Nel linguaggio teologico, parola, atto o desiderio contrari alla legge divina: un’offesa a Dio, nel rifiuto del suo amore, che ferisce la dignità dell’uomo.
Nella manualistica teologica, soprattutto cattolica, si distingue il p. attuale, ossia l’atto in sé di una colpa, da quello abituale, che indica piuttosto lo stato di una persona che persiste nel p., con atti ripetuti. Riguardo alla gravità, si distingue il p. mortale, che a causa di una violazione grave della legge di Dio distoglie l’uomo da Dio, suo fine ultimo e sua beatitudine, preferendo a lui un bene inferiore, da quello veniale, che lascia sussistere la carità, quantunque la offenda e la ferisca. Si commette p. mortale quando ci sono nel contempo materia grave, piena consapevolezza e totale consenso; quando manca anche uno di questi tre elementi, il p. è veniale. Pertanto la gravità di un atto peccaminoso si desume innanzitutto dall’atto in sé, dal suo fine e dalle sue circostanze, secondo che violino più o meno l’ordine morale; importanza notevole ha la disposizione soggettiva del peccatore (ignoranza o malizia, coscienza maggiore o minore della colpa, consapevolezza completa o meno, assenso incondizionato o no). Nella tradizione teologica, da tempo immemorabile, alcuni p. si considerano causa di altri p. e pertanto sono detti capitali; essi sono: la superbia, l’avarizia, l’invidia, l’ira, la lussuria, la gola, la pigrizia e l’accidia.
P. originale La teologia cattolica, che trova il suo fondamento nel terzo capitolo della Genesi, intende con questa espressione il p. di Adamo trasmesso a tutta l’umanità eccettuata Maria, la madre di Gesù: sue conseguenze sono la privazione dello stato di amicizia con Dio e di doni eccezionali o preternaturali, fra cui in prima linea quello della immortalità, e una vita di miserie e pene, che grava sull’umanità, oltre a una concupiscenza disordinata nei sensi.
Secondo la dottrina del p. originale, così come è stata compendiata dal Concilio di Trento (sess. V), Adamo con il p. perdette la grazia e i doni preternaturali; il p. e i suoi effetti si trasmettono nei posteri per via di generazione, non perché gli uomini peccano a imitazione del loro capostipite; il p. è insito in ciascun uomo come qualche cosa di proprio, anche se in pratica come atto sia da ascriversi solo ad Adamo; tale p. è rimesso, come colpa e come pena, con il battesimo, ma resta, quale sua conseguenza, la concupiscenza, che in sé non è peccato ma propensione a esso.