(o folklore) Propriamente l’insieme delle nozioni popolari, distinto dal patrimonio e dall’orientamento culturale superiore ed egemonico; genericamente tutte le manifestazioni della vita culturale popolare.
Il termine f., composto di folk «popolo» e lore «sapere», fu coniato in Inghilterra nella metà del 19° sec., dall’archeologo W.J. Thoms. Per quanto al di fuori della scienza anglosassone si sia voluto sostituire con espressioni tratte dalle singole lingue nazionali, per es., ted. Volkskunde, it. demopsicologia o demologia, il termine è rimasto e resta d’uso corrente nella scienza di tutti i paesi europei; in Francia e in Italia godono comunque particolare favore le espressioni traditions populaires e tradizioni popolari. Di fatto il problema della terminologia è inseparabile dall’indirizzo che di volta in volta e da paese in paese si è voluto dare alla disciplina stessa. Questa si è venuta modificando nei suoi fini, limiti e metodi.
In origine il f. intendeva studiare tutto quanto costituiva la tradizione orale, cioè non scritta, dei popoli, proseguendo sulla linea delle ricerche già iniziate con la raccolta di fiabe, canti, proverbi popolari. Ma la nascente disciplina dell’etnologia mise presto in luce come tale tradizione orale sia organicamente connessa con pratiche, usanze, attività, arti ecc. (tradizione ‘obiettiva’) che, quindi, dovevano rientrare nello stesso campo di studi. Con la concezione dell’indagine folclorica come studio globale di tutta la cultura dei ‘volghi’ delle nazioni civili, il f. inaugura la sua fase propriamente scientifica, nella quale alle ricerche particolari si accompagna tutta una vasta discussione metodologica, relativa alle caratteristiche e alle modalità tecniche della ricerca stessa e soprattutto alla delimitazione del suo campo operativo.
Nel panorama di posizioni varie e spesso contrastanti che la storia di questa disciplina ha offerto, il solo punto di accordo relativo all’oggetto della ricerca risiede nel considerare il f., in qualsiasi società, come espressione culturale diversa e ‘subalterna’ rispetto alla cultura ‘egemonica’ espressa dalle classi colte. S’intende che, se in astratto è possibile rilevare anche presso società relativamente semplici una diversificazione interna degli orizzonti culturali, di fatto la ricerca folclorica ha consistenza solo per quanto riguarda le società più complesse, dove tale diversificazione raggiunge una piena tangibilità, per cui si può parlare di un f. europeo (differenziato nelle singole civiltà europee), indiano, cinese, giapponese ecc., mentre sarà difficile esaminare quanto di f. vi sia nelle società più semplici, anche quando queste comprendono al loro interno popolazioni che sono state assoggettate da altre più forti, ma dello stesso livello culturale.
Sta di fatto che il vero concreto campo d’indagine del f. è rappresentato dal mondo rurale occidentale, nella misura in cui questo ha conservato nozioni, usi e costumi d’età precristiane in una sfera culturale dominata egemonicamente dalla religione cristiana, e che per estensione si può applicare lo stesso concetto di mondi culturali ‘antichi’ o ‘arcaici’ che hanno accolto concezioni religiose di tipo ‘superiore’.
L’indirizzo scientifico
La scuola antropologica inglese che fondò, per così dire, l’etnologia scientifica con E.B. Tylor, sviluppando il proprio indirizzo con A. Lang e J. Frazer, incluse il f. nei propri schemi evolutivi (➔ etnologia), considerandolo sostanzialmente come arresto dello sviluppo culturale a livelli ideologici di tipo arcaico, rappresentati dalle concezioni magico-religiose dei popoli primitivi (animismo, ‘dinamismo’ del mana, magia ecc.) per cui, soprattutto nelle comunità rustiche delle plebi europee, era dato di attingere un abbondantissimo materiale capace, per mezzo della comparazione, di recar luce sul documento etnologico e di esserne a propria volta illuminato. A questa fase naturalistica ed evoluzionistica della ricerca folclorica, per quanto superata, resta il merito di aver stimolato, con i suoi accostamenti, ordinamenti e classificazioni, la stessa successiva ricerca d’indirizzo propriamente storico, formando una solida base di discussione.
L’indirizzo storico-culturale
La revisione critica della scuola antropologica fu attuata, anche per ciò che riguarda il f., da un folto numero d’indirizzi metodologici, tra i quali fu preminente quello storico-culturale (Graebner, Ankermann, W. Schmidt con i suoi discepoli della cosiddetta Scuola di Vienna) che, come nell’etnologia, anche nel f. mirò a ricostruire, mediante l’osservazione delle coincidenze morfologiche e della loro quantità, cicli culturali ben distinti.
Fattori geografici e ambientali sono tenuti in particolare conto dal cosiddetto metodo finnico (G. Krohn) e dal metodo cartografico di A. van Gennep.
Gli studi in Italia. In Italia, gli studi folclorici, ricevettero impulso nella seconda metà del 19° sec. specie per merito di E. Rubieri (1819-1879), di A. De Gubernatis (1840-1913), di A. D’Ancona (1835-1914). Particolare importanza ebbe l’opera di G. Pitrè (1841-1916), al quale si deve la fondazione del Museo etnografico siciliano a Palermo e una nuova impostazione sistematica delle ricerche folcloriche. Nel 1906 fu fondato a Firenze, per merito di L. Loria (1855-1913), il Museo di etnografia italiana, ora a Roma. Nel periodo tra le due guerre gli studi sul f. abbandonarono l’enciclopedismo ottocentesco, concentrandosi sull’esame di singoli settori omogenei (sono da ricordare, tra l’altro, contributi di P. Toschi alla conoscenza del teatro popolare) e sviluppando nuovi strumenti metodologici, specie nella raccolta e nell’elaborazione dei testi di tradizione orale, cui prestarono particolare attenzione storico-filologica G. Vidossi e V. Santoli. Sensibile fu l’influsso dello storicismo idealistico di B. Croce, che durò fino agli anni 1950: ne risentirono, tra gli altri, G. Cocchiara, peraltro attento anche alle problematiche dell’etnologia, ed E. De Martino, avvicinatosi nel dopoguerra alle posizioni marxiste, che nell’investigare temi specifici (magia, pianto rituale, tarantismo) tentò di cogliere l’irriducibile peculiarità dei fenomeni culturali propri delle popolazioni contadine del meridione, in aperto contrasto con le aspirazioni nomotetiche di altre scuole europee.
Alla posizione crociana si opponevano le osservazioni di A. Gramsci sul f., pubblicate nel 1950, che riportavano in primo piano la connessione tra condizione culturale e fatti sociali, e configuravano il f. come la ‘concezione del mondo’ delle classi subalterne. Ispirandosi a queste premesse, gli studi folclorici si sono poi concentrati sull’analisi dei dislivelli di cultura interni alla società, affinando tra l’altro le metodologie d’indagine e di elaborazione critica dei dati, in sintonia con gli sviluppi delle discipline affini (➔ antropologia).
Tra i musei dedicati al f., sono celebri il Nordiska Museet di Stoccolma, il Museum für Völkerkunde di Berlino, il Germanisches Nationalmuseum di Norimberga; in Italia il Museo nazionale delle arti e tradizioni popolari a Roma, il Museo Pitrè a Palermo.
Tra le associazioni spicca, per il suo carattere internazionale, quella finlandese del Folklore Fellows, e sono importanti la Folklore Society di Londra, il Verein für Volkskunde di Berlino, la Schweizerische Gesellschaft für Volkskunde di Basilea, la Société de folklore français, il Comitato nazionale delle tradizioni popolari in Italia.
Tra i periodici esteri sono da ricordare il Folk-Lore inglese, la Zeitschrift für Volkskunde tedesca ecc. In Italia: Lares, Archivio delle tradizioni popolari, La ricerca folklorica.