Pittore, architetto, scienziato (Vinci, Firenze, 15 aprile 1452 - castello di Cloux, od. Clos-Lucé presso Amboise, 2 maggio 1519). Ha personificato il genio rinascimentale che rivoluzionò sia le arti figurative sia la storia del pensiero e della scienza.
Figlio illegittimo del notaio ser Piero, di Vinci, di cui non è ricordato il casato. Dal 1469 si stabilì a Firenze, dove nel 1472 era già iscritto alla Compagnia dei Pittori. Nel 1476, anno in cui fu prosciolto da un'accusa di sodomia, era con Andrea del Verrocchio di cui era stato scolaro per quattro anni; ma doveva interessarsi anche alla scuola dei Pollaiolo, particolarmente per le ricerche anatomiche che vi si conducevano. Indipendente dal 1478, nel 1482-83 era a Milano alla corte di Ludovico il Moro, inviatovi, secondo alcune fonti, in qualità di musico da Lorenzo il Magnifico; ma in una sua lettera al Moro, L. si dichiarava capace di inventare e costruire congegni bellici, di progettare opere di architettura, di fondere in bronzo e scolpire, di dipingere. A Milano egli svolse intensa attività di pittore, lavorò a un monumento per Francesco Sforza, allestì apparati per feste e fu scenografo, ingegnere militare, consultato per problemi di architettura. Questo periodo fu il più fecondo di opere compiutamente realizzate e di altre riprese in seguito. In particolare L. poté approfondire i proprî studî scientifici e intraprenderne di nuovi, nel campo sia della fisica sia delle scienze naturali. La sconfitta di Ludovico il Moro (16 marzo 1500) costrinse L. a lasciare Milano. Insieme al matematico L. Pacioli, di cui era grande amico, e all'allievo A. Salai, L. partì per Venezia, fermandosi lungo il viaggio a Mantova alla corte di Isabella d'Este, dove fu accolto con grande favore e ricevette richieste di opere di pittura (disegnò allora un ritratto di Isabella d'Este). Nell'aprile del 1500 lasciò Venezia, dove aveva compiuto studî per apprestamenti difensivi, e ritornò a Firenze, dove, secondo quanto riferisce un contemporaneo, condusse una vita "varia e indeterminata forte, sì che pareva vivere alla giornata"; si dedicava alla pittura (Sant'Anna, la Vergine e il Bambino), ma più spesso dava "opra forte ad la geometria, impacientissimo al pennello". Allora aveva già ricevuto commissioni dal re di Francia Luigi XII. Dal maggio 1502 al maggio 1503 L. fu lontano da Firenze, quasi sempre al servizio del duca Valentino (Cesare Borgia), a sua volta in stretto rapporto con Luigi XII. Un salvacondotto del Valentino dichiara L. "Architetto et Ingegnero Generale"; varî appunti di L. di questo periodo ci ricordano suoi viaggi a Urbino, a Rimini, a Cesena, a Pesaro, a Cesenatico e in altre città delle Marche e della Romagna, dove egli studia porti, problemi di idraulica, fortificazioni. A questo periodo appartengono gli originalissimi contributi di L. alla cartografia, al rilievo e alla descrizione dei luoghi. Ritornato a Firenze, si occupa ancora, per P. Soderini, di pittura, di questioni militari, e di canalizzazioni, a scopo sia pacifico sia militare (alcuni progetti arditi e utopistici sono tuttavia impressionanti per la lucidità della progettazione), e incomincia a studiare il volo degli uccelli e le leggi dell'idrologia; ordina i suoi appunti secondo quella che sempre più si precisa come una visione d'insieme, in una concezione altamente originale delle "forze prime" attive nella natura. Amareggiato per l'esito infelice del grande dipinto murale della Battaglia d'Anghiari (v. oltre), per la frustrazione dei suoi progetti di ingegnere, per l'incomprensione degli artisti e dei mecenati fiorentini verso il suo travaglio di ricercatore, L. nel 1505 è di nuovo a Milano, protetto di Luigi XII. Era però a Firenze nel marzo del 1508, per essere ancora a Milano nel settembre dello stesso anno, intento allo studio di sistemi di chiuse e di canali navigabili. Da alcuni disegni sembra che L. abbia seguito Luigi XII nel Bresciano al tempo della battaglia di Agnadello (14 maggio 1509), studiando l'idrografia della regione. Rimase a Milano al servizio del luogotenente francese Carlo d'Amboise, per il quale progettò un palazzo e una cappella (S. Maria alla Fontana). A questo periodo risalgono gli studî per il monumento equestre a G. G. Trivulzio. Importanti gli studî sulla navigazione fluviale; nelle ricerche anatomiche collabora con Marcantonio della Torre; studia la botanica. Nel dicembre del 1512 il ritorno di Massimiliano Sforza a Milano costrinse L. a rifugiarsi a Vaprio presso il fedelissimo discepolo F. Melzi, sinché, nel 1513 fu chiamato a Roma da Giuliano de' Medici. Ma a Roma L. si vide escluso dalle grandi opere del tempo: i progetti per S. Pietro e la decorazione del Vaticano; gli fu portato via il trattato De vocie che aveva composto; ostacolato nelle sue ricerche di anatomia, continuò a occuparsi di studî matematici e scientifici. Nei suoi appunti si legge: "li Medici mi creorno e destrusseno". Ma L. non aveva interrotto i rapporti con la Francia, come testimonia un suo appunto, e nel 1517 si rifugiava presso Francesco I, che gli dava residenza nel castello di Cloux presso Amboise e gli elargiva una pensione annua come "premier peintre, architecte et mechanicien du roi". L. aveva con sé alcuni quadri, qualcuno iniziato precedentemente a Firenze, una "infinità di volumi" di appunti e, benché impedito da paralisi alla mano destra, attendeva con passione agli studî di anatomia, dedicandosi anche all'architettura (progetto per il castello e il parco di Romorantin) e ad apparati di feste. Impressionanti testimonianze di quest'ultimo periodo sono i disegni in cui è immaginata la fine del mondo, evento fantastico in cui operano con logica coerenza e con terribile bellezza le forze della natura indagate da Leonardo. Il 29 aprile 1519 faceva testamento; morì tre giorni dopo.
Gran parte degli scritti di L. è scomparsa; quanto rimane è costituito da annotazioni non sistematiche, spesso riunite dall'autore senza nesso logico, anche se lo stesso L. aveva dichiarato di voler dare una disposizione più ordinata alle sue teorie. La maggior parte dei manoscritti di L. che possediamo proviene più o meno direttamente dal nucleo da lui lasciato in eredità a F. Melzi e disperso dopo la morte di questo (1570); una parte entrò in possesso di P. Leoni, che li smembrò formandone poi delle raccolte arbitrarie. Nell'elenco che segue sono indicati i più importanti di essi, con la denominazione in uso tra gli studiosi e distinti secondo il luogo in cui sono attualmente custoditi, nonché con l'indicazione in parentesi della probabile epoca di composizione (poche essendo le datazioni sicure) e del principale argomento trattato. Parigi, Biblioteca dell'Institut de France: codici A (1490-92; argomento vario); B (1487-90; arte militare); C (datato 1490; è detto anche Codice di luce et ombra per l'argomento prevalente); D (1508; ottica); E (dopo il 1515; geometria, volo degli uccelli); F (datato 1508; idraulica, ottica); G (1510-15; argomento vario); H, composto di tre quaderni (1493-94; miscellaneo); I, composto di due quaderni (1497-99; miscellaneo); K, composto di tre quaderni (1504-09; miscellaneo); L (1497 e 1502-03; argomento vario); M (1496-97; argomento vario); Ashburnham I e Ashburnham II (già ital. 2037 e ital. 2038 della Bibliothèque Nationale di Parigi), composti di fogli strappati da G. Libri rispettivamente dal Codice B e dal Codice A (con i quali quindi condividono l'epoca di composizione), entrati poi a far parte della raccolta di B. Ashburnham, restituiti in seguito alla Bibliothèque Nationale di Parigi e infine da questa passati alla Biblioteca dell'Institut de France (il secondo è quasi interamente dedicato alla pittura). Torino, Bibl. Reale: Codice sul volo degli uccelli (datato 1505). Milano, Bibl. Ambrosiana: Codice Atlantico, così detto dal formato dei fogli su cui P. Leoni incollò le carte di L. (1473 circa - 1518; miscellaneo); Castello Sforzesco: Trivulziano (1487-90, coevo del Codice B; contiene disegni e appunti lessicali). Los Angeles, Armand Hammer Museum: Hammer, fino al 1980 Leicester (1504-06; idraulica). Londra, Victoria and Albert Museum: Forster I, composto di due parti (rispettivamente 1505 e 1490 circa; stereometria); Forster II, composto di due quaderni (1495-97; argomento vario); Forster III (tra il 1490 e il 1493; argomento vario); British Library: Arundel 263 (il nucleo principale datato 1508; miscellaneo); Windsor Castle, Royal Library: vasta raccolta di disegni e di studî di anatomia; tra questi ultimi si distinguono i Fogli A (1510-11) e i Fogli B (1489 - oltre il 1500), originati da due quaderni di Leonardo. Madrid, Biblioteca Nacional: ms. 8936, noto come Madrid II, composto di due quaderni (rispettivamente datati 1503-05 e 1491-93; argomento vario), e ms. 8937, noto come Madrid I (datato 1493-97; statica, meccanica), l'uno e l'altro per lungo tempo ritenuti smarriti, pur conoscendosene l'esistenza, e ritrovati nel 1966. L. scriveva con la sinistra e "a specchio", cioè orientando la scrittura delle lettere e delle parole da destra verso sinistra; ciò perché era mancino (testimonianza di L. Pacioli, 1498), e non, come è stato fantasticato, per motivi di segretezza. L'opera di decifrazione e di edizione dei manoscritti e dei disegni è stata compiuta dal 1800 in poi, in particolare dalla Commissione vinciana, creata nel 1902. Tutti i manoscritti citati hanno avuto una o più edizioni in facsimile.
L'arte di L. si manifesta sin dai suoi inizî come cosciente rielaborazione della tradizione quattrocentesca e insieme opposizione a essa, in uno sforzo che a prima vista sembrerebbe quello di infondere vita alle immagini, immettere aria nelle rappresentazioni, ma che, a un esame più approfondito, si dimostra come quello di rendere nell'arte lo spirito cosmico dell'universo, anzi di ritrovare per essa le "regole" della multiforme natura, in una continua tensione che mira a provare quale sia la "potenza" dell'arte. Per L. si tratta di "comprendere ogni forma secondo l'apparenza e la sua causa interna": donde la straordinaria novità grafica delle sue ricerche scientifiche, l'interesse per il fenomeno naturale o per i moti dell'animo. Nella raccolta postuma di appunti di L. che va sotto il nome di Trattato della pittura e in altri scritti si ritrovano efficaci testimonianze del suo pensiero estetico. Sostenne la superiorità della pittura sulla scultura appunto in nome delle straordinarie possibilità evocatrici, simili a quelle della poesia, che egli riconosceva alla prima. Eccezionale per il suo tempo è il peso che nel corpus complessivo delle opere hanno i disegni, intesi non più, come voleva la tradizione, come opere in sé, apprezzabili per l'eleganza del delineare, ma come tracce di idee e di problemi inseguiti in maniera persino ossessiva, e quindi pieni di pentimenti, seppure, molte volte, carichi di una capacità espressiva prima intentata. Prevalente, nel gruppo non grande di dipinti sicuramente suoi pervenutici, il numero delle opere non finite; fosse, talora, l'ansia della ricerca che lo induceva a interrompere il lavoro per l'insorgere di nuovi problemi; fosse, talaltra, la convinzione di aver raggiunto appieno il risultato estetico propostosi allo stadio cui l'opera era stata condotta; fosse, ancora, l'insofferenza per la mera esecuzione. Già nel 1473, a Firenze, disegna a penna il paesaggio ora agli Uffizi, immettendo nello schema fiorentino fiammingheggiante l'esperienza di una visione diretta. Si hanno ancora prove della sua collaborazione con Verrocchio nella pittura del Battesimo agli Uffizi: nell'angelo a sinistra in primo piano e nel brano di paesaggio dietro di lui, ove il senso di vita è più alto e il chiaroscuro è vibrante per riflessi luminosi. Opere pittoriche di questo primo periodo sono: il ritratto muliebre già nella galleria Liechtenstein, ora a Washington, National Gallery (la cosiddetta Ginevra Benci); l'Annunciazione agli Uffizi e l'altra più piccola al Louvre; la Madonna del Garofano a Monaco di Baviera: opere che già furono attribuite a Verrocchio stesso o a Lorenzo di Credi. Ma vi si avverte la prima applicazione dello "sfumato" che disperde la linea, e ottiene con lo sgranare dei contorni l'atmosfera. Nel 1478 L., in piena libertà artistica, dipinge la Madonna del Fiore, ora all'Ermitage di San Pietroburgo, che alle reminiscenze verrocchiesche unisce l'applicazione piena dello sfumato e una nuova intensità d'osservazione psicologica. Forse contemporaneamente L. disegnò la Madonna del Gatto (Uffizi), tanta è la correlazione compositiva di essa con la Madonna del Fiore. Al 1481 risale l'Adorazione dei Magi commessa dai frati del convento di S. Donato a Scopeto (ora agli Uffizi), rimasta incompiuta per la partenza di L. per Milano, opera profondamente nuova per l'esaltazione messianica che ne agita i particolari e che ne anima la composizione, quasi a vortice, spalancata su infinite lontananze. Le figure si piegano, si attorcono variando con il variare delle luci, accomunate in un'unità compositiva superiore, ma nello stesso tempo acutamente differenziata nelle varie espressioni dell'animo. Nel 1483 a Milano fu allogata dagli scolari della Concezione a L. e ai fratelli Ambrogio ed Evangelista de Predis la tavola della Vergine delle Rocce. Secondo uno schema piramidale, la Vergine con Gesù, il Battista e un angelo si dispongono entro una grotta, fantastico scenario d'ombre, aperta da squarci verso la luce lontana del tramonto. I contorni dei lineamenti si smarriscono, sfumano; il rilievo velato sboccia dove la luce sfiora le cose, svanisce dove l'ombra le inghiotte; la gamma dei colori va sempre più limitandosi a poche tinte. Di questa tavola si posseggono due redazioni: una al Louvre di Parigi, che è la tavola eseguita da L. per la confraternita, che Ludovico il Moro volle per sé e che passò a Luigi XII; l'altra alla National Gallery di Londra, che è quella che rimase nella cappella della confraternita fino al 1781. La qualità della redazione di Parigi appare superiore all'altra, ma indagini radiografiche e archivistiche hanno accreditato l'autenticità anche della tavola di Londra: forse L. avrà messo mano, in diversa misura, a entrambe. Seconda grande opera pittorica del periodo milanese è il Cenacolo nel refettorio di S. Maria delle Grazie, purtroppo giunto a noi in stato alterato dai molteplici e talora improprî interventi di consolidamento del colore, poiché era stato dipinto da L. non a buon fresco ma a tempera. Un restauro condotto a partire dal 1979 (durato 12 anni) ha cercato di liberare l'opera dalle varie ridipinture e ha posto come condizione primaria per la sopravvivenza del dipinto la climatizzazione dell'ambiente. Nell'ampia sala, alla cui architettura l'affresco si accorda con sottili accorgimenti e con un effetto illusionistico che va al di là delle ricerche prospettiche fiorentine, gli apostoli sono disposti, secondo un ritmo ternario, in modo che il Redentore appare dominante al centro: i gruppi si agitano di indignazione e di dolore alle parole "uno di voi mi tradirà", in un moto che si origina dal Cristo e converge di nuovo su di lui, lasciando isolato Giuda. Ma in questo periodo l'attività di L. fu varia e molteplice: dalla decorazione del Castello Sforzesco di Milano (sala delle Asse, ampiamente restaurata, ma di cui nel 1950-55 è stato posto in luce un ampio tratto della sinopia e nella quale, comunque, si può ancora apprezzare la grande invenzione leonardesca) ai ritratti di Cecilia Gallerani e Lucrezia Crivelli; dalla Leda (nota attraverso repliche) al monumento a F. Sforza (v. oltre). Oltre a queste opere andate perdute, rimangono di questi anni il ritratto del Louvre, la Belle Ferronière, e la Dama dell'ermellino del Czartoryski Muzeum di Cracovia. Nel 1500 L. fu nuovamente a Firenze, dove gli fu commissionato da Pier Soderini il David, poi affidato a Michelangelo, e compose un primo cartone (perduto) per S. Anna, la Vergine e il Bambino (il cartone della National Gallery di Londra è del 1508). Più tardi (1503), ebbe incarico di dipingere, su una parete della sala del Maggior Consiglio, un episodio della Battaglia d'Anghiari (sulla parete opposta Michelangelo doveva affrescare la Battaglia di Cascina). Anche qui L. tentò di affrontare un problema tecnico, con l'intento di restaurare l'antico procedimento dell'encausto, convinto che la tecnica tradizionale dell'affresco non gli avrebbe concesso gli effetti di profondità delle ombre, di sfumato e di luce che egli si proponeva. Ma il risultato fu disastroso e L. abbandonò la pittura appena iniziata. I cartoni per quest'opera furono oggetto di studio degli artisti, e andarono distrutti. Tra gli studî per la Battaglia d'Anghiari, quello conservato nella Biblioteca Reale di Windsor ci mostra come L. intendesse servirsi delle scatenate forze della natura per esprimere la battaglia. Forse L. eseguì in quel tempo il ritratto che va sotto il nome di Gioconda (la scoperta di un documento del 1525 permette di stabilire che si tratta del ritratto di Monna Lisa del Giocondo, come scritto da G. Vasari). Al celebre vago sorriso (un moto psichico colto al suo primo manifestarsi prima che divenga più determinato) s'accorda il velato paese, che dell'immagine è il commento ed eco nella mutabilità delle ombre, nelle brume che ci sottraggono le linee dei contorni; il paesaggio affonda di grado in grado in un tenebrore azzurrognolo di acque e cielo. L'attività artistica di L. durante il secondo periodo milanese (1507 circa) rimane pressoché oscura. Durante il soggiorno in Francia L. compì il S. Giovanni Battista e terminò la S. Anna (entrambi al Louvre). In questo quadro, concepito con sottili intenti iconografici, le ombre non prendono nessun sopravvento: la luce diffusa stinge i colori, lo sfumato diviene più prezioso, più lieve. L'arte di L. influenzò variamente artisti settentrionali (Dürer, forse lo stesso Bosch) e italiani (Giorgione, Correggio, fra Bartolomeo e Andrea del Sarto). L'arte di Raffaello non si sottrasse al fascino di Leonardo. Vasari pose risolutamente L. come iniziatore della "maniera" moderna, ossia dell'arte del Rinascimento maturo, in contrasto con la "secchezza" di tutta la pittura precedente.
L'attività di scultore di L., è anch'essa alquanto problematica. L. stesso contrappone nei suoi scritti la dignità del pittore, occupato in opera del tutto intellettuale, alla manualità dello scultore, ma nello stesso tempo si vanta della propria abilità di scultore e di fonditore. Dal 1483 al 1500 egli attese all'immane monumento equestre di F. Sforza (il cavallo misurava alla cervice circa 7,20 m), la cui forma di creta (doveva essere gettata in bronzo) fu distrutta al tempo dell'occupazione francese. Dal 1508 al 1511 sono databili altri disegni per un monumento a G. G. Trivulzio, ma non sembra che la cosa andasse mai al di là dello stato di progetto. Da quanto possiamo arguire dai disegni e da bronzetti che sono almeno ispirati a L., la sua preoccupazione nella scultura fu quella del movimento e di un rapporto più libero della figura in azione con lo spazio circostante. Alcune sculture del 15°-16° sec., già attribuite a L., sono state assegnate da alcuni critici, con maggiore fondamento, ad artisti, come G. F. Rustici, che risentivano della sua influenza.
L. non ha diretto o progettato la costruzione di nessun edificio giunto sino a noi: pertanto il suo pensiero architettonico può essere ricostruito in base ai suoi scritti, ai suoi disegni e alla documentazione offerta da alcuni suoi dipinti. L. instaura un tipo di disegno architettonico notevolmente nuovo ai suoi tempi, basato, oltreché sulla pianta e sull'alzato, sullo spaccato, sulla resa corretta della prospettiva a volo d'uccello, sull'eliminazione degli elementi ricavabili per analogia da quelli delineati. La documentazione più ricca, relativa a costruzioni civili e militari, riguarda il suo soggiorno in Lombardia (dal 1482 in poi) dove fu in contatto con D. Bramante. Importanti gli studî sulla pianta centrale (legati al progetto del mausoleo di F. Sforza); L. si occupò anche dei progetti del duomo di Pavia, nonché dei problemi costruttivi del tiburio del duomo di Milano. P. Giovio parla di L. come di "meraviglioso creatore ... soprattutto dei dilettevoli spettacoli teatrali"; infatti l'idea di teatro si evidenzia in L. fino dai suoi esordî fiorentini. Noti anche alcuni progetti di "teatri per udir messa", che contenevano delle novità nella tipologia delle chiese. Particolare sviluppo ebbe un sistema di decorazione basata su intrecci di motivi vegetali e su viticci annodati, ossia "vinci" (sala delle Asse). Notevoli i suoi studî urbanistici in rapporto alla distribuzione del traffico, alla canalizzazione, all'igiene (specialmente nel primo periodo milanese). Anche il problema dell'abitazione del principe fu da lui considerato in rapporto all'organismo urbano (studî per il castello e il borgo di Romorantin, Francia). Si pensa a un intervento di L. nella progettazione del castello di Chambord, iniziato nel 1518 per Francesco I di Francia. Per l'architettura militare di Leonardo, v. oltre.
Nella natura L. scorge pitagoricamente una trama di rapporti razionali ("ragioni"), esattamente calcolabili e misurabili, che può essere colta dall'uomo per mezzo dell'esperienza e della ragione: l'esperienza, cui L. dà grande rilievo soprattutto nella sua concreta attività di meccanico e di scienziato, apre la via a una conoscenza diretta della natura, libera dall'autorità della tradizione; la ragione coglie nei fenomeni la legge che li regola poiché "la natura è costretta dalla ragione della sua legge, che in lei infusamente vive". Nei confronti dell'attività scientifica contemporanea e posteriore, l'opera di L. risulta però isolata: sia per le origini particolari della sua ricerca, che partiva da un'esigenza artistica cui costantemente s'intrecciava; sia perché essa si svolgeva al di fuori del tirocinio pratico accademico e degli itinerarî teorici della scienza contemporanea, e quindi né poteva profondamente influenzarla, né comprenderne appieno i problemi attuali e proporsi d'innovarla; sia infine perché le sue osservazioni, per quanto geniali, non furono da lui coordinate in organici sistemi scientifici, e d'altra parte restarono ignote ai contemporanei e agli studiosi di molti secoli successivi. Si può dire che la scoperta di L. scienziato è avvenimento relativamente recente.
L. si dedicò con grande fervore anche a studî di anatomia e fisiologia, materie che egli considerava indissolubilmente connesse, proteso com'era a stabilire di ogni organo "l'uso, l'uffizio e il giovamento". I suoi disegni anatomici rappresentano il primo materiale iconografico scientificamente elaborato e aprono la serie dei validi e coraggiosi tentativi di disancoramento dell'anatomia umana dalle concezioni allora imperanti. Numerose furono le dissezioni operate da L. nonostante le difficoltà di diversa natura. I contributi vinciani nell'anatomia e nella fisiologia sono imponenti. In campo osteologico sono particolarmente rilevanti: la scoperta del seno mascellare (detto anche antro di Highmore, dal nome del medico e anatomista inglese che lo descrisse nel 1651); la prima esatta raffigurazione della colonna vertebrale con le sue curve fisiologiche giustamente valutate; la corretta interpretazione dell'osso sacro, considerato come risultante dalla fusione di cinque vertebre (e non di tre, come voleva l'anatomia tradizionale); il riscontro della giusta inclinazione del bacino; ecc. Gli studî sull'apparato muscolare hanno portato L. a compiere la prima rassegna iconografica dei muscoli dell'uomo; a studiare la funzione dei varî muscoli degli arti sostituendoli con fili di rame; a introdurre un originale metodo di studio degli elementi morfologici degli arti, con particolare riguardo ai muscoli, basato sull'impiego di tagli trasversali praticati a piani diversi: questo procedimento, che è usato anche dai moderni anatomisti, e quello della descrizione per strati, pure attuata da L., possono far considerare quest'ultimo come l'iniziatore dell'anatomia topografica. All'apparato cardiocircolatorio L. dedicò diligenti studî che, tra l'altro, lo portarono alla scoperta di quella formazione intracardiaca che oggi in suo onore è chiamata trabecola arcuata di L. da Vinci. L'incorporamento dell'occhio in materiale coagulabile (albume d'uovo), per poterlo tagliare senza pregiudizio dei rapporti dei suoi costituenti, fa di L., in un certo senso, un precursore dei metodi di inclusione usati nella moderna istologia. Egli studiò anche la funzione visiva in quasi tutti i suoi aspetti fondamentali: la visione monoculare e binoculare, il senso stereoscopico, l'acuità visiva, la sensibilità cromatica, le modificazioni pupillari al variare dell'intensità degli stimoli luminosi, il fenomeno della persistenza delle immagini, le illusioni ottiche, la questione della grandezza delle immagini in rapporto all'angolo visivo, le leggi della prospettiva geometrica e aerea, l'applicazione delle leggi fisiche della rifrazione allo studio di alcuni fatti patologici, come la diplopia e la presbiopia. In anatomia artistica, infine, L. pur attenendosi per lo più ai canoni di Vitruvio e di Varrone, formulò alcuni principî antropometrici; così, per es., egli faceva corrispondere la lunghezza del piede a 1/7 di quella dell'intero corpo ("piede leonardesco"), anziché 1/6, come aveva codificato Vitruvio.
L'aritmetica e la geometria, che trattano con "somma verità della quantità discontinua e della continua", sono per L. fondamento di tutte le scienze naturali, in particolare della meccanica, "paradiso delle scienze matematiche". Tuttavia, le conoscenze matematiche di L. restarono relativamente limitate, poiché si dedicò quasi esclusivamente allo studio di questioni geometriche. Ideò nuovi metodi per calcolare il volume di numerosi solidi, intuendo quei procedimenti geometrici di tipo infinitesimale che saranno più di un secolo dopo scoperti da B. Cavalieri ed E. Torricelli. Infine fu uno dei fondatori della prospettiva aerea, disciplina di natura prettamente artistica che studia le variazioni di intensità luminosa e di gradazione dei toni in rapporto alla distanza.
L. non si occupò in modo particolare di astronomia, ma le poche osservazioni che ha lasciato ne mostrano anche in questo campo l'acutezza profonda delle intuizioni. Disegnò le macchie della Luna, le cui parti brillanti considerò dovessero essere mari e quelle oscure "isole e terra ferma". A lui è pure dovuto il primo tentativo di spiegazione di quel che egli chiama "lustro della luna", cioè del fenomeno della "luce cinerea".
Le conoscenze botaniche di L. furono certamente notevoli, con osservazioni che vanno al di là dell'interesse iconografico. Nello studio della fillotassi, L. osservò la disposizione quincunciale (2/5), ma attribuì eccessiva importanza alla disposizione delle foglie per la recezione dell'acqua. Inoltre studiò il geotropismo negativo e l'eliotropismo positivo, i movimenti delle linfe negli organismi vegetali e i loro effetti, infine per primo dedusse l'età e l'orientamento originario dei fusti dall'osservazione dei cerchi concentrici della sezione.
Oltre a riaffermare l'origine organica dei fossili, L. indagò acutamente i processi di sedimentazione e di erosione e formulò le leggi delle acque correnti, dedusse il continuo mutare nel tempo dei limiti fra terra e mare, dimostrò infine la sufficienza delle cause attuali per spiegare i fenomeni geologici avvenuti in passato. Le sue geniali intuizioni non poterono però diffondersi ed essere conosciute tra i suoi contemporanei, poiché i codici leonardeschi che più da vicino riguardano questioni di geologia sono stati fatti conoscere solo in epoca recente.
I lavori di ingegneria idraulica portarono L. a occuparsi del moto dell'acqua. Oltre a intuire alcuni principî fondamentali dell'idrostatica, stabilì per il moto delle acque correnti il principio della portata costante, secondo il quale in un corso d'acqua uniforme a sezione variabile la velocità della corrente varia in ragione inversa della sezione (legge di Leonardo). I suoi studî sul volo degli uccelli e sul "volo strumentale" lo portarono a investigare le leggi dell'aerodinamica: egli osservò la compressibilità e il peso dell'aria e intuì l'importanza di questi elementi ai fini del volo, ai fini cioè del sostentamento nell'aria del più pesante. L. stabilì altresì il principio di reciprocità aerodinamica, secondo il quale le mutue azioni fra solido e aria variano solo con la velocità relativa.
La meccanica può ben considerarsi la scienza prediletta da L., alla quale può dirsi che egli abbia portato il maggiore contributo di originalità. Infaticabile sperimentatore, non può stupire che fra tante intuizioni corrette ve ne siano anche di sbagliate, che poi altrove, nei suoi appunti, si trovano spesso modificate o rettificate sulla base di altri ragionamenti o esperienze. Le sue fonti maggiori d'informazione sono, oltre le opere di Aristotele e di Archimede, i libri De ponderibus di Giordano Nemorario. Riprendendo le loro ricerche sulla leva e la bilancia, gli si fa chiara la nozione del momento di una forza rispetto a un punto. Dallo stesso Giordano Nemorario e da Biagio da Parma deriva il principio del parallelogramma delle forze e lo applica a risolvere il problema della determinazione delle tensioni nei due tratti di una fune fissata agli estremi e soggetta a un peso in un punto intermedio. La teoria delle macchine semplici è oggetto di molti appunti nei manoscritti vinciani e i suoi studî mostrano che L. intuì il principio dei lavori virtuali. Notevoli sono anche gli studî di L. sui baricentri, che segnano i primi reali progressi dopo la classica teoria di Archimede, e sulla resistenza dei materiali. Pure indubbiamente primo è L. nel considerare in modo razionale l'attrito o "confregazione" e i suoi effetti nelle macchine e nei veicoli, e a realizzare esperienze che, salvo la maggiore raffinatezza, non differiscono da quelle ideate tre secoli dopo da Ch.-A. Coulomb.
Le conoscenze dinamiche di L. derivano e si ricollegano a quelle della dinamica greca, anche se, attraverso gli scritti di Alberto di Sassonia, L. è a conoscenza delle teorie di G. Buridano e Nicola d'Oresme e di quelle della scuola inglese di Oxford. Compaiono in L. alcune precise idee sul concetto di forza e di percussione e sulla resistenza dell'aria che, in accordo con la teoria dell'impeto di Buridano e in netto contrasto con quella aristotelica, è correttamente considerata come un ostacolo che "impedisce e abbrevia il moto al mobile". L. è così tra coloro che hanno maggiormente contribuito a porre i presupposti alla scoperta della legge d'inerzia. L. sembra avere inoltre una precisa idea del principio di azione e reazione, e una convinzione non meno precisa circa l'impossibilità del moto perpetuo. Nonostante l'intralcio dovuto alla parziale adesione alla concezione aristotelica, l'intuizione di L. riesce a cogliere profondi aspetti dei fenomeni dinamici, come, per es., gli effetti della rotazione della Terra sulla caduta dei gravi.
Seguendo generalmente le idee aristoteliche o quelle degli Arabi, L. accetta in ottica la teoria delle specie emanate dai corpi luminosi; si occupa di problemi della visione semplice e di quella binoculare, della dispersione della luce, della teoria delle ombre. La perspicua descrizione della camera oscura e della sua teoria, già nota agli Arabi, mostra che egli ne aveva intuito l'applicazione che se ne fa nell'occhio.
L. prospettò con chiarezza le affinità morfologiche e funzionali che corrono fra l'uomo "prima bestia infra gli animali" e varie specie di Mammiferi, specialmente le scimmie, Carnivori, Artiodattili e Perissodattili. Molti sono gli animali riprodotti nei suoi disegni, ma un numero assai maggiore è accennato negli scritti, sia a proposito dei dati anatomo-comparativi, sia indipendentemente da essi. L'interesse di L. per la struttura e gli atteggiamenti degli animali e l'acutezza del suo spirito di osservazione appare sia nei disegni sia nelle descrizioni e nel giudizio sulle affinità fra le varie specie.
Idee e invenzioni, progetti e disegni di macchine e dispositivi, nei varî rami della tecnica, molti dei quali attuati in seguito, sono in tal numero e di tal ricchezza da sbalordire. Non è facile, peraltro, attribuire con sicurezza la paternità di ciascuna di tali invenzioni e progetti a L.: ciò che si può dire, è che si tratta di idee ed elaborazioni che compaiono per la prima volta nei manoscritti vinciani.
Nel campo dell'idraulica pare sia di L. la sistemazione del canale della Martesana; e suoi sono il progetto di sistemazione dell'Adda, e un grande e complesso piano di bonifica delle Paludi pontine, la cui esecuzione fu interrotta dalla morte di Giuliano de' Medici. Al servizio di Firenze studiò, a fini strategici, un progetto per la deviazione dell'Arno a monte di Pisa, che ebbe il caloroso appoggio di N. Machiavelli, ma che, troppo costoso per la Repubblica fiorentina, non fu poi attuato. Al servizio di Venezia, per l'incombente minaccia dei Turchi che avevano invaso il Friuli, studiò il percorso dei maggiori fiumi del Veneto, ideando tra l'altro un "serraglio mobile" sull'Isonzo presso Gorizia, allo scopo di elevare il livello del fiume e provocare così l'allagamento della pianura. Durante il suo soggiorno in Francia progettò il canale di Romorantin che doveva collegare Rodano e Loira. I progetti di canali e bonifiche sono quasi sempre accompagnati dallo studio di adeguati strumenti di lavoro: cavafanghi, draghe, pompe, apparecchi di sollevamento dei materiali, ecc.; e ai piani di bonifica sono associati piani edilizî e urbanistici conformi ai migliori canoni della tecnica urbanistica e dell'ingegneria sanitaria moderna.
Gli studî sul volo risalgono in parte al primo periodo del soggiorno a Milano, tra il 1486 e il 1490, e in parte al secondo periodo del soggiorno a Firenze, verso il 1505, e a Fiesole. L. progettò macchine che, se pur oggetto oggi soltanto di un interesse storico, restano capolavori di ingegnosità. Tra queste macchine volanti sono il paracadute e l'elicottero, in cui viene impiegata come organo propulsore la vite. Resta dubbio peraltro se L. abbia mai tentato di volare o di far volare, benché G. Cardano in De Subtilitate dica "Leonardus tentavit, sed frustra".
L. fu anche un espertissimo tecnico militare; è tuttavia difficile, come s'è già detto, stabilire con certezza quanto si debba originariamente a lui e quanto sia invece rielaborazione di idee e di progetti di suoi predecessori. Ricorderemo, qui, tra le cose più rilevanti dei suoi manoscritti (nei quali è difficile tuttavia, in questo campo più che negli altri, discernere quali delle molte invenzioni fossero pensate da L. come concretamente realizzabili), studî per sottomarini, disegni di cannoni (con carrello e dispositivi per la rapida elevazione del fusto) e di bombarde per il lancio di bombe esplosive; dispositivi di accensione per armi da fuoco; cannoni a organo, costituiti da molte piccole canne disposte a raggiera che possono sparare simultaneamente; cannoni a revolver; ponti da campo; carri coperti con artiglierie; l'architronito, sorta di cannone in cui si sfrutta la forza espansiva del vapor d'acqua (peraltro già conosciuto dai Bizantini); battelli incendiarî; e ancora norme di guerra terrestre e navale, ecc.
Fra gli altri meccanismi e dispositivi studiati da L. meritano d'essere citati l'incannatoio automatico e la cimatrice; poi innumerevoli artifici per la trasformazione di moti progressivi in moti alternativi e di moti continui in moti intermittenti; argani, tornî, perforatrici, seghe meccaniche, macchine per la filettatura delle viti; trivelle; ponti girevoli; laminatoi, ecc.
Di una personale o quanto meno programmata coscienza letteraria di L. sembra improprio parlare. I suoi testi, disseminati nelle carte dei codici sotto forma di abbozzi di trattato, notazioni a margine, appunti di letture e meditazioni, sentenze in rima, proverbî, enunciati gnomici, o brani di invenzione fantastica, configurano piuttosto un eterogeneo e personalissimo corpus di scritture. Tali scritture in parte assumono funzione di glosse altamente ragionate ma subordinate alla rappresentazione grafica delle sue indagini scientifiche e artistiche, in parte costituiscono documentazione momentanea, fissata per frammenti sulla carta, di un ininterrotto discorso interiore, continuamente volto a illuminanti considerazioni sulla realtà e sul fantastico. Definitosi, con espressione fin troppo esagerata dalla critica "omo sanza lettere", L. attinge a una sua istintiva memoria culturale di maestro d'arte ma anche alle sue originali intuizioni di indagatore, volutamente solitario, della natura e della macchina. Questo spiega i caratteri salienti della sua scrittura: l'ortografia approssimativa e incoerente, l'impronta vernacolare toscana con tracce di fonetica lombarda, l'andamento sintattico semplificato, che procede per coordinazioni successive, ma in cui il ripetuto uso di anacoluti testimonia di una tendenza alla brachilogia, insofferente alle mediazioni del dettato colto e mirante a fissare direttamente e in breve la sostanza del pensato. E se ciò rende estraneo L., ignaro per di più delle lingue classiche, alla civiltà letteraria dell'Umanesimo, viceversa ne riconferma la più ovvia appartenenza all'ambiente "illetterato" degli artisti e dei tecnici. Lo stile asciutto, la propensione all'enunciato proverbiale e aforistico, che esaltano l'icasticità ammonitiva delle sue riflessioni, sono un evidente derivato dal genere della precettistica delle arti, che appunto affidava la trasmissione del sapere specialistico ad ammonimenti chiari e precetti brevi, prevalentemente orali, talvolta in forma di proverbio o di prosa rimata, e in cui la paratassi garantiva a un tempo una migliore possibilità di memorizzare e la meticolosa conservazione, secondo la successione prefissata, delle procedure tecniche. Su questo fondo L. innesta la personale dote di un linguaggio fortemente pregnante e lucido nel significare, alimentato, per un verso, da una inesauribile curiosità intellettuale e dall'esperienza concreta, e, per altro verso, esercitato all'astrazione e all'enunciazione assiomatica proprie dei trattati di geometria e dei teatri di macchine. Pregnanza del concreto e astrazione mentale sono appunto due caratteri che conferiscono ai suoi scritti "letterarî", analogamente ai dipinti, l'oscurità polivalente dell'immaginario fantastico e la campitura ordinata delle connessioni logiche (come ne La caverna, Il mostro marino, Il gigante, Il sito di Venere, Il diluvio e Al Diodario di Soria). Sull'analogo terreno delle formulazioni brevi ed emblematiche si colloca il gusto di L. per le Facezie, le Favole, gli Indovinelli, le Profezie e il genere del Bestiario, mutuati dallo stile comico-burlesco o sentenzioso-moraleggiante della letteratura popolare e fantastica del Quattrocento, ma in cui più marcati persistono, diversamente che nella produzione alta e culta della filologia umanistica, elementi trecenteschi e del tardo enciclopedismo medievale.
Di L. scrittore non possediamo nessuna opera veramente compiuta. Il Trattato della pittura è compilazione postuma (Bibl. Vat., ms. Urb. lat. 1270, del sec. 16°) forse del suo allievo F. Melzi, sulla base di brani estratti, con probabili integrazioni e ritocchi, dalle carte leonardiane da lui ereditate. Analogo il caso dell'opera Del moto e misura dell'acqua, compilata nel 1643 (Bibl. Vat., ms. Barb. lat. 4332) dal domenicano Luigi Maria (al secolo Francesco) Arconati, sulla base dei manoscritti leonardiani posseduti dal padre G. M. Arconati. Della prosa di L. si iniziò a parlare nell'Ottocento dopo la riscoperta e pubblicazione sistematica dei manoscritti. Degli scritti letterarî molte sono le raccolte antologiche; dopo le prime, in partic. quelle di J. P. Richter (1883, 3ª ed. 1970), amplissima ma non pienamente affidabile, e di E. Solmi (1899, 2ª ed. 1979), altre ne sono seguite di più sicuro fondamento filologico: G. Fumagalli (1915 e 1939, 2ª ed. 1952), ma soprattutto A. M. Brizio (1952, 2ª ed. 1966), e A. Marinoni (1952, 2ª ed. 1974).