Ciò che è riferito al popolo, inteso sia come collettività dei cittadini, senza distinzione di classi sociali, sia come insieme delle classi sociali meno elevate, socialmente e culturalmente svantaggiate.
Secondo gli studi moderni, un canto, una fiaba ecc. (e analogamente un oggetto) si dicono p. non per l’origine né per il grado di valore estetico, bensì per la loro elaborazione p. (che è qualcosa di più della mera adozione) o per il loro tono di semplicità psicologica ed espressiva.
Le due definizioni dei prodotti p., che sono di natura diversa (filologica ed estetica) e segnano indirizzi divergenti, vengono spesso giustapposte, perché ritenute valide ciascuna nel suo campo e talvolta compenetrate. La prima, che fa perno sul rapporto fra individuo e collettività, è stata elaborata, per vie diverse, da alcuni studiosi europei. Un contributo notevole è stato dato dalla scuola tedesca. J. Meier (Kunstlied und Volkslied in Deutschland, 1898; Kunstlieder im Volksmunde, 1906; Werden und Leben des Volksepos, 1909) ha combattuto la teoria romantica di idoleggiamento del primitivo e del p., formulando la sua Rezeptiontheorie, secondo la quale i canti p., che egli attribuiva a singole personalità poetiche, conservavano, variamente trasformandoli, temi particolari della poesia colta. Meier risolse l’opposizione romantica dei due mondi separati e avviò sul piano storico il problema centrale del rapporto fra individuo e collettività. Questo medesimo problema investe, oltre alla poesia p., tutte le produzioni folcloriche, e hanno tentato di risolverlo, tra gli altri, H. Naumann e E. Hoffmann-Krayer. Il primo nella Primitive Gemeinschaftskultur (1921) e nei Grundzüge der deutschen Volkskunde (1922) distinse nel folclore elementi di una cultura comunitaria primitiva, comprendente ritmi elementari, formulette, ritornelli, ninne-nanne, strofette d’amore e tutto quanto non sia riducibile a fonte dotta individuale. Il divario troppo rigido di Naumann tra materia colta-individuale e materia primitiva-collettiva è stato criticato da Hoffmann-Krayer, il quale nel saggio Individuelle Triebkräfte im Volksleben (1930) rilevò l’importanza fondamentale delle innovazioni dovute ai singoli individui anche negli strati umili, e mostrò come il fenomeno dell’assimilazione da parte della collettività fosse prodotto da impulsi individuali.
Lo sviluppo delle teorie linguistiche generali, determinato in sede teorica da B. Croce, in sede specifica da H. Schuchardt, F. de Saussure, J.-L. Gilliéron, M. Bartoli, ha contribuito notevolmente a chiarire il rapporto individuo-collettività e ha illuminato, per conseguenza, il concetto di popolare. La distinzione, stabilita da Saussure, fra parola, intesa come espressione individuale, e lingua, come fatto sociale, è stata applicata alla letteratura p. da P. Bogatyrev e R. Jakobson. Il rinnovamento delle posizioni della linguistica si è riflesso nei metodi di studio dei prodotti di letteratura p., orientati verso ricerche storico-geografiche (quali sono, per es., quelle della scuola finnica di J. e K. Krohn), o elaborati in perfetta analogia con le indagini della geografia linguistica. In parallelo sviluppo con la linguistica, è andato sempre più guadagnando terreno, nel campo della letteratura p., l’analisi strutturale dei singoli componimenti, dei tipi e dei generi.
La chiarificazione del concetto di p., fatta da Croce sulla base di una distinzione psicologica fra il tono semplice ed elementare e quello complesso della poesia, è servita, nell’ambito dell’estetica, a nobilitare la poesia p., ed estensivamente le altre forme d’arte (pittura p., musica p. ecc.), ma non tanto la poesia del popolo, quanto la poesia d’autore di tono popolare. D’impostazione marxista sono il significato reale e il valore dialettico che ha assunto il concetto di p. nel pensiero di A. Gramsci, da cui hanno preso avvio idee e ricerche che hanno allargato il campo degli studi demologici, dando alle relative indagini una nuova direzione che mirava a scoprire nel folclore la ‘concezione del mondo e della vita’ delle classi subalterne, in antitesi e dialettica contrapposizione con quella ‘ufficiale’ della classe o delle classi dominanti.
Tali premesse fanno intendere la portata culturale dei risultati specifici che sono stati raggiunti nei vari campi in cui si articola il popolare.
Fondamentale, per quel che riguarda la poesia p., è stato il superamento dell’antitesi romantica Naturpoesie-Kunstpoesie, dovuto da una parte all’approfondimento delle indagini filologiche (R. Menéndez Pidal, M. Barbi, V. Santoli, P. Toschi), che hanno portato a individuare nella rielaborazione il segno distintivo della popolarità dei canti, dall’altra alle precisazioni della critica letteraria (Croce), che hanno chiarito il concetto di tono p., identificato con un certo tono del sentimento e dell’espressione, corrispondente al buon senso nella sfera intellettuale e al candore e all’innocenza nella sfera morale. Non più fondata sul divario tra cultura e non cultura, o fuori della cultura, e su caratteri esterni (che per la poesia p. sarebbero quelli di primitività, astoricità, fluidità ecc.), la distinzione fra poesia p. e poesia d’arte è stata trasferita sul comune terreno culturale e artistico come problema insieme filologico ed estetico. Tra il mondo p. e il mondo colto, anziché esserci separazione, si svolge un continuo processo di ascesa e discesa, storicamente individuabile. Un esempio può trovarsi nei rapporti tra i cantari e i poemi cavallereschi: sorti fra 14° e 15° sec., a opera di poeti popolani di città, i cantari in ottave hanno ispirato tutta la tradizione letteraria cavalleresca, dalla Spagna in rima al Morgante, all’Orlando innamorato, al Furioso.
Superata è anche la nozione dello ‘spirito p.’ (ted. Volksgeist) come circolo chiuso. La migrazione dei canti non solo fra zone linguistiche omogenee, ma anche tra genti diverse, viene riconosciuta e spiegata, in analogia col fenomeno della mescolanza linguistica, come risultato dell’azione di correnti di cultura. Riconosciuta l’analogia fra tradizione folclorica e tradizione linguistica, sono stati applicati, con profitto, allo studio del canto p. i metodi della linguistica storica e della geografia linguistica, che portano a individuare i centri d’irradiazione, le aree di diffusione, l’origine e la cronologia delle varie forme e dei singoli canti.
Il campo della novellistica non ha problemi diversi da quelli della poesia popolare. Così, mentre Croce ha messo l’accento sul valore d’arte assoluto che può raggiungere la fiaba, quale che sia la sua provenienza, gli studiosi specifici della materia (S. Thompson, M. Lüthi, W. Eberhard, F. Ranke) esaminano, con diversi atteggiamenti critici, il processo di elaborazione documentato nelle varianti: l’elaborazione è ciò che distingue la fiaba (come la poesia) p. vera e propria (ossia tradizionale) da quella colta di tono p. non soggetta a quel processo storico. Utili repertori per la comparazione e indispensabili strumenti di lavoro per gli studiosi di novellistica sono gli indici dei motivi e tipi delle fiabe, redatti su scala internazionale (notissimo è quello Aarne-Thompson), nazionale e regionale, che consentono d’individuare rapporti d’identità, somiglianza e affinità fra testi di epoche, aree ed estrazioni diverse. A questo criterio contenutistico di classificazione, che risulta talvolta esterno e parziale, si va sovrapponendo quello strutturalistico, che sulla scia degli esperimenti di V. Propp e delle teorie di C. Lévi-Strauss, rileva le funzioni, ossia i significati delle azioni, le costanti di movimento e le relazioni fra esse.
Problema dibattuto è quello che riguarda l’origine delle fiabe: diversamente hanno cercato di risolverlo la teoria mitica – sostenuta da J. e W.K. Grimm, da M. Müller, da G.A. Cox e da A. De Gubernatis –, la teoria indianista – sostenuta da T. Benfey, da R. Köhler e da E. Cosquin –, la teoria poligenetica, che fu propria della scuola antropologica inglese. In tempi più recenti, la teoria psicanalitica – ispirata alle teorie freudiane, che ritrova nei sogni i precedenti culturali e le determinanti psicologiche delle vicende irreali che costituiscono il mondo delle fiabe – e la teoria ritualistica, proposta da Saintyves (pseudonimo di E. Nourry), che collega i motivi narrativi ai riti celebrativi delle stagioni, ai riti d’iniziazione e alle credenze sull’oltretomba, per spiegare in particolare le fiabe di Perrault, e più radicalmente applicata, con impostazione marxista, dal sovietico Propp alle fiabe di magia.
La pretesa di generalizzare è il difetto comune a tutte queste teorie. Al polo opposto dell’universalismo romantico è comunque la moderna ricerca, che converte in problemi distinti, relativi alla specie (che designa il gruppo per caratteri di contenuto e di stile) e ai componimenti singoli nel loro valore collettivo e individuale, la questione generale dell’origine delle forme narrative, e mira perciò a ricostruire la storia di ciascuna di esse e di ciascuna composizione sulla base dei motivi che ne costituiscono il sostrato culturale e delle varianti che ne indicano le vie della tradizione.
Un settore importante e cospicuo della novellistica è quello delle leggende storiche e agiografiche, delle quali, oltre e più che discernere nel tutto e nelle parti il vero dal falso, il reale dal fantastico, conviene tendere, storicizzandole, a penetrare l’essenza, a spiegare la formazione e a misurare il ruolo culturale svolto nel corso delle varie civiltà. Per tutto il complesso della letteratura p. e popolareggiante le prove di applicazione dell’analisi strutturale ai generi maggiori (lirica, narrativa in versi e in prosa) e minori (proverbi), che dalle forme metriche e compositive estraggono tipi e modelli di produzione, propongono nuovi raggruppamenti e stimolanti revisioni nozionistiche, degenerando però talvolta in oziosi, complicati schemi privi di succo e senza alcuna rilevanza storica.
Il tono p., che è dato da sentimenti semplici espressi in semplici modi, si riscontra anche nelle arti figurative: ma ciò che propriamente distingue l’arte p. dall’arte illustre o grande non è la semplicità, che può essere dell’una o dell’altra, bensì l’elaborazione che solo la prima subisce. Come il canto e la novella, così un oggetto o un’immagine di autore anonimo è sempre opera individuale, e diventa patrimonio comune se risponde ai gusti della collettività che può appropriarsene e servirsene per i suoi bisogni pratici e spirituali; quest’appropriazione, come per gli altri fatti folclorici, comporta una scelta (influenzata da fattori ora etnici, ora psicologici, ora storici) ed eventuali modificazioni, più o meno lievi, secondo le epoche e gli ambienti; ma c’è anche chi rimane fedele alla tradizione non già per passiva ripetizione, ma per amore di fedeltà. Questo fatto spiega la ripetizione, attraverso millenni, di certi motivi e forme di arte rustica (per es., le suppellettili di ceramica del contadino romeno): simili corrispondenze però spesso non dipendono da una continuità cronologica, ma dalla stessa elementarità e universalità di motivi e forme, che possono crearsi e svilupparsi indipendentemente in tempi e luoghi diversi.
Dal punto di vista estetico, particolare rilievo meritano le pitture votive, i cui elementi stilistici (rigidità di linee, ripetizione di motivi, con valore intensivo e ritmico, intensità di colore, con funzione lirico-evocativa) sono ispirati, nel loro insieme, a un tono di primitiva essenzialità, ma talvolta, pur nella semplicità della scena e dei mezzi espressivi adoperati, possono raggiungere risultati di rara efficacia artistica nella distribuzione delle figure, nell’armonia dei colori, nella scioltezza dei tratti.
Tuttavia, per la valutazione dei prodotti di arte p. va sempre più prevalendo sul criterio estetico quello storico-culturale, secondo il quale, abbandonando il campo minato del confronto con l’arte colta, fondato sulla categoria del bello, giova considerare la funzionalità ed espressività concettuale di quei prodotti, calati nella storia e nel contesto sociale di cui fanno parte. Per tal via si riesce a scoprire, in certi momenti e per taluni generi di produzione, una fisionomia propria, per sé stessa valida, dell’arte p., nel percorso della sua tradizione a fasi alterne e miste di ascesa e discesa, che, lungi dal mortificarla, rendono vivo e operante il suo apporto nella storia della cultura.
Con la locuzione filosofia p. si designò in Germania, a metà del 18° sec., l’attività di un gruppo di scrittori dell’illuminismo tedesco (M. Mendelssohn, T. Abbt, J.J. Engel, C. Garve, C. Nicolai, E. Platner, J.G. Sulzer), in quanto rivolta in forme divulgative a un largo pubblico. Liberi dalla tecnica e dal gergo dello scolasticismo dei wolffiani, attenti alla contemporanea cultura francese e inglese, i Popularphilosophen, pur con concessioni a un facile eclettismo, adempirono una importante funzione culturale, ponendo alcune premesse per la fioritura romantica.
Scuola p. Preceduta da varie iniziative di enti pubblici, religiosi e di privati, realizzate a partire dalla fine del 19° sec. per diffondere l’istruzione elementare e combattere l’analfabetismo diffuso fra gli adulti, la scuola p. è stata istituita in Italia con d. legisl. del capo provvisorio dello Stato 1599/17 dic. 1947, ratificato con modificazioni dalla l. 326/16 apr. 1953. Tale scuola, gratuita (diurna o serale), era destinata a tutti coloro che non avevano potuto seguire i normali corsi di istruzione o che intendevano completare l’istruzione elementare, media o professionale. Istituiti su richiesta di enti, associazioni e privati, anche con il contributo dello Stato, i corsi di scuola p. hanno funzionato presso scuole elementari, fabbriche e aziende agricole, carceri ecc.
Nel quadro delle iniziative di educazione p. alcuni inseriscono inoltre i corsi sperimentali di scuola media per lavoratori (impropriamente detti corsi delle 150 ore), nati verso la metà degli anni 1970 per dare concretizzazione ai permessi di studio retribuiti previsti dalla contrattazione collettiva e corrispondere a un’aspettativa sociale diffusa. Attualmente l’educazione degli adulti viene assicurata tramite i cosiddetti Ctp (Centri territoriali permanenti) e con le scuole serali. La riforma Gelmini prevede che essi confluiscano nei Centri d’istruzione per gli adulti, ivi comprese le scuole serali, che garantiranno corsi di studio finalizzati al conseguimento dei titoli di studio del primo ciclo e della secondaria di II grado, limitatamente all’istruzione tecnica, professionale e artistica.
L’ambigua denominazione di letteratura p., di per sé idonea a designare tanto la letteratura creata dal popolo quanto quella fatta per il popolo, è stata usata talvolta, con riferimento alla modernità, per indicare genericamente la produzione letteraria di modeste ambizioni formali e culturali e di grande successo presso il pubblico di massa, e in particolare quella che rientra nei generi di consumo (detti anche, complessivamente, paraletteratura), come attualmente il romanzo poliziesco e di spionaggio, il romanzo rosa, la fantascienza, il racconto del terrore, quello pornografico, e le loro varie contaminazioni. Tali generi, i cui precedenti illustri sono rintracciabili già nel 18° sec. (romanzo d’avventure, romanzo sentimentale, romanzo gotico, romanzo erotico), si sono affermati con caratteristiche proprie a mano a mano che la crescente industrializzazione trasformava il libro in una merce tra le altre (soggetta alle medesime regole della produzione di serie: incentivazione della domanda, dinamicità e differenziazione dell’offerta, standardizzazione) e creava una nuova figura di intellettuale, legata alle esigenze dell’impresa editoriale. Si pensi alla fortuna, nel 19° sec., del romanzo d’appendice (o feuilleton), che l’autore doveva confezionare via via in modo da lasciar desta la curiosità del lettore alla fine di ogni puntata, o all’attuale proliferazione di collane editoriali dedicate a sottogeneri sempre più specifici (romanzo rosa di ambientazione esotica, fantasy a sfondo mitologico ecc.), alla ricerca di un più capillare sfruttamento del mercato.
Lingua p. La lingua dell’uso comune; in grammatica storica, parole o voci p., forme p. (in contrapposizione alle parole o forme dotte) sono quelle che, usate ininterrottamente dalla latinità alla nascita del volgare, hanno subito tutti i mutamenti fonetici causati dall’evolversi della lingua nel tempo. Italiano p. Espressione con la quale, a partire dagli anni 1960, alcuni linguisti hanno indicato il tipo di italiano imperfettamente acquisito da chi ha per madrelingua il dialetto o, in genere, da persone non istruite che hanno appreso la lingua attraverso la comunicazione orale.