche la quantità di oli essenziali presenti. La maturazione del t. avviene dal basso verso l’alto, in un tempo che può arrivare fino a 60 giorni.
Raccolta. La maggior parte delle varietà di t. viene raccolta a foglia; a pianta intera il t. del tipo Kentucky, sia a pianta intera sia a foglie il tipo Burley. La raccolta avviene generalmente a mano incominciando dal basso mentre nelle zone più industrializzate si impiegano speciali macchine raccoglitrici che staccano le foglie automaticamente nella misura di un minimo di 3 e un massimo di circa 10 foglie per ogni passata.
Trattamento. Dopo la raccolta, il t. deve essere preparato per la cura, fondamentale operazione durante la quale le foglie subiscono l’essiccazione e una serie di reazioni chimiche e biochimiche che portano all’ottenimento di un prodotto adatto a essere trasformato per l’impiego manifatturiero. A seconda del metodo seguito, si possono distinguere vari tipi di cura, strettamente connessa al tipo di tabacco. I tipi di t. curati ad aria e al sole, se non raccolti a pianta, sono preparati formando, manualmente oppure mediante macchine, filze da esporre al sole o da appendere negli essiccatoi. Nelle zone più calde gli essiccatoi possono essere semplici capannine coperte di politene che vengono chiuse in un primo tempo per favorire le trasformazioni idrolitiche che avvengono nella foglia e poi aperte quando le foglie devono essere esposte all’aria fresca. Nei climi temperati o freddi gli essiccatoi sono costruzioni alte con aperture laterali che servono per l’arieggiamento all’interno. Nella cura a fuoco diretto (impiegata per t. Kentucky) gli essiccatoi sono aperti solo in basso; in alto e nella parte bassa si accendono fuochi che permettono un affumicamento delle foglie. La cura a corrente d’aria calda, cui viene sottoposto il Virginia, consiste nel formare pacchi di foglie di circa 40 kg sostenuti da telai metallici. I telai sono poi collocati all’interno di essiccatoi muniti di generatori di aria calda e di ventilatori. L’aria è forzata attraverso la massa del t. in maniera tale da lambire tutte le foglie. Questi essiccatoi sono veri e propri forni, corredati di sistemi automatici per regolare la temperatura, l’umidità, il flusso di aria esterna. Le condizioni igrometriche e termometriche possono essere controllate anche a distanza con l’ausilio di elaboratore.
Per tutti i t. durante il processo di cura avviene la trasformazione da foglia verde in prodotto secco; la clorofilla si decompone lasciando in un primo tempo apparire i pigmenti gialli (xantofilla e carotene) e si verifica una diminuzione di massa dovuta sia alla perdita d’acqua sia alla volatilizzazione dei composti che si liberano a seguito dell’idrolisi. A eccezione del Virginia e parzialmente dei t. Orientali, nella foglia hanno luogo successive reazioni di ossidazione e il colore varia verso il nocciola e/o il marrone, fino ad assumere la colorazione definitiva. A questo punto cessano in gran parte le trasformazioni biochimiche e si ha una semplice essiccazione, prima del lembo fogliare e poi della nervatura centrale della foglia.
Le Americhe, e segnatamente i territori che si affacciano sull’Atlantico compresi tra i 40° di latitudine N e i 30° di latitudine S, hanno detenuto a lungo un ruolo produttivo assolutamente predominante, adeguando le varietà di t. coltivato e le lavorazioni dello stesso al mutare delle prevalenti abitudini d’uso; all’indomani della Seconda guerra mondiale la produzione statunitense rappresentava oltre 1/3 del totale mondiale, superando di quattro volte l’India, secondo paese produttore. Tale situazione è venuta a mutare nel corso della seconda metà del 20° sec., che ha visto l’ascesa, sia in termini di produzione sia di superficie coltivata, di alcuni paesi dell’Asia (in particolare la Cina), dell’America Latina e dell’Africa, mentre nell’area nordamericana si è registrata una sensibile contrazione. Dal 1998 al 2008 la produzione mondiale di t. (6,8 milioni di t nel 2008) si è mantenuta costante, attestandosi intorno ai 7 milioni di t annue; la superficie coltivata è invece diminuita di circa il 20%, mentre il rendimento si è mantenuto pressoché inalterato. Principale paese produttore è la Cina (2,8 milioni di t), seguita dal Brasile (850.000 t), dall’India (520.000 t), dagli Stati Uniti (360.000 t) e dall’Iran (180.000 t); complessivamente l’Asia fornisce quasi il 65% del totale. L’Italia, con 100.000 t nel 2008, occupa, insieme alla Turchia, il nono posto nella classifica mondiale.
Il flusso commerciale del t. è notevole e i principali paesi esportatori sono Brasile, Stati Uniti, India e Malawi; la produzione della Cina è rivolta prevalentemente al mercato interno, anche se negli ultimi anni è aumentata la quota destinata all’esportazione. Principali paesi importatori sono Russia, Stati Uniti, Germania e Paesi Bassi.
I prodotti industriali del t. si possono classificare in t. da fumo (trinciati, sigarette, sigari e sigaretti), t. da fiuto, t. da masticare. Fino a tutto il 18° sec. la maggior parte del consumo era costituita da prodotti da fiuto e soltanto in minima parte da trinciati per pipa. Ai primi del 19° sec. cominciò a diffondersi il consumo del sigaro e con esso l’attività di diversi stabilimenti per la manifattura dei tabacchi. Questi si moltiplicarono rapidamente dopo l’avvento della spagnoletta (l’attuale sigaretta) che divenne ben presto la forma di t. lavorato più diffusa.
T. da fumo. È denominato trinciato il risultato del taglio delle foglie di t. in strette striscioline di larghezza costante. Il trinciato viene impiegato per la preparazione delle sigarette di sigari e sigaretti, oppure viene messo in commercio tal quale. Preferibilmente il trinciato da sigarette è a taglio fino (larghezza di taglio compresa tra 0,5 e 0,8 mm), mentre quello per pipa e per sigari e sigaretti è a taglio grosso (larghezza di taglio compresa tra 0,9 e 2 mm).
T. da fiuto. Sono costituiti da farine ottenute dalla triturazione di foglie aromatiche, ricche di nicotina, di tessuto sostanzioso, poco o nulla combustibili, tutte caratteristiche che si riscontrano principalmente nelle varietà della Nicotiana rustica (Erba santa, Brasile selvaggio) e in misura meno elevata in alcune varietà della Nicotiana tabacum (Cattaro, Moro di Cori, Spadone di Chiaravalle, Secco di Sardegna) di antica acclimatazione in Italia, ma ora praticamente non più coltivate per il bassissimo consumo di t. da fiuto. Vengono utilizzati anche frammenti di foglie avanzati dalla lavorazione di altri prodotti (sigari in particolare).
Per contenere il t. da fiuto, a partire dal 17° sec., si diffuse l’uso di tabacchiere, scatole di forma schiacciata e variamente ornate, che raggiunsero la massima eleganza nel 18° secolo. Vi furono artisti specializzati nel dipingere ritratti, scenette, paesaggi per i coperchi delle tabacchiere; le fabbriche principali erano a Parigi, Ginevra (metallo smaltato), Hanau (oro e argento), Sèvres, Chantilly, Capodimonte (porcellana) ecc. Dal 19° sec. le t. persero interesse artistico.
T. da masticare. Sono preparati con t. gommosi, resistenti, ad alto tenore di nicotina e a foglie molto sviluppate; queste, dopo essere state sottoposte a un prolungato trattamento in acqua salata, vengono bagnate con conce a base di liquirizia, melassa, finocchio ecc. e, spesso, imbevute di glicerina. Successivamente si arrotolano fra loro a formare una specie di corda (chiamata carota) continua del diametro di circa 3 cm, che viene poi tagliata in pezzi.
T. ricostituito (od omogeneizzato o rigenerato). Si ottiene dalla trasformazione di piccoli frammenti di t. o di residui ottenuti nel ciclo di fabbricazione di altri prodotti (soprattutto le piccole nervature delle foglie, previamente macinate); questo materiale frammentato o polverulento viene convertito in materiale omogeneo e integralmente impiegabile sia sotto forma di piccoli fogli di superficie pari a quella di un lembo fogliare sia sotto forma di bobine continue della lunghezza voluta. La trasformazione viene realizzata mediante aggiunta di alcuni particolari additivi (fibre vegetali, farina di carruba, amidi più o meno modificati, sodiocarbossimetilcellulosa ecc.), che complessivamente non devono superare il 25% della massa secca del prodotto ottenuto, che è poi impiegato o in miscele per sigarette (in proporzioni che vanno dal 2 al 20%) o come sottofascia o fascia per sigari e sigaretti. I procedimenti di fabbricazione avvengono per via umida o per via secca. Nel primo caso, i vari componenti vengono sciolti in un liquido, normalmente acqua, che serve come veicolo, fino a ottenere una specie di pasta molto fluida che viene colata su un nastro trasportatore in movimento e ridotta a un film di spessore voluto, che è poi essiccato, distaccato dal suo supporto, bobinato o tagliato in foglietti. I procedimenti per via secca prevedono lo spargimento di uno strato di polveri di t. su un nastro di acciaio inossidabile in movimento, preventivamente inumidito, sul quale si dispongono un secondo strato costituito dagli additivi (materiali fibrosi e adesivi) e, successivamente, un terzo strato di polveri di tabacco. Il film così ottenuto viene essiccato, distaccato, eventualmente calandrato, e avvolto in bobine o tagliato in fogli.
Prodotti derivati dal tabacco. Comunemente vengono così indicati l’estratto di t., il solfato di nicotina e la nicotina pura. I primi due prodotti svolgono un’azione antiparassitaria, il terzo trova impiego nel settore farmaceutico. L’estratto di t. si ricava come sottoprodotto di lavorazione, quando alcuni tipi di t. molto forti vengono sottoposti a trattamenti con acqua, al fine di ridurne il contenuto in nicotina prima di essere immessi nel ciclo di produzione dei t. lavorati. Il liquido concentrato costituisce l’estratto di t. che viene commercializzato con tenori in nicotina variabili tra il 5 e il 10%. Per ottenere il solfato di nicotina, invece, le foglie vengono trattate con acqua leggermente acida per acido solforico. Questa soluzione può essere utilizzata per recuperare la nicotina. Per la produzione della nicotina vengono generalmente utilizzate varietà di t. appositamente coltivate, che la contengono in elevata quantità.
Nelle aziende di trasformazione il t. è sottoposto alla cernita, in modo da uniformare i lotti in funzione della qualità e delle caratteristiche richieste dalle manifatture acquirenti. La cernita in gran parte dei casi viene fatta a mano, ma può anche essere effettuata automaticamente, basandosi su una prefissata lunghezza d’onda della luce riflessa dalle foglie che passano su ogni nastro.
Successivamente alla cernita il t. subisce, sempre presso i centri di trasformazione, altri trattamenti. Alcuni tipi di t. (t. scuri, t. per sigari e t. Burley destinato a sigarette di t. scuri) sono sottoposti alla fermentazione. La fermentazione, favorita da enzimi che provocano soprattutto la liberazione di ammoniaca, acido ossalico ecc., può essere naturale, operata su masse di t. sufficientemente umido, oppure artificiale, operata in ambiente a temperatura e umidità controllate. I t. che sono destinati alla fabbricazione di sigarette di miscela di tipo americano sono sottoposti invece a un processo di inumidimento e successivo trattamento termico, che permette di stabilizzare le caratteristiche biochimiche delle foglie. I t. di tipo Orientale sono imballati in piccole ballette nelle quali avviene un leggerissimo processo di fermentazione.
Un’altra operazione generalmente eseguita nei centri di trasformazione è la separazione dei lembi fogliari dalla nervatura (battitura), che si effettua per tutti i t. destinati alle sigarette, ai trinciati e al ripieno dei sigari (t. Virginia, Burley e scuri). Prima di essere messo in queste macchine, il t. deve essere fortemente inumidito (circa il 30% di H2O). I lembi fogliari vanno imballati per loro conto previa riessiccazione. Anche le nervature sono riessiccate e suddivise in due gruppi: le nervature più grosse sono riutilizzate in manifattura, mentre quelle più piccole vengono macinate per produrre farina da utilizzare nella produzione del t. ricostituito. Poiché il contenuto di nicotina delle nervature è quasi nullo, il loro riutilizzo permette di abbassare il tasso di nicotina nelle sigarette.
Dopo un certo periodo di invecchiamento, il t. è avviato alle manifatture. I prodotti del commercio derivano da miscele più o meno complesse di varietà; prima della lavorazione ha luogo perciò l’allestimento dei componenti della miscela consistente nella pesatura delle quantità dei singoli t. in colli previsti dal ricettario. All’allestimento segue una fase nella quale si procede alla preumidificazione delle foglie, che viene effettuata in speciali impianti muniti di camere ad alto vuoto. Con questa operazione il materiale assume una pastosità tale da consentire un più facile scioglimento dei colli, riducendo al minimo la formazione di cascami (spulardamento).
Il t. destinato a fascia o sottofascia per sigari (Kentucky, Avana, Sumatra) subisce in manifattura un’operazione preliminare che consiste nella scostolatura, la separazione cioè dalla nervatura centrale dei due lembi fogliari, che devono essere integri. Alcune varietà di t. vengono sottoposte a uno speciale trattamento di concia e tostatura ad alta temperatura (130-180 °C), nel corso del quale vengono eliminati alcuni costituenti volatili e si realizza la caramellizzazione degli zuccheri. L’operazione di concia consiste nel trattare i t. con soluzioni a base di zuccheri invertiti, miele, essenze di cacao, o di liquirizia, o di altre sostanze vegetali, nonché di glicol dietilenico.
Il tabagismo è la sindrome tossica da t., per abuso abituale e prolungato di prodotti da fumo. I meccanismi patogenetici alla base degli effetti nocivi del t. sono molteplici anche in relazione alla notevole quantità di sostanze presenti nel fumo. Le numerose ricerche scientifiche riguardanti gli effetti del fumo hanno documentato con sufficiente chiarezza il legame esistente tra il consumo di t. e l’insorgenza di patologie respiratorie, cardiovascolari, gastrointestinali, nonché l’azione cancerogena esercitata da alcuni componenti presenti nel t. o sviluppati dalla sua combustione. Il fumo generato dalla combustione del t. contiene molte centinaia di composti chimici suddivise tra una frazione particolata (catrame) e una aeriforme (gas e vapore). Nel catrame si trova la maggior parte delle sostanze ritenute responsabili dell’azione cancerogena. La fase gassosa contiene i prodotti di parziale e totale ossidazione delle sostanze presenti nel t. nonché i componenti volatili incombusti; in particolare, tra le sostanze nocive, monossido di carbonio, aldeidi, chetoni, ossidi di azoto. La nicotina, principale alcaloide del t., si distribuisce tra particolato e fase gassosa in una proporzione che dipende dal pH, aumentando la frazione aeriforme al crescere di quest’ultimo.
A carico dell’apparato cardiovascolare, il fumo promuove attraverso meccanismi vari e complessi la formazione di placche aterosclerotiche a livello coronarico, esponendo dunque a un aumento del rischio di infarto del miocardio. A livello dell’apparato respiratorio si osservano alterazioni della funzione ventilatoria e compromissione dei meccanismi di difesa (alterazioni del surfattante, iperproduzione di muco ecc.). Il rischio di neoplasie polmonari, della laringe e forse di altri organi (vescica, cistifellea, pancreas ecc.) è più alto nei fumatori rispetto ai non fumatori, fatto ascrivibile agli effetti mutageni di talune sostanze contenute nel fumo. Anche in soggetti non fumatori ma passivamente esposti al fumo si può riscontrare, rispetto ai non esposti, un aumento del rischio di neoplasie polmonari, di patologie cardiache, di parti prematuri, di aborti nel primo trimestre. La cessazione dell’abitudine al fumo determina un ripristino più o meno completo e più o meno rapido dei valori di rischio per le patologie interessate, simili a quelli dei non fumatori, o comunque significativamente ridimensionati. La prevenzione si basa soprattutto su campagne di educazione sanitaria di tipo informativo volte a chiarire i rischi derivanti dal fumo attivo e passivo.
L’identificazione del tabagismo con un fenomeno per molti versi assimilabile a una vera e propria tossicodipendenza si basa principalmente sulla dimostrata capacità posseduta dalla nicotina di indurre, a seguito di una sua assunzione cronica, uno stato di dipendenza. L’instaurarsi di questo stato in conseguenza dell’uso di t. sotto forma di fumo è in realtà favorito da vari fattori, come il gesto di accendere la sigaretta, le occasioni e il contesto che sollecitano l’accensione stessa e il sapore del fumo, i quali si associano all’azione esercitata a livello del sistema nervoso centrale dalla nicotina; è indubbiamente questo alcaloide il principale responsabile dei fenomeni di dipendenza, che si manifestano con l’incapacità a interrompere o a ridurre consistentemente il fumo e con la comparsa di sindrome da astinenza (ansia, cefalea, irritabilità e bisogno imperioso di fumare, eliminati dalla somministrazione di nicotina per via endovenosa).
In medicina del lavoro, la tabacosi è un tipo di pneumoconiosi, che si può osservare tra i lavoratori del t., per inalazione di polvere delle foglie. Si manifesta con i segni di una bronchite cronica e, radiologicamente, con i segni della sclerosi polmonare.
Nella terra d’origine, l’America, il t. ha frequentemente posto nei principali momenti della vita religiosa delle singole popolazioni; il suo carattere sacro traspare anche dal fatto che talora dalle operazioni connesse con la sua coltivazione sono escluse le donne; o dal fatto che nelle cerimonie religiose si adopera solo t. coltivato con i metodi tradizionali o comunque non di provenienza commerciale. Ogni singola fase della coltivazione, dal trapianto al raccolto, è occasione di riti.
L’alta considerazione in cui è tenuta la pianta si rivela qua e là nella mitologia: nelle tradizioni dei Winnebago (Sioux del Wisconsin) è il dono principale fatto agli uomini dal ‘Creatore della Terra’; talora fa parte del grande tema mitologico della nascita delle piante da coltivazione dal corpo di un essere divino unico: per es., è associata al grano in un unico mito dei Penobscot (Algonchini orientali) che racconta della nascita del t. e del grano dal corpo di una figura mitica femminile, uccisa dal marito per sua prescrizione affinché gli uomini possano soddisfare le esigenze elementari del mangiare e del fumare; in un mito analogo dei Cahuilla (California meridionale) il t. nasce dal corpo combusto di Mukat (figura maschile) insieme ai meloni, alle zucche e al mais e dal defunto progenitore viene nominato per primo quale pianta destinata ai vecchi per fumare. Nel quadro delle esperienze e figurazioni sacrali arcaiche che associano il ciclo della vegetazione con la vita sessuale, la pianta di t. è al centro di un significativo mito dei Creek (Alabama), in cui si narra che la pianta nacque nel luogo del primo amplesso tra un giovane e una ragazza e che accanto al nome hitci, qualificante il t. di per sé stesso, le fu assegnato il nome haisa («coito»), quale nome di circostanza da usare quando il t. veniva fumato.
Al rilievo sacrale sul piano mitologico corrisponde un vastissimo impiego del t. sul piano rituale e generalmente cerimoniale, che culmina nell’essere usato per provocare condizioni estatiche e la trance vera e propria, secondo tecniche varie: mediante masticazione di t. confezionato in pallottole (Aztechi), inalazione del fumo da parte del guaritore tra i Tupinamba (Tupi orientali), pozione di succo di t. nelle sedute sciamaniche degli Akawajo ecc. Per la quasi totalità degli Indiani è normale l’uso del t. quale offerta alle figure divine, tra le quali hanno un posto considerevole quelle legate alla caccia: Korupira, il ‘Signore degli animali’ dei Tupi orientali, Rató, il ‘Padre’ degli animali acquatici dei Taulipangs (Caribi), Ysituu, una divinità fluviale dei pesci dei Manasis (Bolivia orientale), la ‘Maschera vivente’ (misinghalikun) di Delaware (Algonchini orientali) ecc.
Posta la caratteristica di realtà sacra del t., nasce il problema di individuare i vari modi di ‘personalizzazione’ della pianta e le categorie entro le quali questa personalizzazione si attua: per es., tra gli Akawajo il t. si configura come spirito-t. equiparato agli altri spiriti, chiamati dal guaritore nella seduta.
Indiani del t. Nome dato dai coloni europei a una delle nazioni degli Irochesi (Tionontati), per le loro estese coltivazioni di tabacco.