L’a. è tutto ciò che circonda e con cui interagisce un organismo. Il concetto di a. è quindi relativo e comprende tutte le variabili o descrittori biotici e abiotici in cui un organismo vive e con cui interagisce nel corso della sua esistenza. L' a. biotico è costituito dalla componente vivente dell’a. (piante, animali, microrganismi, virus ecc.) e rappresenta l’insieme delle relazioni con le altre specie cui l’organismo deve rispondere (predazione, parassitismo ecc.), incluse anche le relazioni con gli altri individui della stessa specie (competizione, relazioni sociali, familiari, sessuali ecc.). L' a. abiotico è costituito dalla componente non vivente dell’a. (clima, natura del suolo ecc.) e i parametri cui l’organismo deve rispondere sono temperatura, salinità, pH, illuminazione, concentrazione di ossigeno, piovosità ecc. Ogni organismo è adatto a vivere in determinate condizioni ambientali, pur presentando una capacità di adattamento alle variazioni ambientali maggiore o minore: eurieci sono gli organismi che presentano un notevole grado di adattabilità, stenoeci quelli strettamente legati a un certo a. e incapaci di sopportare variazioni anche minime. Il complesso dei vari a. nei quali si svolge la vita e sui quali si ripercuotono gli effetti della vita, costituisce la biosfera (➔). Lo studio delle relazioni fra organismi e a. è oggetto dell'ecologia (➔).
Al termine del 20° sec. le tematiche ambientali hanno conquistato l’interesse dei mass media e coinvolto la sensibilità di quote crescenti di popolazione. L’intensificarsi di problemi di natura ambientale ha rimesso in discussione l’ineluttabilità dell’equazione sviluppo-alterazione ambientale; inoltre, il progressivo peggioramento di alcuni parametri della qualità dell’aria, delle acque e dei suoli ha indotto i governi, non di rado sotto l’incalzare dell’opinione pubblica, a porre all’ordine del giorno la discussione di questi problemi e la ricerca di soluzioni, come è avvenuto per es. a Rio de Janeiro nel 1992 (➔ Agenda 21) o a Kioto nel 1997 (➔ Kioto, protocollo di). I problemi ambientali hanno oramai assunto una dimensione che condiziona profondamente le prospettive stesse dello sviluppo in termini globali (➔ sostenibilità). Le difficoltà che accompagnano il potenziamento delle attività produttive hanno fatto registrare onerose conseguenze sullo spazio geografico, in particolare nelle grandi concentrazioni demografiche. Le questioni di natura ambientale, inoltre, hanno assunto una loro autonomia all’interno delle scienze economiche, mostrando una forte interazione con il tessuto produttivo presente nei principali paesi evoluti e in via di sviluppo: più precisamente, problemi ambientali interessano il settore primario, l’utilizzazione delle fonti di energia e in generale la produzione industriale. Riguardo a quest’ultima, è certamente il settore chimico che ha presentato i più alti valori di compromissione ambientale. Importanti, anche, le ripercussioni sanitarie che i problemi ambientali comportano e il valore economico che la soluzione delle grandi tematiche ambientali ha mostrato di possedere. Da sottolineare, infine, il valore pedagogico che l’a. ha assunto e il forte interessamento dei legislatori nazionali, degli organismi sovranazionali e delle organizzazioni internazionali alle tematiche ambientali.
Il modello di sviluppo sostenibile, affermatosi nel contesto politico e culturale mondiale nel corso degli ultimi anni del 20° sec., implica un assetto del territorio vincolato alla razionale utilizzazione delle risorse, ossia una gestione territoriale che non comprometta il naturale rinnovamento delle risorse, né le prospettive di crescita economica e sociale. Strumento essenziale per il conseguimento di tale obiettivo sono considerate le politiche di qualità ambientale, interpretate attraverso i sistemi di certificazione di qualità ambientale, quali EMAS e ISO 14000. I relativi protocolli sono stati estesi dalla UE a tutti i settori economici, comprendendo anche organizzazioni che offrono servizi e amministrazioni pubbliche. Si è voluto in tal modo accrescere il contributo potenziale del sistema comunitario di ecogestione allo sviluppo sostenibile, configurando il programma EMAS in particolare come strumento di politica e di pianificazione ambientale del territorio. I benefici riguardano aspetti rilevanti: assetto urbanistico e paesaggistico, organizzazione della mobilità e dei trasporti, progettazione delle opere pubbliche e delle infrastrutture tecnologiche, pianificazione energetica, pianificazione del ciclo dei rifiuti, prevenzione dell’inquinamento, difesa del suolo e delle falde idriche, protezione civile e grandi rischi. Di particolare rilevanza viene considerata l’adesione delle amministrazioni comunali ai programmi di certificazione di qualità ambientale. Sono infatti proprio i Comuni che, se dotati di una metodologia di lavoro orientata alla prevenzione e al miglioramento continuo, possono più efficacemente esercitare l’attività diffusa sul territorio finalizzata a minimizzare gli interventi di emergenza in occasione di danni ambientali. Il ruolo degli enti locali nell’interpretazione di una gestione del territorio sostenibile in termini di equilibrio ambientale, attraverso il corretto esercizio degli strumenti normativi, può essere facilitato dall’applicazione del sistema di certificazione di qualità ambientale alle relative politiche di gestione del territorio. In tal modo, infatti, le procedure degli enti locali rispetto alle suddette competenze sono sottoposte a rigorosa verifica secondo i criteri propri del modello di sviluppo sostenibile, riducendo pertanto gli spazi per negligenze amministrative e per interpretazioni speculative delle disposizioni di legge, eventualmente consentite da alcune debolezze degli impianti legislativi.
La città è uno spazio geografico particolare, in quanto, diversamente da quasi tutti gli altri, è pressoché totalmente costruito dall’uomo. Le città vengono in genere definite come ecosistemi urbani , nei quali è massima l’aggressione umana, rilevabile in termini sia di inquinamento atmosferico, idrico e acustico sia di fatiscenza edilizia, di scarsità di servizi, di congestione del traffico, di guasti estetici e di degrado sociale. Se si tiene conto del fatto che alla fine del 2° millennio la popolazione urbana è arrivata a formare quasi la metà di quella complessiva dell’intera Terra (superando i tre quarti del totale nei paesi industrializzati) e che tende ad aumentare ancora, a causa sia dell’inarrestabile immigrazione nelle città sia dell’espansione delle città stesse nelle aree circostanti, appare evidente quanto sia necessario trovare una soluzione ai pressanti problemi dell’a. urbano, al fine di assicurare una migliore qualità della vita a un enorme numero di persone. Non solo: la città è al tempo stesso il luogo nel quale si originano gravi traumi ambientali che si ripercuotono nelle zone limitrofe, in quanto costituisce un sistema aperto, che mantiene relazioni di scambio con aree sempre più vaste e lontane. L’organismo urbano, infatti, essendo luogo di forte concentrazione della popolazione e delle sue attività economiche, è anche luogo di importazione e di consumo di enormi quantità di energia e di materie diverse (per l’alimentazione e per vari altri usi), energia e materie che sottrae alle aree non urbane; al tempo stesso è grande produttore (ed esportatore) di sostanze di rifiuto: dai gas derivati da industrie, veicoli a motore e impianti di riscaldamento (principali fattori della contaminazione dell’aria), ai rifiuti solidi, il cui smaltimento pone problemi di ardua soluzione; sostanze tutte inquinanti, in misura maggiore o minore, e spesso tossiche.
Il consenso che, dopo la conferenza sull’a. e lo sviluppo di Rio de Janeiro (1992), viene unanimemente riconosciuto al modello dello sviluppo sostenibile sta esercitando ormai una profonda influenza sulle politiche ambientali urbane. La gestione dell’a. urbano ‘interno’ può essere migliorata con opportuni interventi atti ad assicurare lo sviluppo equilibrato della città, a contenere l’inquinamento atmosferico, idrico e acustico, a ridurre il traffico privato e riorganizzare quello pubblico, a preservare e valorizzare il patrimonio edilizio e i beni culturali. Più difficile da perseguire, invece, è la gestione delle risorse provenienti dall’esterno, il cui consumo, peraltro, può essere convenientemente ridotto tramite la razionalizzazione degli impieghi (in particolare di energia elettrica e di acqua).
L’agricoltura è sostenibile se migliora la qualità dell’a. e delle risorse naturali da cui dipende, fornisce alimenti e materie prime per i bisogni umani, migliora la qualità della vita per la società. La sostenibilità dello sviluppo nel settore agricolo può identificarsi quindi con la capacità di mantenere nel tempo il capitale naturale, pur impiegandolo per ottenere utilità derivanti da beni e servizi. Secondo tale definizione un agroecosistema (➔) è tanto più sostenibile quanto più è stabile e capace di autorigenerarsi, ossia se l’insieme degli impatti che esso produce non ne compromette la resilienza e capacità di carico.
In termini operativi, per valutare la sostenibilità di un sistema agricolo diviene quindi necessario analizzare il bilancio delle diverse risorse (suolo, acqua, energia) impiegate nella produzione, verificandone gli impatti nei confronti dell’ambiente. La risorsa principale su cui si esercita l’attività agricola è il suolo. Nel bilancio del suolo è necessario considerare sia il bilancio generale, sia quello interno al settore agroforestale. Le problematiche inerenti alla competizione d’uso del suolo tra urbano e rurale hanno assunto rilievo nei periodi susseguenti alle fasi di maggiore sviluppo economico. In Italia, tra il 1951 e il 1990, il settore agroforestale ha ceduto più di un milione e mezzo di ettari, assorbiti da usi civili, industriali, commerciali, infrastrutturali, con una serie di effetti negativi in termini ambientali, tra cui si deve annoverare il consumo di suolo, che viene destinato in modo permanente ad altri usi, con una perdita netta di capitale naturale e fondiario. In secondo luogo, l’impermeabilizzazione di vaste aree comporta l’alterazione del ciclo idrogeologico con fenomeni di tipo erosivo e ulteriore perdita di risorse pedologiche. Altrettanto considerevoli sono state le variazioni del bilancio interno al settore agroforestale. In particolare si è registrata una forte riduzione della superficie agraria utilizzabile (SAU; ca. 3,8 milioni di ha, pari al 18%), mentre è sensibilmente cresciuto l’uso forestale (+20%) e si sono fortemente diffusi i terreni incolti e in via di rimboschimento (+72%). Altri fenomeni negativi sono dovuti all’erosione idrica ed eolica e alla perdita della fertilità. Questi fenomeni particolarmente gravi a livello mondiale, a loro volta possono essere imputabili tanto all’uso intensivo della SAU quanto alla mancata gestione dei terreni incolti e abbandonati. Per quanto riguarda le cause, si può affermare che esiste una relazione diretta tra erosione, minore contenuto in sostanza organica dei suoli e intensificazione colturale. Le tecniche che maggiormente sembrano influenzare tale evoluzione sono la meccanizzazione, l’impiego dei concimi di sintesi, l’irrigazione, che può comportare anche processi di salinizzazione. Strettamente associata all’evoluzione del suolo è la dinamica degli avvicendamenti colturali. In funzione dell’efficacia nei confronti dell’erosione, si possono suddividere le colture in due gruppi: quelle con azione antierosiva (prati avvicendati, foraggere permanenti e boschi) e quelle con minore efficacia (colture arboree e altri seminativi). Ma il rapporto tra erosione e uso del suolo è da imputarsi anche alla diffusione di terreni incolti e abbandonati.
Al pari del suolo anche l’acqua è una risorsa rinnovabile basilare per l’agricoltura che, nel bilancio idrologico nazionale, assorbe la quota maggiore della domanda finale (ca. il 60%). In Italia esiste un forte deficit della disponibilità di acque irrigue rispetto alla domanda potenziale, problema che tende ad accrescere i conflitti d’uso tra le diverse componenti economiche e civili. È necessario quindi un uso più efficiente della risorsa idrica, che consentirebbe una riduzione della domanda o la possibilità di soddisfare l’espansione delle superfici irrigue. La gran parte delle aziende si rifornisce di acqua irrigua in forma indipendente, in prevalenza da fonti sotterranee. A questo proposito giova ricordare il contributo dell’agricoltura al problema dell’abbassamento della falda, che conduce sia a fenomeni di subsidenza sia, in vicinanza delle coste, all’intrusione nelle falde stesse di acqua salmastra proveniente dal mare. Inoltre, il sistema irriguo prevalente è quello per scorrimento, mentre i sistemi localizzati, economicamente e ambientalmente più efficienti, sono scarsamente diffusi. Un impiego più razionale ed efficiente, sotto il profilo sia economico sia ambientale, dell’acqua in agricoltura può essere perseguito intervenendo tanto sulle reti di adduzione quanto sulla diffusione dei sistemi irrigui più avanzati, ma il passaggio decisivo sembra essere la revisione dei sistemi tariffari.
La questione energetica assume in agricoltura un significato peculiare, visto che è proprio attraverso la fotosintesi che l’energia solare viene resa disponibile sotto forma di energia chimica. L’agricoltura è quindi un’attività nel cui bilancio energetico vanno iscritte voci negative e positive. Tale bilancio si è andato modificando con la diffusione dell’agricoltura industrializzata e del relativo ricorso a input esterni. La questione ambientale, riguardo alla relazione energia-agricoltura, va ricondotta oggi soprattutto all’efficienza energetica del settore. L’evoluzione dell’intensità energetica in agricoltura nel periodo 1981-94 risulta infatti crescente. Tale andamento, oltre a denotare una progressiva diminuzione dell’efficienza economica nell’uso dell’energia, caratterizza il settore come uno tra i più energivori dell’intero sistema produttivo nazionale. Il secondo elemento del bilancio energetico del settore primario è la produzione di energia da parte del settore agroforestale, che può avvenire secondo diverse modalità: impiego delle biomasse forestali per uso energetico; specifiche colture agrarie per la conversione della biomassa in biocarburanti; recupero a fini energetici dei sottoprodotti agricoli e dell’agroindustria.
Dagli ultimi decenni del 20° sec., l’agricoltura ha avuto come obiettivo prioritario la crescita quantitativa delle produzioni, soprattutto per fare fronte alla domanda alimentare. Il raggiungimento di tali obiettivi è stato possibile grazie all’utilizzo di un pacchetto di innovazioni tecnologiche basate sull’impiego di varietà geneticamente migliorate, di mezzi chimici per la concimazione e la difesa, della meccanizzazione e dell’irrigazione. Tuttavia, l’utilizzazione massiccia di fattori produttivi, e in particolare dei mezzi chimici (fertilizzanti e fitofarmaci), ha reso l’agricoltura da un lato dipendente da apporti energetici esterni, dall’altro un settore potenzialmente inquinante.
Proprio nell’agricoltura è stata identificata la più vasta fonte diffusa di inquinamento. Assai numerose sono infatti le conseguenze dannose connesse ai mezzi di produzione sul piano ambientale (inquinamento delle falde, eutrofizzazione, inquinamento atmosferico, erosione, danni al paesaggio, alla flora, alla fauna, alterazione dei microclimi), sulla tossicità degli alimenti (residui di fitofarmaci negli alimenti, elementi tossici nella catena alimentare, nitriti nelle acque e nei prodotti a consumo allo stato fresco) e infine sulla salute degli operatori stessi. I consumi totali di elementi fertilizzanti hanno fatto registrare un incremento sino al 1987, e successivamente una contrazione, determinata da ragioni di ordine sanitario e di tutela ambientale. A livello di impatto ambientale le maggiori preoccupazioni si rilevano per i processi di inquinamento degli acquiferi e di eutrofizzazione delle acque interne o marine, cui possono contribuire, rispettivamente, l’azoto e il fosforo. I fitofarmaci hanno trovato sempre maggiore impiego anche per l’aumento della patogenicità dei parassiti, quale conseguenza della specializzazione produttiva. Tuttavia l’uso dei fitofarmaci, spesso improprio, ha condotto a conseguenze indesiderabili: insorgenza di specie resistenti, rottura dell’equilibrio degli ecosistemi, accumulo di residui tossici nelle catene alimentari. Attraverso gli studi sui meccanismi di azione dei fitofarmaci e sui loro effetti collaterali, ma anche sulla biologia dei parassiti, le strategie di lotta si sono pertanto evolute da una preminente difesa preventiva in una difesa guidata e integrata e, successivamente, nella lotta biologica. Tutto questo ha consentito anche per i fitofarmaci un decremento delle quantità impiegate, ma sono state messe a punto anche nuove molecole di sintesi a largo spettro d’azione, con tempi di carenza breve, facile biodegradabilità e a tossicità bassa o nulla nei confronti dell’uomo e degli altri Mammiferi.
Anche la diffusione della meccanizzazione ha comportato alcune problematiche di carattere ambientale. Va anzitutto ricordato l’impatto sul suolo sotto il profilo fisico (porosità, regimazione delle acque), chimico (contenuto di sostanza organica) e biologico (presenza di microrganismi). Un secondo, rilevante problema è costituito dai mutamenti che il paesaggio agrario ha subito per consentire una gestione più economica dei mezzi meccanici. Le nuove tecnologie sono studiate in modo da ridurre gli impatti ambientali sia nella lavorazione del suolo sia nell’uso di macchine operatrici.
Il problema dell’inquinamento ambientale derivante dalla produzione zootecnica è da imputarsi alla diffusione degli allevamenti di tipo industriale. Infatti, la considerevole crescita del numero di capi allevati è avvenuta attraverso la concentrazione degli allevamenti in unità di grandi dimensioni (spesso di tipo industriale) che adottano tecniche di stabulazione prive dell’uso di lettiera, con la conseguente produzione di notevoli quantità di reflui di consistenza liquida di difficile smaltimento e, quindi, di grave impatto sull’ambiente. Un ulteriore aspetto che rende difficile la gestione dei liquami è la concentrazione degli allevamenti zootecnici in determinate aree, con la conseguente difficoltà di utilizzare razionalmente le deiezioni. L’utilizzazione agronomica dei liquami sarebbe la più logica, essendo un sistema poco costoso per la fertilizzazione dei terreni, ma le aziende zootecniche appaiono sempre più svincolate da quelle agricole. Inoltre, l’uso dei liquami risulta fattibile soltanto se avviene nel rispetto di alcuni criteri generali costituiti dall’attenzione nel non apportare al terreno eccessi di nutrienti, sali, metalli o composti organici, dalla scelta di tecniche e tempi di distribuzione compatibili con una razionale tecnica colturale, dal non danneggiare la qualità dell’acqua che viene a contatto con i terreni coltivati, dal non creare pericoli o inconvenienti per le persone. Il mancato rispetto di questi criteri conduce all’insorgenza di rischi per l’a., a carico delle acque superficiali e/o di falda, del suolo, dell’aria e infine dei prodotti agricoli. Elevati dosaggi di liquami possono essere causa di possibili inquinamenti anche a carico del suolo: dosi eccessive, infatti, creano condizioni di anaerobiosi che, impedendo la normale attività della microflora (cui spetta il compito di metabolizzare i composti organici apportati con i liquami e trasformarli in humus e in nutrienti assimilabili dalle piante), determinano la produzione di sostanze fitotossiche. Inoltre la zootecnia, può essere causa d’inquinamento atmosferico, determinato dalla presenza nei liquami di sostanze volatili. Infine, a seguito dei processi digestivi e delle fermentazioni cui vanno soggette le deiezioni, si ha la formazione di notevoli quantità di gas serra.
Oltre al problema delle deiezioni zootecniche, il settore agricolo influisce sul bilancio di alcuni gas serra a causa delle risaie, dell’impiego di alcuni fertilizzanti, del processo di mineralizzazione della sostanza organica del terreno. Secondo il World Resource Institute, il contributo complessivo del settore agricolo all’emissione di gas serra sarebbe del 13-14%. In aggiunta andrebbe poi considerato il contributo dell’agricoltura ai consumi di energia fossile. Il territorio agroforestale può tuttavia svolgere anche un ruolo attivo nel bilancio del carbonio attraverso la funzione serbatoio delle foreste. Infine, il settore primario è responsabile dell’emissione in atmosfera di gas responsabili della deplezione dell’ozonosfera: tra di essi destano preoccupazione soprattutto i composti a base di bromo, come il bromuro di metile.
Il termine a. è utilizzato in senso promiscuo dal legislatore, per denotare tanto la realtà naturale quanto gli a. di vita e di lavoro. Nonostante, infatti, l’esistenza nell’ordinamento giuridico italiano di un molteplicità di leggi inerenti alla tutela ambientale, non è possibile individuare alcuna definizione normativa del concetto di ambiente. La stessa Costituzione non si riferisce a esso come bene oggetto di autonoma tutela, indicando piuttosto la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività (art. 32, co. 1). Le fonti più recenti del diritto interno, particolarmente condizionate dai principi elaborati in sede europea, comprendono nel concetto di a. ogni effetto dell’attività produttiva o di trasformazione del territorio, assimilando pertanto l’uomo stesso, la fauna, la flora, il suolo, l’aria, il clima, il paesaggio, l’interazione tra i fattori biotici e abiotici i beni materiali e il patrimonio culturale.
Per ciò che concerne la disciplina penale, il codice penale e la disciplina speciale di settore dispongono sanzioni per i delitti di epidemia e avvelenamento (anche colposo) di acque destinate all’alimentazione, per il danneggiamento di risorse pubbliche ovvero del patrimonio storico e artistico, e per il deturpamento di bellezze naturali ecc., quando la condotta illecita leda interessi generali o primari dello Stato. Le leggi ambientali, attraverso l’introduzione di reati soprattutto di natura contravvenzionale, non garantiscono beni giuridici tradizionali come qualità delle acque, integrità dei suoli, purezza dell’aria, salute dell’uomo, ma obiettivi e funzioni pubbliche. Non si tutela direttamente la vittima, quanto la funzione sociale di protezione delle risorse e di protezione ambientale, e la protezione è apportata in via preventiva tramite reati di presunto pericolo che vanno a rafforzare i precetti collocati nella normativa extrapenale. Sono state altresì depenalizzate la maggior parte delle norme della legislazione speciale riguardanti contravvenzioni sulla pulizia della acque, la sanità, la pesca e fatti di inquinamento.
La tutela dell’a. è materia disciplinata soltanto recentemente dal diritto internazionale. Le relative fonti normative sono costituite da dichiarazioni di principi e da trattati miranti alla prevenzione, riduzione o riparazione di danni ambientali causati da uno Stato al territorio di altri Stati o a spazi e risorse di rilevanza internazionale, quali il mare, l’atmosfera, le risorse biologiche ecc. Le dichiarazioni di principi adottate da organi e conferenze internazionali non costituiscono fonte di norme giuridicamente vincolanti, ma, come manifestazioni dell’opinio iuris degli Stati, coniugandosi con analoghi elementi della prassi internazionale, hanno contribuito alla formazione di norme generali in questa materia.
Primo passo verso il consolidamento del diritto internazionale ambientale è stata la Conferenza di Stoccolma (convocata dall’ONU dal 5 al 16 giugno 1972), conclusasi con l’adozione della Dichiarazione sull’ambiente umano, contenente alcuni principi cardine: configurazione dell’ambiente come bene giuridico, la cui tutela non è subordinata al rispetto di altri interessi statali; estensione della tutela ambientale anche a spazi situati al di fuori della sovranità statale, quali l’alto mare, lo spazio extra-atmosferico, l’Antartide; cooperazione internazionale a fini di protezione ambientale. Tra i principali esiti della Conferenza è da menzionare l’istituzione del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP, United Nations Environment Programme), quale organo sussidiario dell’Assemblea generale. A partire dalla Conferenza di Stoccolma, si è inoltre sviluppata progressivamente un’ampia normativa convenzionale, formata da accordi universali e regionali che hanno avuto prevalentemente carattere settoriale, ossia di protezione di determinati beni ambientali (aria, acqua, suolo, specie selvatiche).
Nel 1992, la Conferenza di Rio de Janeiro su ambiente e sviluppo (UNCED) ha introdotto una notevole evoluzione con il concetto di sviluppo sostenibile. Esso esprime l’esigenza di conciliare gli imperativi dello sviluppo economico e sociale, propri della maggior parte della popolazione mondiale, e quelli della tutela dell’a., secondo le indicazioni formulate nel rapporto della Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo del 1987 (Commissione Brundtland) e confermate da innumerevoli documenti successivi. Gli Atti dell’UNCED particolarmente rilevanti sono la Dichiarazione di Rio, composta da 27 principi sull’integrazione tra a. e sviluppo, secondo la quale «la tutela ambientale deve costituire parte integrante del processo di sviluppo e non può essere considerata isolatamente da questo» (principio 4), e l’Agenda 21, programma di azione in 40 capitoli, che identifica gli obiettivi dello sviluppo sostenibile e gli interventi necessari a realizzarlo. A Rio, sono state inoltre aperte alla firma la Convenzione sui cambiamenti climatici e la Convenzione sulla diversità biologica, primi esempi dei trattati ambientali cosiddetti globali conclusi nel corso dell’ultimo decennio, volti a disciplinare questioni ambientali considerate d’interesse generale della comunità internazionale.
Lo studio dei problemi ambientali ha raggiunto una sua autonomia all’interno delle scienze economiche nel corso del 20° secolo. Mentre negli anni 1930 si era iniziato a studiare il problema dell’allocazione nel tempo (con riferimento alle generazioni future) delle risorse naturali, distinte in rinnovabili e non rinnovabili, è solo negli anni 1960 che si cominciano a studiare i problemi economici ambientali in senso stretto, e cioè le possibilità di un controllo efficiente dell’inquinamento ambientale. È però negli anni 1990 che con la conferenza di Rio de Janeiro il problema ambientale è andato diffondendosi nell’opinione pubblica e a livello politico, entrando nelle agende dei governi come problema dell’economia globale. L’inquinamento ambientale è stato visto come risultante sia del fallimento del mercato (scostamento tra i costi privati delle attività di produzione e di consumo e i costi sociali di tali attività) sia del fallimento dell’intervento pubblico (allocazione errata delle risorse ambientali derivante da politiche di intervento dello Stato). Diverse sono le forme di intervento proposte: interventi diretti sui prezzi o sui costi, da realizzare sia mediante sussidi diretti e incentivi creditizi o fiscali tendenti a favorire l’adozione di tecnologie pulite sul piano ambientale sia mediante una normativa che preveda oneri per il mancato adeguamento; interventi diretti sui livelli del prezzo e del costo, consistenti, per es., nell’applicazione di imposte sull’inquinamento (secondo il principio per cui chi inquina paga), le quali dovrebbero essere applicate alle imprese che disperdono rifiuti ed essere calcolate in proporzione al danno provocato dal loro inquinamento; l’introduzione di strumenti basati sul mercato quali i permessi di inquinamento negoziabili. Le autorità dovrebbero stabilire la quantità totale di questi con riferimento a un livello di inquinamento complessivo accettabile e le imprese dovrebbero scegliere tra l’acquisto dei permessi al prezzo di mercato e il cambiamento della tecnologia utilizzata con una tecnologia non (o meno) inquinante.
Un altro punto molto discusso è quello della compatibilità tra protezione ambientale e promozione degli obiettivi di crescita economica. In particolare, la consapevolezza della esistenza di costi ambientali connessi con una ‘società in crescita’ ha portato a sollevare il quesito della desiderabilità e della realizzabilità della crescita economica stessa. Dal fatto che gli a. di cui si dispone per lo smaltimento dei rifiuti (per es. discariche, fiumi, atmosfera ecc.) hanno capacità limitate di assorbimento e che la quantità di rifiuti prodotti cresce con lo sviluppo delle economie, deriverebbe infatti, secondo alcuni studiosi, un primo ostacolo allo sviluppo economico. Inoltre, si ritiene che la limitata disponibilità delle risorse esauribili potrebbe rappresentare un ulteriore ostacolo allo sviluppo. Tuttavia, l’incidenza di questi fattori sulle possibilità di crescita dell’economia potrebbe essere ridotta rendendo più efficiente l’uso delle risorse, scoprendone di nuove, sostituendo le tecnologie inquinanti con altre meno nocive. Lo sviluppo economico, per essere sostenibile, dovrebbe garantire il miglioramento del livello di vita delle popolazioni ed evitare, contemporaneamente, costi significativi e non compensati per le generazioni future (equità intergenerazionale e intragenerazionale). L’a. e le sue risorse dovrebbero, quindi, venire utilizzati in modo da non compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni.
L’utilizzazione delle fonti energetiche ha sempre comportato una stretta interazione con l’ambiente. Se nei secoli passati le azioni dell’uomo erano trascurabili rispetto agli equilibri naturali, con la crescita esponenziale dei consumi energetici richiesti dallo sviluppo nei paesi industrializzati gli effetti sull’a. sono diventati rilevanti, con conseguenze sia immediate sia proiettate nel futuro, di estrema gravità per la biosfera e per l’uomo in particolare. Il problema è sorto verso la metà del 20° sec. e si è acuito verso la fine. All’inizio del Novecento erano ben avvertibili le modificazioni dell’a. connesse alla realizzazione degli impianti idroelettrici o gli effetti delle emissioni gassose delle centrali termoelettriche, soprattutto quelle alimentate da carbone. Ma l’opinione pubblica non era ancora sufficientemente sensibilizzata verso i problemi dell’alterazione dell’a., anzi prevaleva l’apprezzamento per i benefici conseguenti alla disponibilità e distribuzione capillare dell’energia elettrica e al trasporto con veicoli a motore. Con lo sviluppo delle centrali nucleari è emersa inquietudine per la pericolosità del rilascio nell’atmosfera di sostanze radioattive e per il problema della localizzazione dei depositi delle scorie. Nella seconda metà del secolo, infatti, nella maggior parte dei paesi prevaleva la preoccupazione per la copertura dei fabbisogni energetici, nonché per le stime di rapido esaurimento delle riserve di combustibili fossili, e si era molto orientati verso lo sviluppo delle tecnologie nucleari. In seguito ai progressi nell’utilizzo delle fonti energetiche e alla scoperta di ulteriori riserve, il timore per l’esaurimento delle risorse energetiche si è allontanato, mentre si è acuita la preoccupazione per le alterazioni ambientali conseguenti all’utilizzo delle fonti energetiche non rinnovabili. Il problema maggiore è legato al fatto che l’uso di combustibili fossili (quali petrolio, carbone e gas) e l’emissione nell’atmosfera dei gas serra (principalmente l’anidride carbonica) possono causare un sensibile aumento della temperatura del pianeta, lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento del livello dell’acqua dei mari. Il maggiore vincolo all’incremento dei consumi energetici è rappresentato, già attualmente ma ancor più in futuro, dal pericolo per le alterazioni climatiche e ambientali. Di qui la necessità di individuare uno sviluppo globale che sia sostenibile con le alterazioni ambientali, e di precisare le modalità per attuarlo. Le fonti energetiche, oltre che per la trasformazione in energia elettrica (in percentuale crescente), sono utilizzate per il riscaldamento civile e industriale e per i trasporti. Anche se in tutte queste applicazioni si sono registrati sensibili miglioramenti in termini di efficienza energetica e di minimizzazione delle emissioni inquinanti, il contenimento dell’aumento dei consumi globali si pone come un problema di difficile soluzione. Una risposta, pur limitata, è costituita dall’impiego delle ‘fonti energetiche rinnovabili’, che in ultima analisi attingono all’enorme quantità di energia proveniente dal Sole: rientrano in questo quadro gli impianti idroelettrici, eolici, fotovoltaici e le centrali maremotrici. Di questi solo i primi hanno contribuito in maniera significativa alla copertura dei fabbisogni energetici; per gli altri sono in atto notevoli sviluppi tecnologici, con una percentuale di incidenza crescente ma ancora marginale, e non è pensabile, in prospettiva, un totale ricorso alle fonti rinnovabili. Va ricordato che anche l’installazione di alcuni di questi impianti (per es. eolici) ha incontrato resistenze da parte degli ambientalisti, a riprova della intrinseca correlazione tra consumi energetici e fattori ambientali.
Un altro aspetto da evidenziare è la fortissima disuguaglianza dei consumi energetici tra i diversi paesi, già all’interno dei paesi industrializzati (dove il consumo è quasi il doppio per un cittadino statunitense rispetto a uno europeo), ma soprattutto nei riguardi dei paesi emergenti, per i quali lo sviluppo comporterà un rilevante aumento dei consumi energetici. Uno sviluppo che seguisse l’attuale modello dei paesi industrializzati porterebbe a una crescita della domanda energetica tale da compromettere facilmente ogni piano di abbattimento delle emissioni nel prossimo futuro. Gli effetti globali dei cicli energetici possono essere minimizzati agendo simultaneamente sull’incremento del rendimento dei cicli, sull’aumento dell’utilizzo delle fonti rinnovabili e dei combustibili poveri di carbonio, sulla diminuzione dell’intensità energetica specifica in tutti i cicli produttivi. A tale riguardo, l’innovazione tecnologica gioca un ruolo molto importante. È un percorso molto arduo, anche perché è influenzato da fattori non ben definiti, quali l’approfondimento delle conoscenze sulle modificazioni dell’a., il progresso tecnologico, i rapporti politici tra i paesi, le modifiche dei modelli di sviluppo e dei costumi dei popoli.
L’impatto di un insediamento industriale sull’a. è sempre stato rilevante e va dall’occupazione degli spazi al sistema di trasporto delle merci, alle emissioni gassose e agli scarichi. A partire dagli anni 1970, le disposizioni normative hanno posto limiti sempre più stringenti e controlli sempre più efficaci. Per tutelare l’a. le politiche industriali si vanno orientando verso la razionalizzazione dei consumi delle risorse materiali ed energetiche nei processi produttivi, verso l’impiego di tecnologie e metodi di produzione pulita, verso un riesame dei cicli di vita dei prodotti per minimizzare la quantità di rifiuti che ne consegue. Questa linea di tendenza ha indirizzato la scelta dei materiali verso quelli riciclabili, o di facile smaltimento. È cresciuta la consapevolezza della necessità di una prospettiva unitaria per tutto il ciclo di vita di un prodotto, dalla produzione all’utilizzo, al riciclaggio o allo smaltimento. Anche l’installazione di un insediamento produttivo deve prevedere la fase terminale di cessazione, smantellamento e ripristino dell’a. preesistente. I maggiori costi per la tutela ambientale devono essere inglobati in una quota dei prezzi di mercato dei beni prodotti. La revisione dei cicli produttivi può portare un contributo fondamentale alle forme sostenibili di sviluppo economico, in quanto può minimizzare le contrapposizioni nella scelta tra crescita economica e tutela dell’ambiente. Questa revisione interessa sia i processi produttivi (con il risparmio delle materie prime e dell’energia, l’eliminazione delle sostanze tossiche e pericolose, la riduzione della quantità e della tossicità delle emissioni e dei rifiuti) sia i prodotti (ideati e realizzati nell’ottica di ridurre gli esiti negativi durante l’intero ciclo di vita sino alla fase di riciclaggio o di smaltimento dei rifiuti) sia i sistemi di servizi che dovranno essere concepiti e attuati con la verifica rigorosa dell’impatto ambientale. Presupposto fondamentale è la conoscenza, sempre più chiara e approfondita, dei rischi ambientali associati a ogni fase del ciclo produttivo relativamente ai diversi comparti ambientali.
Per il sistema delle imprese e per la pubblica amministrazione il settore ambientale sta assumendo importanza strategica anche in termini di possibilità occupazionali. A tale riguardo è opportuno considerare la forte crescita dell’‘industria verde’, costituita dalle aziende che producono tecnologie, beni e servizi in campo ambientale (ecoimprese). Le principali attività connesse a tali imprese (con le conseguenti implicazioni occupazionali) sono: progettazione, costruzione e installazione di impianti per la depurazione delle acque di rifiuto civili e industriali, per il trattamento dei fanghi di risulta, per la rimozione delle sostanze inquinanti dalle emissioni gassose, per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti solidi di origine urbana e industriale; prestazione di consulenze e servizi; realizzazione e installazione di impianti per lo sfruttamento di fonti energetiche alternative.
L’a. in senso lato (nelle sue componenti fisiche, chimiche e biotiche) ha sempre condizionato lo stato di salute dell’uomo (oltre che degli animali e delle piante), e in modo più determinante a partire dalla rivoluzione industriale. Tali influenze interagiscono e si sommano, per quanto concerne la salute umana, con fattori genetici, alimentari, etnici, socioeconomici (compresa la possibilità di accesso ai servizi sanitari), comportamentali (come stile di vita o altri fattori), materiali e immateriali (non escluse le migrazioni, l’inurbamento, lo scenario culturale e psicologico ecc.). Sulla salute umana possono interferire in modo negativo vari ordini di cause.
Sono costituiti dai microrganismi patogeni (batterici, micotici, virali) o parassiti (uni o pluricellulari) veicolati direttamente dall’a. (suolo, acqua, liquami, aria, alimenti) o da vettori animali utilizzati come ospiti intermedi. Il degrado ambientale, l’uso eccessivo di fitofarmaci, gli squilibri ecologici indotti dall’uomo, alcune errate scelte zootecniche, l’inadeguatezza della sorveglianza veterinaria sul mercato del bestiame e sull’andamento delle zoonosi, l’intensificarsi dei flussi migratori, l’estendersi del turismo di massa (soprattutto nei paesi economicamente depressi), le insufficienze della sorveglianza igienico-sanitaria e il consumo di carni crude o poco cotte hanno mantenuto a livelli inquietanti l’andamento epidemiologico di malattie ‘classiche’, come le salmonellosi, e hanno favorito il massiccio riemergere di altre infezioni che sembravano in declino, come la malaria, il colera e la tubercolosi.
Possono essere naturalmente presenti in determinati a. naturali o, soprattutto, derivanti dalle attività umane, tra cui ossido di carbonio, anidride solforica, diossine, cloruro di vinile, altri composti di sintesi; sono contaminanti ambientali che possono danneggiare l’organismo attraverso differenti vie (inalazione, ingestione, contatto) e per cause diverse (attività industriali, traffico di veicoli a motore, emissioni di impianti di riscaldamento ecc.).
Sono da tempo noti i possibili effetti patogeni della temperatura (calore eccessivo, perfrigerazione), dell’umidità, della ventilazione, della pressione atmosferica, dell’illuminazione inadeguata, dello smog, dell’inquinamento acustico. Anche se quest’ultimo fattore può provocare o aggravare turbe funzionali va tuttavia considerato che, nei confronti dell’esposizione ai rumori, esiste una risposta individuale alquanto diversa.
Negli ultimi decenni del 20° sec. sono stati approfonditi gli studi sui rischi sanitari da esposizione alle onde elettromagnetiche e alle radiazioni ionizzanti. Incessanti sforzi sono rivolti a prevenire e fronteggiare gli eventi da radiocontaminazione ambientale, sia ipotetici (nuovi eventi bellici con impiego di ordigni termonucleari) sia realmente verificatisi (disastro di Černobyl, 1986; affondamento del sottomarino russo Kursk, 2000). Altrettanto assiduo è il monitoraggio a lungo termine dei danni sulla salute umana esercitati dal radon che lentamente si sprigiona in vari territori (suolo, rocce, corsi d’acqua) e negli a. a uso abitativo, scolastico, di lavoro. Non solo all’interno delle abitazioni ma anche dei grandi edifici in cui convergono collettività, si possono concentrare a volte molti dei fattori di malattia già citati. Innumerevoli possono essere le cause che compromettono la salubrità del microambiente: per es. le malattie respiratorie di natura allergica (anzitutto asma bronchiale) possono essere scatenate dalla polvere, habitat ideale per molte specie di acari, agenti ad alta carica allergenica; negli edifici pubblici, per deterioramento dell’impianto centrale di condizionamento dell’aria, si possono generare focolai epidemici di legionellosi. In ospedali e istituti di ricerca, dallo scorretto smaltimento dei rifiuti radioattivi derivano gravi rischi di contaminazione radioattiva. È invece all’interno degli ospedali che si possono diffondere, spesso a seguito di irrazionali comportamenti dei malati e del personale medico e paramedico, microrganismi patogeni con conseguente trasmissione delle cosiddette malattie nosocomiali.
Contesto hardware e software nel quale operano gli utenti di un dato calcolatore o sistema di elaborazione dati. In particolare si indica con a. operativo (per es. a. Unix o DOS o MacOS ecc.) il complesso di condizioni di lavoro, procedure e vincoli connessi con l’uso di un particolare sistema operativo, per cui l’espressione lavorare in un determinato a. significa lavorare con determinate macchine o determinati programmi o sistemi operativi e solo con quelli.
Approfondimento:
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