arbìtrio, lìbero Espressione usata per indicare la libertà dell'uomo, i cui atti non sono determinati da forze superiori (di tipo soprannaturale o naturale), ma derivano da sue autonome scelte. Nata sul terreno delle discussioni teologiche cristiane, in relazione alla conciliabilità tra onnipotenza e onniscienza divina e libertà umana, è in connessione con i problemi della grazia, della predestinazione e dell’origine del male. S. Agostino distingue il libero a. dalla libertà perfetta, che l’uomo avrebbe perduto in seguito al peccato originale, identificandolo come quel posse non peccari per cui esso diviene essenzialmente inclinazione al bene, pur potendo volgersi al male. Nella scolastica il concetto di libero a. venne sviluppato in connessione al problema della volontà e della razionalità della scelta. In s. Tommaso esso viene a identificarsi con la volontà e la volontà libera non può non attenersi ai dettami della ragione. In antitesi all’intellettualismo tomistico una concezione volontaristica tende a ritrovare la libertà del volere nella totale indipendenza della volontà rispetto ai motivi dell’agire: così in G. Duns Scoto la libertà è intesa come possibilità di determinarsi ad azioni opposte, mentre in Guglielmo di Occam si accentua il carattere arbitrario della scelta, l’indifferenza rispetto a qualsiasi tipo di motivazione.