tradizione Trasmissione nel tempo, da una generazione a quelle successive, di memorie, notizie, testimonianze; anche le memorie così conservate.
La nozione di t. è molto usata in etnologia e in antropologia culturale, discipline che a lungo sono state concepite come studio delle società tradizionali o delle tradizioni popolari. La nozione di società tradizionali nasce dall’idea, oggi messa in discussione, secondo cui le società oggetto di studio degli antropologi sarebbero statiche, immerse in t. millenarie e poco propense al mutamento. Le società dell’innovazione (l’Occidente in primo luogo) vengono così contrapposte alle società della tradizione. Gli studi compiuti dagli antropologi in varie parti del mondo a partire dalla seconda metà del 20° sec. hanno tuttavia messo in luce le inevitabili e continue trasformazioni e i mutamenti che caratterizzano la tradizione. La storia e l’incontro tra culture trasformano incessantemente le t. che appaiono spesso il prodotto di «logiche meticce» (J.-L. Amselle, Logiques métisses, 1990) più che di un’autentica continuità con il passato.
Oltre a essere oggetto di continue trasformazioni, alcune t. appaiono, alla luce dell’indagine storica, il prodotto di vere e proprie ‘invenzioni’, secondo la formula utilizzata da E. Hobsbawm e T. Ranger in un saggio che ha avuto una grande influenza (The invention of tradition, 1983). Lungi dall’essere meccanicamente trasmesse da una generazione all’altra, le t. appaiono come il frutto di una selezione del passato, fortemente legata alle dinamiche del potere. Il richiamo alla t. è oggi un aspetto importante del marketing economico e delle strategie politiche.
Nell’ebraismo rabbinico, il concetto di t. è fondamentale per il rapporto tra testo sacro biblico e insegnamento orale di interpretazione, che nasce contemporaneamente dal testo e viene trasmesso e sviluppato dai maestri.
Nella teologia cattolica la t. (lat. traditio, che traduce il gr. παράδοσις) è una delle due fonti della rivelazione. Il Concilio di Trento la definì: «il complesso delle verità rivelate, appartenenti alla fede e alla morale, non contenute nella Sacra Scrittura, ma trasmesse da Dio alla Chiesa oralmente». Il concetto di t. trova la sua origine e la sua giustificazione nel cristianesimo primitivo, nel mandato agli apostoli di predicare quanto Cristo aveva insegnato a tutti i popoli fino alla fine del mondo: di qui l’importanza dell’insegnamento orale degli apostoli, non esaurito dai loro scritti. Dopo la composizione dei libri del Nuovo Testamento, la t. continuò a essere riguardata come norma di fede rispetto sia all’interpretazione della Sacra Scrittura, sia all’elaborazione delle idee relative alla dottrina religiosa e al culto che si andava sviluppando nel cristianesimo; e questo, senza interruzione dai Padri della Chiesa e dalla prassi dei pastori sia in Oriente sia in Occidente.
La negazione della t. cominciò nel tardo Medioevo con S. Wycliffe (De civili dominio 1, 44) e continuò con i riformatori protestanti, quando il problema della t. fu uno dei principali punti di dissidio tra la vecchia e la nuova fede. M. Lutero e G. Calvino, con la negazione dell’autorità della Chiesa, negarono anche quella della t. e affermarono la Sacra Scrittura come unica fonte della dottrina rivelata. Oggi la teologia protestante, almeno in alcuni suoi rappresentanti, ha attenuato le proprie negazioni accentuando l’importanza della t. (O. Cullmann e i seguaci del metodo delle forme). D’altra parte anche nelle moderne correnti del cattolicesimo si tende ad allargare il concetto di t.: essa infatti non si limita a ciò che è contenuto nelle successive definizioni conciliari o comunque nel magistero della Chiesa, ma si concreta in tutta la vita religiosa dei fedeli che, nelle sue molteplici espressioni concettuali, rituali, artistiche ecc., ne garantisce la continuità storica e la perenne ricchezza; le formule teologiche rispecchiano e fissano ma non esauriscono il contenuto della t. stessa. Questa concezione, delineata nel 19° sec., in particolare da J.H. Newmann e da J.A. Moehler, ha lentamente operato nel cattolicesimo, soprattutto in relazione alla sempre maggiore importanza degli studi storici nella teologia; attorno alla metà del 20° sec. è stata patrocinata soprattutto dai teologi francesi della cosiddetta nuova teologia.
La discussione sulla dottrina cattolica della t. ha avuto notevole ampiezza nel Concilio Vaticano II per giungere infine alla costituzione Dei Verbum che definisce la funzione della t. all’interno della dottrina della rivelazione, mettendo in rilievo la continuità della rivelazione nella t. che «progredisce con l’assistenza dello Spirito Santo», nella continua tensione di tutta la Chiesa verso la «pienezza della verità divina» sinché la t. e la Scrittura «sono strettamente congiunte e comunicanti» «scaturiscono dalla stessa divina sorgente, formano in certo qual modo una cosa sola e tendono allo stesso fine».