L’atto di osservare e il risultato di esso, talora sinonimo, rispettivamente nei due significati, di misurazione e misura; costituisce l’atto primario dell’indagine scientifica, comprendendo il complesso delle attività necessarie e sufficienti per acquisire le caratteristiche qualitative e quantitative di un fenomeno, alle quali seguiranno poi le attività volte alla completa descrizione (eventualmente anche matematica) e, se possibile, alla spiegazione del fenomeno stesso.
L’o. partecipante è un metodo di ricerca delle discipline etno-antropologiche, applicato inizialmente allo studio di popolazioni ‘esotiche’, e successivamente utilizzato in tutti i contesti di lavoro degli antropologi (analisi di realtà urbane, di movimenti giovanili, di reti migratorie, di gruppi professionali ecc.). L’o. partecipante prevede lunghi soggiorni di ricerca sul terreno e possibilmente l’apprendimento della lingua della popolazione studiata; il principio sul quale si fonda è quello secondo il quale una partecipazione protratta alla vita quotidiana di un gruppo umano permette una comprensione più approfondita delle dinamiche sociali, politiche, relazionali, economiche ecc. I suoi limiti emergono nel caso essa sottovaluti erroneamente l’impatto della presenza dell’antropologo sui soggetti osservati. Introdotta dall’antropologo B. Malinowski nelle sue ricerche in Melanesia (1911-14), tale tendenza ha caratterizzato l’antropologia sociale britannica e si è quindi imposta quale canone di ricerca nell’intero panorama antropologico. Negli USA, agli inizi del 20° sec., la disintegrazione delle culture degli Indiani d’America aveva in origine limitato le effettive possibilità di partecipazione degli studiosi a forme di vita sociale organizzate e coerenti. Fin dagli anni 1930, però, l’o. partecipante divenne comune anche nel bagaglio metodologico dell’antropologia culturale statunitense, dove tra gli anni 1950 e 1970 si sviluppò un’ampia riflessione metodologica sulla natura, la validità e i limiti di tale pratica di ricerca: ci si chiese, per es., se esiste un livello ottimale di partecipazione del ricercatore alle pratiche e ai sistemi di significato degli attori sociali di una data comunità, che tipo d’informazioni derivano dalle diverse modalità di inserimento e di partecipazione del ricercatore in una società, se il ricercatore deve rivelare agli attori sociali la sua presenza e i suoi obiettivi, o può tenerli nascosti. Dal punto di vista comportamentistico, si sono indagate le dinamiche psicologiche che caratterizzano l’interazione tra un osservatore partecipante e attori sociali ‘altri’, mirando al controllo e, idealmente, all’eliminazione dei fenomeni di ‘distorsione’ che l’interazione tra concreti individui imporrebbe a un’analisi oggettiva dei fenomeni indagati.
Da un punto di vista psicanalitico (per es., G. Devereux, From anxiety to method in behavioural sciences, 1967) i dati realmente interessanti per una scienza dell’uomo sono invece proprio le ineliminabili distorsioni che sorgono nell’interazione tra un osservatore e altri esseri umani cui si attribuisce lo status di osservati.