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Mentre nell’uso comune il termine a. indica esclusivamente o prevalentemente la scelta, la preparazione e l’assunzione dei cibi, in fisiologia esso assume un significato più estensivo, tale da prendere in considerazione tutte le trasformazioni fisiche, chimiche e fisico-chimiche che gli alimenti subiscono nell’interno del tubo digerente. Intesa in questo senso l’a. va considerata come il primo momento della nutrizione, ossia di quella complessa serie di fenomeni biochimici che condizionano la vita, lo stato di salute e l’omeostasi, e che c0nsentono agli organismi viventi di conservarsi, differenziarsi, moltiplicarsi, adattarsi alle variazioni ambientali, di lottare contro le influenze sfavorevoli, gli agenti morbigeni.
Nelle moderne società industrializzate l’a. umana scaturisce dalla catena agroindustriale, da cui discendono produzione, trasformazione e condizionamento del cibo. L’impatto di fattori economici (come disponibilità, rete distributiva e potere d’acquisto) e socioculturali (come forza delle tradizioni e livello di educazione) determina la possibilità di accesso ai vari alimenti e la bontà della loro scelta. Tutto ciò, anche in funzione delle modalità di preparazione del cibo e della quantità ingerita, si riflette sulla biologia della nutrizione e, conseguentemente, sulla salute, in ragione degli squilibri per difetto o eccesso eventualmente determinatisi. Tenendo a mente le molteplici valenze socioeconomiche, biologiche ed epidemiologiche, che intrinsecamente la contraddistinguono, l’a. costituisce, pertanto, una sorta di sistema reticolare, da cui, per reciproche interazioni, dipende la qualità della vita.
Disponibilità e varietà del cibo hanno esercitato un ruolo non secondario sullo sviluppo evolutivo della specie umana. Di fatto, se si dipende troppo da un particolare tipo di cibo, questo può venire più facilmente a mancare; se, invece, si mangia di tutto è meno probabile che l’indispensabile venga a mancare completamente. Si spiega così come l’Homo habilis, onnivoro, sia sopravvissuto allo Australopithecus robustus, ominoide che viveva di sola frutta, noci ed erbe. Superata l’epoca della caccia e della raccolta, lo sviluppo dell’agricoltura ha contribuito potentemente, con l’addomesticamento e l’allevamento di animali e la coltivazione di piante, ad allargare la base alimentare dell’uomo, pur riducendo la gamma delle specie vegetali ritenute commestibili. Tuttavia nel mondo antico e fino alla scoperta dell’America, le disponibilità alimentari furono limitate, se non addirittura precarie, ai fini della sussistenza, soprattutto per i gruppi più poveri. Nell’Europa centrale, per es., la scarsità di base è rimasta per secoli quella enunciata da J. Boemus nella prima metà del 16° secolo: «Pane, avena e verdura cotta sono il cibo del contadino; acqua e siero la sua bevanda».
Dopo la scoperta e l’esplorazione dell’America e la conseguente acquisizione delle risorse del nuovo continente, lo scenario cambiò. Malgrado sofferenze ed errori, che afflissero i popoli assoggettati nel Nuovo Mondo, si avviò un interscambio di risorse. Ciò contribuì a introdurre in Europa i prodotti dei coltivatori protoamericani (dal mais ai fagioli, dalla patata al pomodoro, per finire con peperoni, zucche e zucchine e numerosi altri ortaggi e frutta) e ad ampliare fortemente le disponibilità mondiali, arricchite dalle vaste possibilità aperte dalla produzione nel Nuovo Mondo: dall’estesa coltivazione di cereali e di canna da zucchero all’allevamento animale. Un ulteriore incremento delle risorse alimentari scaturì, infine, a partire dal 19° secolo, dallo sviluppo dell’industria agroalimentare che, con l’introduzione delle moderne tecnologie di conservazione delle derrate deperibili e di trasformazione e innovazione di prodotti, aumentò fortemente il potenziale di consumo.
Il primo rilevante contributo all’approccio moderno alla scienza dell’a., scaturito con l’affermarsi del principio dell’osservazione diretta e della libera analisi critica, deve essere attribuito a Leonardo da Vinci, il quale, anatomizzando e descrivendo minuziosamente le strutture corporee nelle sue tavole, avviava, in assoluta libertà dai canoni allora dominanti, la riflessione sulle funzioni organiche. Storicamente un altro contributo prioritario va riconosciuto a Paracelso (1493-1541), il quale ebbe il merito di introdurre la chimica nello studio dei fenomeni vitali.
La moderna scienza dell’a. nacque nel Seicento, con il nuovo indirizzo impresso alla ricerca dal metodo sperimentale galileiano. Ma fu soltanto nel 19° sec. che il progresso scientifico permise la dimostrazione dei fondamenti delle scienze dell’alimentazione. Al riguardo, due principali linee di ricerca risultarono fruttifere: con la prima, di carattere sociale, furono presi in considerazione i consumi reali di alimenti da parte di individui e collettività più o meno vaste, onde arrivare alla conoscenza del fabbisogno alimentare; con la seconda, di natura sperimentale, si cercò di stabilire il dispendio energetico animale e di identificare natura e funzioni delle sostanze quaternarie (composte da carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto), come le proteine, e terziarie (composte da carbonio, idrogeno e ossigeno), come i carboidrati e i grassi o lipidi. I grandi progressi ottenuti furono indubbiamente conseguenza dello sviluppo dell’analisi chimica dei materiali da studiare. Sostanzialmente la conoscenza della composizione chimica, integrata dalla sperimentazione biologica, consentì di mettere in luce il valore e la equipollenza (legge della isodinamica di M. Rubner) di proteine, grassi e carboidrati, nonché la valenza plastica delle prime. Contestualmente fu avviata la discussione sulle razioni giornaliere necessarie e infine si aprì lo studio degli elementi minerali, macro e micro. All’epoca, comunque, il concetto di alimentazione come possibile materia morbis non era ancora preso in considerazione, avendo le grandi scoperte di L. Pasteur portato in primo piano la natura microbica, parassitaria o tossica delle varie malattie. Fuori dalle accademie e dai laboratori scientifici, tuttavia, l’osservazione pratica forniva indicazioni significative. Sorse poi il concetto di malattia da carenza, su cui si venne accumulando un’imponente serie di lavori, volti a identificare gli indispensabili fattori accessori della dieta, che, nel 1912, K. Funk definì vitamine. L’eziologia delle malattie da deficienza teorizzata da Funk rappresentò per la prima metà del 20° sec. la sola causa morbosa legata all’alimentazione. Obesità e diabete erano infatti visti come specifiche malattie del ricambio e connessi più a disturbi endogeni ormonali che a eccessi e squilibri alimentari.
Due differenti situazioni si contrappongono oggi nel mondo: da un lato gli effetti di carenze gravi, più o meno estese, e, dall’altro, gli effetti di eccessi o squilibri nell’alimentazione. Nelle aree povere il problema di fondo è costituito da quanto A. Sen ha icasticamente identificato nell’ineguale ‘titolarità del cibo’, condizione ancora largamente diffusa nel mondo e che consiste nella disparità nell’accesso agli alimenti, cioè nella possibilità di procurarseli o meno, sia per difetto di produzione sia per scarso potere di acquisto e di mezzi di scambio. Si considera sottoalimentata la popolazione di tutte le età per la quale l’assunzione di energia (kcal pro capite per giorno) risulti inferiore al valore del metabolismo di base (MB) moltiplicato per il fattore 1,54. Si può constatare che un certo miglioramento è intervenuto negli ultimi anni. Questo miglioramento, riconoscibile nel complesso del mondo afflitto da povertà, presenta, tuttavia, larghi margini di disomogeneità: se la situazione è fortemente migliorata soprattutto nel Vicino Oriente e nell’America Centrale e Meridionale, rimane invece grave nell’Asia meridionale e gravissima nell’Africa subsahariana. Nel Vertice mondiale sull’alimentazione del 2008, svoltosi a Roma, la FAO ha ribadito l’impegno ad aiutare i paesi in via di sviluppo, o in transizione, incrementare gli investimenti nell'agricoltura, assicurare alle agenzie ONU le risorse necessarie per ridurre drasticamente fame e malnutrizione.
Struttura e qualità della razione alimentare sono sostanzialmente dipendenti dal reddito. A ogni incremento del livello di reddito pro capite corrisponde un aumento delle quote di energia fornite da proteine animali, lipidi visibili (cioè grassi di condimento animali e vegetali) e lipidi invisibili, contenuti in alimenti di origine animale, e zucchero (saccarosio). Parallelamente si verifica, per compensazione, una diminuzione delle quote energetiche fornite da proteine vegetali, lipidi invisibili di origine vegetale e amido. Questo comportamento ha trovato puntuale conferma in Italia, nel periodo compreso fra gli anni 1952-54 e 1976-78, in cui si è osservata, per la prima volta nella storia del paese, la triplicazione del reddito pro capite. Partita dalla condizione di profondo malessere alimentare che la caratterizzava all’inizio del 20° sec., dai primi anni 1950, con l’avvio dello sviluppo economico, l’Italia è andata incontro, come confermano i più recenti rilevamenti, a una radicale modificazione dei principali consumi alimentari. È diminuito il consumo degli alimenti di base, come i cereali, ritenuti, a torto, espressione di povertà, mentre è aumentato il consumo degli alimenti indici di ricchezza e quindi, in ordine crescente, di grassi, carni, zucchero. Le nuove tendenze di consumo, oltre che dall’accresciuto potere di acquisto della popolazione, sono state guidate da motivazioni psicologiche e socioculturali, piuttosto che dalla consapevolezza dei reali bisogni fisiologici. Il raggiungimento degli stili alimentari proposti dai modelli di vita dominanti nelle società industrializzate occidentali ha rappresentato, di conseguenza, l’obiettivo da raggiungere come simbolo del benessere e dello stato sociale conquistato. Ciò ha chiaramente comportato alcuni squilibri con ripercussioni negative sulla salute. È singolare che le abitudini degli Italiani siano cambiate, allineandosi ai valori dei paesi più industrializzati, proprio negli anni in cui nel resto del mondo il modello di alimentazione mediterraneo veniva proposto come riferimento di sano comportamento alimentare.
Nell’ultimo periodo, interessi e indirizzi di studio e di applicazione si sono via via allargati in vista dell’obiettivo prioritario della qualità e della sicurezza dell’a. in tutti i suoi aspetti. A partire dai domini originari e classici della chimica, gli studi in materia della biochimica e della fisiologia si sono approfonditi ed estesi in un sempre più aperto intreccio interdisciplinare tra i più vari campi di ricerca, applicazione e meccanismi di feedback connessi con la vasta materia. Oggi, pertanto, alimentazione e nutrizione si collocano specularmente al centro di un sistema interattivo, il quale, per quanto riguarda il trasferimento dei risultati delle varie azioni e le ricadute politiche e sociali della iniziative intraprese, deve necessariamente poggiare sulla logica del rapporto costo-beneficio. Sono infatti evidenti gli apporti che dall’interazione tra le diverse discipline e aree di ricerca possono derivare per la comprensione dei processi e meccanismi di base, il miglioramento della qualità, la tutela della salute, lo sviluppo economico e il progresso sociale.
Si chiamano tensioni (o correnti) di a. quelle fornite agli elettrodi di alcuni componenti circuitali (transistore, cinescopio ecc.), per metterli in condizione di funzionare nel modo appropriato: a. del collettore, a. della placca (o a. anodica) ecc. Tranne che in qualche caso, tutte le tensioni di a. devono essere continue e danno luogo alle tensioni di polarizzazione degli elettrodi, intorno alle quali può variare il potenziale degli elettrodi stessi, in seguito all’applicazione delle tensioni di segnale.
La somministrazione di materiali o di energia destinati a far funzionare macchine o a venire elaborati in determinati apparecchi viene effettuata, per ciascun tipo di a., da un apposito alimentatore.
Nelle caldaie a vapore l’a. consiste nell’introduzione dell’acqua destinata a essere trasformata in vapore: è operazione essenziale per la continuità del funzionamento e l’acqua adoperata deve possedere particolari requisiti, tanto più quanto più elevata è la pressione di regime della caldaia. L’acqua di a. è introdotta in caldaia per mezzo di pompe o iniettori; talvolta sono usati alimentatori automatici. Di norma l’acqua di a. è preriscaldata, sia nei preriscaldatori o economizzatori utilizzanti il calore residuo dei gas combusti che abbandonano la caldaia sia per mezzo di vapore spillato dalle turbine. La tendenza è di spingere il preriscaldamento, così da reintrodurre l’acqua a una temperatura vicina a quella che regna in caldaia.
Nei motori a combustione interna l’a. è l’operazione con la quale un motore viene rifornito del fluido occorrente per il suo ciclo, cioè dell’aria e del carburante. L’a. è naturale quando la depressione che si forma nel cilindro nella fase di aspirazione è sufficiente a richiamare il fluido all’interno del cilindro stesso: ciò si verifica nella maggior parte dei motori a combustione interna per usi terrestri e marittimi; in alcuni casi occorre invece l’a. forzata (o sovralimentazione), ossia il fluido deve essere spinto nel cilindro in pressione: ciò si verifica per es. nei velivoli in quota per la ridotta pressione dell’aria esterna e nei motori da competizione per l’elevata potenza specifica richiesta. Nei motori rotativi (per es., turbine a combustione) l’a. avviene, di solito, a opera di compressori, per l’aria, e d’iniettori, per il carburante, i quali immettono detti fluidi, nelle giuste proporzioni, nella camera di combustione; nei motori alternativi a iniezione per autoveicoli l’a. è naturale per l’aria e forzata, a mezzo di pompe d’iniezione, per il carburante, mentre è naturale nei motori a combustione, nei quali la miscela aria-carburante, formatasi nel carburatore, passa nei cilindri per aspirazione.
L’a. razionale del bestiame è uno dei fattori del successo nell’industria zootecnica. Si dice coefficiente di digeribilità di un alimento il rapporto percentuale tra la quantità di sostanza secca dell’alimento ingerito e quella espulsa con le feci; esso è tanto più basso, quanto maggiore è il contenuto in cellulosio di un alimento. La relazione nutritiva è il rapporto percentuale fra le proteine digeribili e gli idrati di carbonio e i grassi, ridotti questi ultimi allo stesso valore energetico dei carboidrati (moltiplicandoli per 2,4); essa è stretta quando è espressa da valori superiori a 1/6, larga nel caso contrario. La razione è la quantità di alimenti somministrata nelle 24 ore. Gli alimenti si distinguono in foraggi, voluminosi in rapporto al contenuto in principi nutritivi digeribili, e mangimi concentrati, con un’alta percentuale di sostanze alimentari digeribili.
Approfondimento:
La sicurezza alimentare, la globalizzazione e il diritto amministrativo di Dario Bevilacqua