suolo Superficie del terreno, in particolare, lo strato più superficiale di esso, formatosi in seguito all’alterazione del substrato roccioso per successive azioni fisiche, chimiche, biologiche da parte di agenti esogeni e degli organismi che vi si impiantano. È oggetto di studio della pedologia.
La formazione di un s. dipende dalle caratteristiche geo-petrografiche della roccia madre, dal tipo di rilievo, dalle condizioni climatiche, dalle azioni biologiche e più in generale dalla durata della pedogenesi. Di conseguenza il s. varia a seconda delle regioni e degli ambienti geomorfologici.
S. antico Rappresenta un s. che poggia su una superficie non ancora esposta (quindi ancora in fase di evoluzione) e che è soggetto a un processo pedogenetico per tempi molto lunghi.
S. a cuscinetto Terreno caratterizzato da ingobbature coperte da erba. S. desertico S. dovuto alla degradazione fisico-chimica delle rocce affioranti. In questo s. è tipica una patina di alterazione costituita da idrati di ferro, detta vernice del deserto, di color bruno. È prodotta dall’ossidazione per effetto della rugiada notturna e dalle elevate temperature diurne. S. eluviale S. che si origina dall’alterazione in posto delle rocce. I terreni che costituiscono il s. delle pianure non sono eluviali se non in piccola misura: essi sono costituiti da terriccio di trasporto poggiante su alluvioni più grossolane. È invece eluviale lo strato di terreno che ricopre i versanti montuosi e nel quale si effettuano le varie colture agrarie di montagna. S. fessurato S. argilloso umido (detto anche poligonale) che, per aver subito un essiccamento progressivo, si è spaccato variamente dando luogo a forme poligonali. S. periglaciale S. la cui struttura e il cui aspetto sono dovuti all’azione del gelo discontinuo o alla neve o alle acque di fusione di essa. Tale tipo di s. (detto anche crionivale) è esclusivo delle regioni dove, attualmente o in passato, si sono avuti cicli climatici e alternanza di fasi di gelo e disgelo. Si trova perciò nelle regioni subpolari, nelle zone montuose presso il limite climatico delle nevi permanenti. S. relitto S. la cui evoluzione, iniziata in un sistema morfoclimatico del passato, è continuata, con mutati processi, nell’ambiente attuale. I s. policiclici possono essere considerati s. relitti che hanno subito a più riprese diverse fasi pedogenetiche, causate dai cambiamenti ciclici del sistema morfoclimatico di una regione. S. striato Tipo particolare di s. periglaciale (detto anche rigato), costituito da appezzamenti di terreno nel quale si manifestano alternanze di strisce terrose con strisce detritiche, oppure di detriti fini con detriti grossolani, oppure di s. misto e di s. vegetalizzato fine. La selezione dei materiali è dovuta al gelo discontinuo.
Lo stato di salute del s. riveste grande importanza pratica, in quanto da esso dipende gran parte delle risorse alimentari; su di esso l’uomo è intervenuto prima attraverso la pratica del diboscamento, che ha accelerato l’erosione dei s., e in seguito attraverso le pratiche agricole, che hanno portato a un rimescolamento dei s., a un aumento dei fenomeni erosivi e a un prelevamento delle sostanze organiche vegetali, tanto che buona parte dei s. attualmente presenti sulla superficie terrestre può essere considerata non più naturale, ma direttamente modificata dall’azione antropica. Tutto questo ha portato a una sistematica distruzione dei s. che, da una parte, ha determinato l’avanzamento delle aree desertiche nelle regioni tropicali e, dall’altra, ha favorito il dissesto idrogeologico, che si manifesta sotto forma di frane, alluvioni, erosioni fluviali e costiere. Fattori predisponenti a questo dissesto sono le caratteristiche geologiche, geotecniche, morfologiche e climatiche dell’area dissestata e l’acqua di imbibizione e di percolamento presente nel s. e nel sottosuolo; cause determinanti sono il regime e l’intensità delle precipitazioni e le modalità di deflusso delle acque superficiali e di drenaggio e di quelle d’infiltrazione.
La degradazione dei s., oltre che da azioni essenzialmente fisiche (erosione dell’acqua e del vento), è determinata in misura crescente da fenomeni di inquinamento chimico dovuti a pratiche non appropriate di smaltimento di reflui e di rifiuti industriali. Anche le discariche incontrollate di rifiuti solidi urbani, le aree industriali dismesse e l’impiego irrazionale di fertilizzanti e fitofarmaci in agricoltura possono dar luogo a fenomeni molto rilevanti di inquinamento chimico dei suoli. La gravità di questo tipo di inquinamento è connessa anche al rischio che le sostanze inquinanti possano trasferirsi nelle acque di falda, con conseguente compromissione delle risorse idriche.
La gravità della compromissione dei s. dovuta allo smaltimento abusivo dei rifiuti evidenzia l’esigenza e l’urgenza di provvedere al risanamento (bonifica) dei s. contaminati (e delle falde acquifere sottostanti, quando risultano inquinate). Gli interventi di bonifica possono dividersi in due categorie generali: interventi in situ, cioè sul luogo e senza la rimozione di acqua o s., e interventi ex situ, che comportano la rimozione dei s. contaminati tramite escavazione e trasporto in impianti di trattamento adiacenti (on-site) o lontani (off-site) rispetto all’area contaminata.
Gli interventi in situ, quando consistono nella realizzazione di barriere a bassa permeabilità (per impedire, per es., il contatto fra s. inquinati e acque di falda ancora non contaminate), consentono soltanto il contenimento dell’inquinamento. L’effettiva bonifica richiede l’applicazione di agenti fisici, chimici o biologici capaci di degradare, rimuovere o immobilizzare le sostanze inquinanti.
I processi biologici si basano sull’ottimizzazione delle condizioni di crescita dei microrganismi aerobici indigeni tramite la fornitura di ossigeno (generalmente aria) e nutrienti. Applicazione sempre più diffusa hanno trovato quei processi biologici (bioremediation) che utilizzano i microrganismi naturali esistenti nel s.; essi presentano infatti numerosi vantaggi (costi minori rispetto ai processi chimici e fisici, bassi consumi energetici, ottenimento di un s. bonificato ancora biologicamente attivo, scarsi rischi di contaminazione delle acque e dell’atmosfera circostanti). La bonifica biologica dei s. inquinati può essere resa più rapida ed efficace accelerando i processi degradativi naturali tramite un arricchimento selettivo dei microrganismi già presenti nei s. in quelle specie che mostrano maggiore capacità di metabolizzare le sostanze inquinanti.
Gli interventi di trattamento dei s. ex situ possono essere divisi in tre categorie: biologici (basati sull’addizione di acqua, aria, nutrienti ecc., per stimolare l’azione dei microrganismi presenti nei s.), chimico-fisici, termici. Crescente applicazione ha incontrato anche il trattamento biologico ex situ, denominato landfarming, che utilizza bacini dotati di fondo e di argini protetti e isolati, in cui viene collocato il s. contaminato mantenuto in condizioni di umidità e ossigenazione adatte per i processi biologici di degradazione delle sostanze contaminanti; talvolta la biodegradazione è accelerata tramite l’aggiunta di microrganismi selezionati. Sono stati proposti anche trattamenti biologici in cui il s. inquinato, dopo escavazione, viene disposto in cumuli (biopile) o inviato in bioreattori dove spesso, per accelerare i processi biodegradativi, viene mescolato con acqua.
In Italia il fenomeno del degrado interessa buona parte dei Comuni; allo stesso modo una notevole estensione di costa bassa italiana risulta interessata da arretramento delle spiagge. I ripetuti diboscamenti, avvenuti soprattutto nei secoli passati, hanno indebolito i terreni di collina e di montagna con il risultato che le aree in frana sono notevolmente aumentate; a questo vanno aggiunti lo stravolgimento degli assetti dei fiumi, causato dalle opere di scavo all’interno degli alvei per ottenere materiale da costruzione, e la realizzazione di un crescente numero di dighe oltre che di canali e di argini artificiali. Nel Nord il s. edificato ha consumato circa il 70% del territorio disponibile; viceversa nel Sud, dove si è verificato l’esodo di gran parte della popolazione, i processi erosivi hanno acquistato maggior vigore e determinato manifestazioni di instabilità del paesaggio. La conversione di gran parte dei terreni agricoli in terreni urbanizzati, così come la concentrazione di abitazioni e di popolazione in zone piuttosto ristrette, e la meccanizzazione e l’uso dei concimi chimici hanno apportato ulteriori gravi rischi e trasformazioni ambientali.
Per quanto riguarda le tipologie e la dimensione del degrado dei s. in Italia, il rischio erosione permane il più diffuso, considerata la geomorfologia del territorio nazionale. Oltre a interessare aree montane e collinari, il fenomeno si manifesta in modo significativo anche in zone dai dislivelli poco accentuati, caratterizzate da s. con tessitura limosa e marcata tendenza alla degradazione. Le strategie di difesa dal degrado erosivo del s. sono vincolate alla gestione del rischio idrogeologico, delle acque superficiali e del territorio (➔ rischio).
Tipica, invece, delle aree agricole intensive con attività ad alto livello di meccanizzazione è la degradazione dei s. per compattazione. Questo fenomeno, consistente in una costipazione indotta che riduce la capacità protettiva del s. e ne diminuisce la produttività, è diffuso nella Pianura Padana e presente nella Piana del Fucino come in alcune zone meridionali.
Altra forma di degrado generalmente associata agli effetti dell’agricoltura intensiva è la perdita di sostanza organica nel s., che spesso si manifesta contemporaneamente a dinamiche erosive. Negli ambienti pedoclimatici mediterranei, fisiologicamente caratterizzati da livelli inferiori di sostanza organica rispetto a quelli dell’Europa continentale, il fenomeno assume aspetti critici in presenza di processi di desertificazione (➔ deserto). Nelle piane costiere di queste stesse regioni, sta inoltre assumendo proporzioni allarmanti la riduzione della qualità dei s. causata da fenomeni di salinizzazione, peraltro in crescita lungo le coste sia tirreniche sia adriatiche.
La tipologia di degrado del s. meno rilevata su scala nazionale è quella relativa ai processi di acidificazione.
Particolare rilievo hanno assunto infine le problematiche inerenti la contaminazione e l’occupazione antropica dei suoli. In relazione all’occupazione di s. associata alle opere di urbanizzazione e infrastrutturali, si segnala come il fenomeno abbia raggiunto in alcune zone i limiti della sostenibilità ambientale con rischi di degenerazione dei distretti agricoli contigui.
Lo studio dei s. viene condotto direttamente sui terreni mediante codici descrittivi standardizzati; molto importante è anche l’osservazione microscopica, che viene eseguita con l’utilizzo di sezioni sottili di campioni di s. indisturbati; questa pratica è compito della cosiddetta micropedologia. I parametri principali che vengono utilizzati per lo studio dei s. sono rappresentati: dalla tessitura, dal colore, dal diverso stato di aggregazione delle particelle, dalla porosità, dal contenuto di sostanza organica e dal pH.
Tessitura. La tessitura si riferisce specificatamente alle dimensioni granulometriche delle particelle che costituiscono i s., le quali vengono differenziate in pietre (superiori ai 2 mm) e terra fine (inferiori ai 2 mm); quest’ultima consiste di sabbia, limo e argilla con limiti dimensionali che spesso variano a seconda delle classificazioni adottate. Generalmente il limite tra sabbie e limi è posto a 0,062 mm e tra limi e argille a 0,002 mm. La tessitura di un s. ha una notevole importanza per lo sviluppo della vegetazione e quindi per le pratiche agricole.
Colore. Il colore del s. viene rilevato mediante una scala cromatica. Raramente un s. presenta un colore omogeneo; di solito mostra una certa variabilità che è funzione del chimismo: in generale i s. di colore bruno scuro hanno elevato contenuto di materia organica; quelli rossi indicano la presenza di ferro ossidato, mentre i s. di colore grigio e verde indicano la presenza di ferro ridotto.
Aggregazione e porosità. Il diverso stato di aggregazione delle particelle di un s. determina o meno la formazione degli aggregati, la cui forma (lamellare, grumosa, poliedrica, prismatica) è controllata dai cicli di umidificazione ed essiccazione, gelo e disgelo, espansione e contrazione. L’aggregazione controlla inoltre il drenaggio interno del s. la cui porosità, oltre a dipendere dallo stato stesso di aggregazione, è funzione anche dell’attività di animali fossatori, e dipende altresì dalle radici delle piante e dalla liberazione di gas.
Contenuto di sostanza organica. Il contenuto di sostanza organica presente nei s. (humus) si concentra prevalentemente nella parte più superficiale, dove si decompongono fibre vegetali e tessuti animali. L’humus costituisce, infatti, una miscela complessa e piuttosto stabile di sostanze organiche amorfe a comportamento colloidale che conferiscono al s. un caratteristico colore bruno o bruno scuro. Il grado di decomposizione della sostanza organica nei s. (umificazione) viene valutato in base al rapporto carbonio organico/azoto (C/N), che è maggiore di 20 nel caso di tessuti poco decomposti e minore di 10 nel caso contrario.
Sulla base dei caratteri di campagna vengono distinti 3 principali tipi di humus: Mor, tipico delle foreste a conifere, scarsamente mineralizzato, da cui si originano prodotti di decomposizione solubili; Morder, forma più evoluta di Mor con maggior grado di umificazione, presente nelle foreste a conifere e latifoglie; Mull, molto evoluto e stabile, rinvenibile sia nelle foreste a latifoglie sia sotto la vegetazione erbacea.
pH. La concentrazione di ioni idrogeno (pH) definisce il carattere di acidità dei s. e consente di distinguere: s. neutri con pH intorno a 7; s. acidi con pH inferiore a 7; s. alcalini con pH superiore a 7, fino a 9.
I processi pedogenetici responsabili della formazione dei s. e della loro evoluzione sono diversi; i principali sono: la pedoturbazione (consistente in movimenti meccanici del s. che ne favoriscono l’omogeneizzazione, causati da contrazione ed espan;sione, fessurazione, gelo e disgelo); l’idrolisi (il più importante processo di alterazione delle rocce silicatiche, che porta alla formazione di gruppi ossidrilici e di idrossidi e alla neoformazione di argilla in ambiente pedogenetico); la decarbonatazione e la carbonatazione (processi chimici di soluzione e precipitazione che interessano particolarmente le rocce carbonatiche e che sono attivi dove esiste sufficiente disponibilità di acqua); la brunificazione (consistente nella formazione di complessi umoferrici molto stabili che impediscono una eccessiva acidificazione del s. e lo stabilirsi di processi di podsolizzazione); la lisciviazione (consistente principalmente nella rimozione dell’argilla e della sostanza organica dagli orizzonti superiori del s. e nella loro concentrazione in quelli inferiori; questo processo, definito illuviazione, è particolarmente attivo nelle regioni a clima umido); la rubefazione (consistente nella precipitazione, per ossidazione, di ioni ferro sotto forma di idrossidi che, per disidratazione, possono trasformarsi in ematite di spiccato colore rosso; questo processo è comune nei s. dell’ambiente mediterraneo); la gleizzazione (consistente in una alternanza di fasi di ossidazione e riduzione del ferro che determina localmente la precipitazione e la riduzione di quest’ultimo, il quale forma orizzonti con caratteristico aspetto screziato, chiamati pseudogley); la podsolizzazione (processo che dà luogo a profili pedologici con orizzonti molto differenziati; è tipico degli ambienti delle alte latitudini o di alta montagna e consiste in un progressivo impoverimento degli orizzonti superficiali del s., sia di sostanze minerali sia di materia organica, e in un arricchimento di quelli inferiori; il ferro precipita sotto forma di idrossido e dà luogo a concrezioni arrossate; silicio e alluminio formano invece una argilla colloidale, chiamata allofane); la laterizzazione (processo caratteristico delle regioni tropicali con elevata piovosità, dove i fenomeni di idrolisi scindono i reticoli cristallini dei silicati e danno luogo alla formazione di argille caolinitiche e alla precipitazione di ossidi e idrossidi di ferro di colore rosso scuro e alluminio).
Qui di seguito la nuova sintesi definitoria approvata il 5 dicembre 2014, giornata mondiale del suolo, in occasione della tavola rotonda organizzata dall’Istituto della Enciclopedia Italiana:
Suolo - Lo strato superiore della crosta terrestre costituito da componenti minerali, materia organica, acqua, aria e organismi viventi. Rappresenta l’interfaccia tra terra, aria e acqua e ospita gran parte della biosfera. Visti i tempi estremamente lunghi di formazione del suolo, si può ritenere che esso sia una risorsa sostanzialmente non rinnovabile. Il suolo ci fornisce cibo, biomassa e materie prime; funge da piattaforma per lo svolgimento delle attività umane; è un elemento del paesaggio e del patrimonio culturale e svolge un ruolo fondamentale come habitat e pool genico. Nel suolo vengono immagazzinate, filtrate e trasformate molte sostanze, tra le quali l’acqua, i nutrienti e il carbonio. Per l'importanza che rivestono sotto il profilo biologico, socioeconomico e ambientale, tutte queste funzioni devono pertanto essere tutelate.