Nelle arti grafiche, l’operazione che permette, mediante l’adeguata utilizzazione degli spazi fra caratteri e segni, e, in altezza, delle interlinee di spaziatura, di ottenere la giustezza prevista nel progetto di una pagina di composizione. Operando a mano, con caratteri mobili, la g. veniva effettuata inserendo nel compositoio i blocchetti degli spazi (o bianchi) e le lamine di interlinee; nella composizione mediante linotype le matrici corrispondenti ai bianchi della riga erano sagomate a doppio cuneo in modo da realizzare lo spessore richiesto prima della fusione della riga compatta, mentre nella composizione mediante monotype si utilizzavano cunei di spaziatura. Superata la composizione tipografica con l’introduzione della fotocomposizione, si opera con programmi completi di metrica grafica e di vocabolari in più lingue per l’idoneo taglio delle parole; con la fotocomposizione la g. risulta pertanto completamente automatizzata.
In teologia, l’opera di Dio che, mediante la sua grazia, rende giusto l’uomo.
Il problema teologico della g., intimamente legato a quello della grazia, si sviluppa con questo soprattutto dalle polemiche del 4° sec. tra Agostino e Pelagio, e attraversa i secoli per divenire centrale nelle polemiche dell’età della Riforma e poi ancora in M. Baio e Giansenio fino alle moderne correnti teologiche cattoliche e protestanti. Il termine g. nella Bibbia ha un duplice senso: per il primo, fondamentalmente giudaico o giudeo-cristiano, giustificare equivale a «dichiarare giusto» chi già lo è in base all’osservanza della Legge; per l’altro, che si incontra soprattutto in s. Paolo, giustificare, riferito a Dio, significa render giusto il peccatore. È attorno a questo secondo significato soteriologico che si aprirono le polemiche teologiche, implicando la g. il rapporto tra Dio e l’uomo e il problema della salvezza di questo. Contro Pelagio, che nella sua concezione ottimistica nega la necessità all’uomo della grazia per essere giustificato e salvato, si oppone Agostino per il quale, essendo la natura umana irrimediabilmente corrotta dal peccato di Adamo, è necessaria la grazia per trasformare la natura umana e, giustificandola, renderla degna di partecipare all’opera redentrice del Cristo. Nel Medioevo si precisa ulteriormente la nozione di grazia e con essa quella di g.: per s. Tommaso la g. dell’empio si compie per opera della grazia abituale, ma è necessario che a questa cooperi la fede e la libera scelta di tendere a Dio.
A motivi paolini e agostiniani intende riallacciarsi Lutero: se, come scrive s. Paolo, «l’uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge» (Romani 3, 28) e se il peccato di Adamo ha corrotto la natura umana tanto da privarla del libero arbitrio, la g. avverrà solo per fede, che è ferma confidenza in Dio, onde Egli copre i nostri peccati con i meriti di Cristo e restituisce all’uomo la sua benevolenza, lo giustifica, senza tuttavia che la sua natura sia trasformata. Reagendo alla dottrina protestante il Concilio di Trento, affermato che il peccato originale non ha portato la completa estinzione del libero arbitrio ma il suo indebolimento e che d’altra parte il sacrificio di Cristo è reso necessario per rendere l’uomo capace di bene, definisce che per partecipare ai meriti della redenzione di Cristo è necessaria la fede attiva in lui e la cooperazione dell’uomo; solo così il peccatore potrà essere giustificato, e la g. non è intesa come l’occultamento per i meriti di Cristo, della permanente corruzione umana, ma come santificazione e rinnovamento dell’uomo interiore per mezzo di un volontario accoglimento della grazia e dei doni per cui l’uomo da ingiusto diviene giusto. Legato come è al problema della grazia, quello della g. ne seguirà poi sempre le vicende: per Baio la g. è remissione solo in quanto è non-imputazione del peccato per i meriti della redenzione (la carità perfetta giustifica perché fa vincere la concupiscenza e porta al bene), motivo che, con accentuato pessimismo luterano, torna nella teologia protestante contemporanea di K. Barth.