Insieme di minutissime particelle incoerenti (detriti, terra arida, sabbia ecc.), che si stende sul suolo e, sollevato facilmente dal vento, si deposita ovunque. Per estensione, ogni materiale che, per sua natura o perché sia stato finemente suddiviso, mediante una macinazione spinta, si presenta in particelle solide che in massa non assumono forma propria.
Particelle solide, le cui dimensioni sono dell’ordine del micron, presenti negli spazi cosmici. La p. interplanetaria (o zodiacale) permea lo spazio fra il Sole e i pianeti, la p. interstellare è interposta fra le stelle. Dell’eventuale esistenza di una p. intergalattica, negli spazi fra le galassie, mancano fino a oggi prove osservative.
I ‘grani’ di p. interplanetaria sono i meteoroidi più piccoli, aventi dimensioni inferiori a qualche decina di micrometri. La composizione chimica di queste particelle è varia: grafite, silicati, metalli, ghiaccio con inclusioni di sostanze diverse. Si stima che la massa complessiva della p. interplanetaria sia ∿3∙1016 kg, pari a quella di un asteroide di modeste dimensioni. La p. è concentrata intorno al piano dell’eclittica, formando una nube che ha uno spessore di qualche decimo di unità astronomica. La sua densità (numero di grani per unità di volume) diminuisce all’aumentare della distanza dal Sole (d), secondo una legge di potenza del tipo d−n (con n=1,3-2); la nube praticamente termina a d∿4 UA. Lo studio della p. interplanetaria viene condotto sia con la raccolta diretta dei grani sia con tecniche di telerilevamento.
La nube di p. interplanetaria è alimentata da due sorgenti: le comete, che, nei loro passaggi nelle vicinanze del Sole, disperdono nello spazio particelle di ogni dimensione, e gli asteroidi che, collidendo fra loro, si frammentano in pezzi sempre più piccoli.
La manifestazione più evidente della p. interplanetaria è la luce zodiacale. Si tratta di un bagliore diffuso, visibile a occhio nudo in condizioni favorevoli (cielo sereno e senza luna, in siti lontani dagli agglomerati urbani), subito prima dell’alba o dopo il tramonto. La luminosità è concentrata intorno al piano dell’eclittica, perché lì si addensano i grani di p. che diffondono la luce solare. Affine alla luce zodiacale è la luce anteliale (meglio nota con il termine tedesco Gegenschein), un chiarore molto debole, visibile nella direzione antisolare: l’effetto è dovuto alla riflessione della luce del Sole da parte di grani di p. che si trovano dalla parte del cielo opposta a questo. Le osservazioni dalla Terra della luce zodiacale e anteliale sono disturbate dalla luminosità diffusa dell’atmosfera (fenomeno dell’airglow).
Dell’esistenza della p. interstellare ci si può accorgere osservando il cielo notturno, anche a occhio nudo: le macchie oscure, che si notano nella fascia luminosa della Via Lattea, sono prodotte infatti da nubi di p., che assorbono la luce delle stelle retrostanti. Al telescopio, si effettuano osservazioni simili per altre galassie: per es., si distingue chiaramente una banda oscura di p. che attraversa il disco luminoso della galassia spirale NGC 5907 (v. fig.). Lo studio della p. interstellare viene oggi condotto anche con osservazioni al di fuori della banda visibile dello spettro elettromagnetico: nell’ultravioletto, dove i grani assorbono la radiazione stellare assai più che nel visibile, e nell’infrarosso, dove cade il massimo della loro emissione termica. Il quadro che ne risulta è il seguente. La p. è quasi tutta contenuta nel disco galattico: in parte si addensa in nubi, aventi dimensioni che vanno da ∿1 pc a ∿100 pc, e in parte è diffusa negli spazi intermedi. Essa si trova associata al gas interstellare in una proporzione quasi costante (∿1% in massa). I grani hanno dimensioni che vanno da pochi nanometri a ∿250 nm, con una netta prevalenza delle particelle più piccole soprattutto nella componente diffusa. Per quanto riguarda la composizione chimica, oltre a grani di grafite e di silicati esistono probabilmente grani di carbonio amorfo. Le particelle di p. più minute consisterebbero in catene di molecole di idrocarburi aromatici (indicate con la sigla PAH, polycyclic aromatic hydrocarbons). La temperatura media dei grani è intorno a 20 K: essa però può scendere a ∿10 K nelle regioni interne di dense nubi molecolari, che sono schermate dalla radiazione stellare, mentre può raggiungere ∿100 K nelle vicinanze di stelle calde.
Probabilmente la p. interstellare viene generata soprattutto dalle stelle giganti, le cui atmosfere sono così fredde da permettere la condensazione dei gas in minuscole particelle solide. I grani di carbonio avrebbero origine nelle cosiddette stelle al carbonio e quelli di silicati in stelle ricche di ossigeno. D’altra parte, è possibile che i grani vengano modificati in processi che hanno luogo nello spazio, dopo che essi sono stati espulsi dalle atmosfere stellari. La p. gioca un ruolo decisivo nei processi che danno origine a nuove stelle. Essa infatti, schermando la regione centrale delle nubi molecolari dalla radiazione esterna, fa sì che ivi la temperatura scenda a valori sufficientemente bassi, ai quali la forza di attrazione gravitazionale prevale sulla pressione termica del gas provocando il collasso gravitazionale. L’esistenza stessa delle nubi molecolari è resa possibile dai grani di p., sulla cui superficie avvengono le reazioni che conducono alla formazione delle molecole di idrogeno e di altre sostanze più complesse.
Le p. sono composti che si presentano in forma microcristallina.
P. metalliche Ottenute con diversi sistemi, sono impiegate tra l’altro per la preparazione di oggetti metallici di varia forma e natura per mezzo del processo di sinterizzazione. P. non necessariamente metalliche possono poi essere commiste a metalli polverulenti per ottenere prodotti dotati di particolari proprietà specialmente meccaniche.
P. da stampaggio Materiali costituiti da resine termoindurenti o termoplastiche che, con le opportune aggiunte di materiali di carica, materie indurenti, pigmenti, lubrificanti ecc., vengono utilizzate mediante sistemi di stampaggio diversi, per ottenere svariatissimi oggetti, per lo più di piccole dimensioni, di merceria e chincaglieria, casalinghi, giocattoli, parti di apparecchiature elettriche, di automobili, di aeroplani.
P. piriche (o da sparo) Vanno sotto questa denominazione, o sotto quella ancor più semplice e generica di p., le sostanze deflagranti adoperate per le cariche di propulsione nelle armi da fuoco, cioè come esplosivi di lancio, e per cariche esplodenti in artifici, in quanto esse vengono suddivise in piccole masse (grani), tutte di uguale forma e grossezza per una stessa carica, ma variate secondo l’effetto esplosivo che, caso per caso, si desidera ottenere; la denominazione, quantunque di uso corrente, è impropria, poiché le p., specie quelle infumi, non hanno mai un aspetto veramente polverulento.
P. nera Nota fin dalla remota antichità per usi pirotecnici e incendiari, pare abbia avuto il suo primo impiego come p. da sparo verso il 1300, per opera del monaco tedesco Berthold Schwarz. È una mescolanza meccanica di salnitro (nitrato potassico), carbone e zolfo. Ebbe dapprima una composizione centesimale (dosamento antico) di 75 parti di salnitro, 12,5 di carbone, 12,5 di zolfo, formula nota anche come ‘sei, uno, uno’, o ‘sei, asso, asso’; in seguito subentrò il dosamento inglese, di 75 parti di salnitro, 15 di carbone, 10 di zolfo; il dosamento italiano è di 80 parti di salnitro, 17 di carbone, 3 di zolfo. Il dosaggio che corrisponde alla combustione completa sarebbe rispettivamente di 84, 8 e 8 parti, secondo l’equazione:
ma è stato praticamente dimostrato che una p. simile è meno potente di quella in uso. I tre componenti assolvono a tre funzioni diverse: il salnitro fornisce l’ossigeno per la combustione, il carbone il combustibile, mentre lo zolfo serve sia a facilitare l’accensione della p. sia a cementare gli altri due componenti in un impasto unico. Inizialmente, e per alcuni secoli, la p. nera fu usata solo come propellente, favorendo lo sviluppo delle armi da fuoco; soltanto nel 15° sec. si iniziò a impiegarla come esplosivo da scoppio in miniera. L’impiego della p. nera come p. di lancio e come esplosivo declinò verso la metà dell’Ottocento con l’avvento delle miscele a base di nitroglicerina. Attualmente essa è impiegata solo per fuochi pirotecnici e per la preparazione di micce; per gli usi militari è stata sostituita dalle p. infumi che, bruciando rapidamente, non ostacolano il tiro rapido con la produzione di grandi quantità di fumo e gas. P. sottili Residui solidi della combustione, considerati uno dei principali fattori inquinanti delle aree urbane, che vengono inalate attraverso il respiro. L’azione nociva delle p. sottili inquinanti è inversamente proporzionale alle dimensioni delle particelle stesse, considerandosi quelle con diametro inferiore a 10 μm particolarmente rischiose per l’apparato respiratorio, soprattutto in soggetti predisposti. P. inerti Ogni materiale polverulento, insolubile e chimicamente inattivo che, come diluente e assorbente, si mescola nell’uso a prodotti farmaceutici.
Congiura delle P. Congiura ordita da un gruppo di cattolici inglesi che si ripromettevano di uccidere, mediante lo scoppio di una gran quantità di p. da sparo collocata nelle cantine di Westminster, Giacomo I d’Inghilterra, suo figlio Enrico principe di Galles e i lord riuniti in occasione dell’apertura del Parlamento. Alla vigilia (5 novembre 1605), in seguito a una lettera anonima che sconsigliava un lord cattolico dall’assistere alla cerimonia dell’indomani, un’ispezione del palazzo permise la scoperta delle p.; tutti i responsabili furono giustiziati.
Materia allo stato di fine suddivisione in granuli. Negli usi tecnici, le dimensioni delle singole particelle di p. variano secondo il tipo di materiale e gli scopi cui la p. è destinata. Convenzionalmente le dimensioni delle particelle vanno da 1 μm a 1 mm (per particelle di dimensioni minori si parla di pulviscolo). La selezione tra i vari gradi di finezza della p. si fa indicando il massimo numero di maglie per cm2 di un setaccio attraverso cui tutto il materiale possa passare: si distinguono così p. grossolane (25 maglie/cm2), grosse o farine (100), quasi fine (400), fine (900), finissime (1600).
P. antiadesiva In fonderia, nelle operazioni di formatura, p. (detta anche p. isolante) che è usata per ricoprire la superficie delle varie parti costituenti la forma, in modo da impedire che aderiscano tra loro; ciò consente una facile e regolare separazione delle parti medesime allorché si deve estrarre il modello della forma. A tale scopo si usano calcare finemente macinato, grafite, p. di lignite e di carbone, amido, resine sintetiche.