Individuo della specie umana, senza distinzione di sesso, età, condizione sociale ecc., considerato sia come elemento a sé stante sia come facente parte di un gruppo o di una collettività.
A partire dagli studi di L. Lévy-Bruhl, M. Leenhardt e, soprattutto, M. Mauss, la ricerca antropologica ha attentamente analizzato le forme che la nozione di p. assume nelle diverse società umane e ha parallelamente riflettuto sul concetto della stessa nozione. Gli studi hanno mostrato come ogni cultura elabora proprie immagini dell’essere umano, inserendole in un ordine simbolico, in un insieme di rappresentazioni e di pratiche rituali, che stabiliscono le diverse qualità (fisiche, psichiche, morali, sociali) di un uomo o di una donna, oltre che all’interno di un sistema normativo capace di fissare status, diritti e doveri delle p. sociali. Nello stesso tempo, fin dal saggio di M. Mauss sulla nozione di p. (Une catégorie de l’esprit humain: la notion de personne, celle de «moi», 1938), tale nozione, legata a una tradizione giuridica latina e alle elaborazioni filosofiche occidentali, è risultata spesso incapace di esprimere la diversità, la molteplicità e la complessità dei modi in cui le culture umane rappresentano l’immagine o, con più precisione, le immagini dell’essere umano. All’idea, sostenuta da L. Lévy-Bruhl, che nelle società ‘primitive’ la nozione di p. fosse caratterizzata da un’indistinzione tra l’individuo, le cose che lo circondano, l’ambiente naturale e i gruppi dei quali è parte (legge di partecipazione), Mauss oppone un’importante distinzione tra il concetto di individuo da un lato, e quello di p. dall’altro. Le due nozioni appaiono oggi sovrapposte, perché l’idea di ‘p. umana’ costituisce l’esito finale dell’evoluzione della nostra tradizione culturale, connesso in maniera diretta alle forme sociali e politiche dell’Occidente. M. Leenhardt, partendo da materiali melanesiani, constata la tendenza degli individui a non rappresentarsi, o a non essere rappresentati, come dei centri fissi, immobili e sicuri di identità sociali (Do Kamo. La personne et le mythe dans le monde mélanésien, 1947).
I lavori di Mauss e di Leenhardt hanno consentito a numerosi antropologi, francesi e africanisti, di indagare i sistemi concettuali (mitologici, religiosi, rituali) all’interno dei quali le diverse culture africane hanno elaborato l’idea di persona. Particolarmente importanti, in tal senso, sono gli studi di M. Griaule, G. Dieterlen e G. Calame-Griaule sui Dogon e sui Bambara (Mali). In La notion de personne en Afrique noire (autori vari, 1973), altre ricerche hanno posto invece l’accento sulle rappresentazioni del corpo e delle diverse componenti fisiche o psichiche dell’individuo (ossa, sangue, sperma, umori vari, ombra, spirito, anima) e sui rapporti tra tali rappresentazioni e l’escatologia della p. (rapporti tra anima e corpo, prefigurazione dei destini dell’individuo, sorte dell’anima e degli altri elementi psicofisici dopo la morte).
Un’altra prospettiva d’indagine, adottata dagli antropologi sociali inglesi, privilegia lo studio dei modi in cui una certa elaborazione della nozione di p. è inserita e utilizzata all’interno di un quadro istituzionale di un sistema regolato di relazioni sociali. Soffermandosi sull’idea di «p. sociale e morale» elaborata da Mauss, alcuni autori inglesi (in particolare M. Fortes) hanno studiato i discorsi indigeni sulla p., mostrando come essi esprimano l’esigenza di fissare, differenziandoli, status e ruoli chiaramente definiti e attribuibili agli attori sociali. Vicino a queste analisi è lo studio dei rituali iniziatici intrapreso, in maniera indipendente dagli sviluppi dell’antropologia sociale inglese, da A. Van Gennep, nel quale si mostra come ogni società elabori precisi meccanismi rituali attraverso cui sancire l’acquisizione individuale di nuovi status, procedendo a una continua manipolazione culturale della p. sociale (Les rites de passage, 1909; trad. it. 1981). Infine, numerosi antropologi (M. Strathern, M. Rosaldo, S. Ortner), riprendendo alcune idee di Leenhardt e partendo da materiali melanesiani o asiatici, hanno messo in discussione la possibilità stessa di adoperare una nozione unitaria di persona. Dalle analisi di questi studiosi appare evidente che in numerose società umane l’idea di un io immobile, fisso, connotato sempre e in ogni contesto da una precisa identità sociale, non sia facilmente adoperabile. Le diverse identità personali si costruiscono nell’esperienza sociale, mutano nel corso della vita individuale e possono variare in relazione al contesto sociale.
Nell’etimologia latina, il termine p. indica la maschera teatrale che veniva indossata dagli attori per intensificare la loro voce, facendola per-sonare, e farsi ascoltare anche dagli spettatori più lontani dal palcoscenico. Di qui, l’uso nella filosofia stoica di chiamare p. tutti gli uomini, quali attori nel mondo, destinatari del dovere fondamentale di recitare il ruolo loro attribuito da dio, dal destino, dalla società. P. è pertanto colui che è riconoscibile e qualificabile come soggetto di azione, causa del proprio agire. Nel diritto romano il termine era contrapposto a res, indicando l’uomo quale esclusivo soggetto di diritti. Nella teologia cristiana, l’espressione è utilizzata per individuare il dogma trinitario: in questa prospettiva, l’uomo è p. sia perché creato a immagine di dio (s. Agostino) sia perché chiamato da dio ad agire come soggetto libero e responsabile. Dalla definizione di Boezio, per il quale p. è la «sostanza individuale di natura razionale», ripresa poi da s. Tommaso d’Aquino («ogni individuo di natura razionale è p.»), la scolastica deriverà le caratteristiche proprie ed essenziali della p.: la inseità (in sé), la perseità (per sé), la singolarità, la sostanzialità, l’integralità, l’indivisibilità, la razionalità, la perfezione (entro la finitezza creaturale), la libertà e la responsabilità. L’uomo, dunque, è p. perché dotato di un logos, quale capacità di raziocinio e azione, linguaggio e dialogo, coscienza e responsabilità. Nella tradizione filosofica occidentale, il logos tuttavia non è una qualità accidentale dell’uomo, ma sua autentica essenza. Sarà la disgiunzione del paradigma teologico da quello filosofico a fare del logos una qualità non costitutiva dell’essere umano, che si può acquisire o perdere, della quale gli individui devono dar prova per poter essere definiti persone.
Così, nell’epoca contemporanea, dominata dal progresso medico e dallo scientismo tecnologico, che ha seriamente messo in crisi il concetto di p., tutti coloro che non sono in grado di dimostrare tale qualità ricadono nella categoria delle ‘non-p.’: embrioni umani, feti, neonati, soggetti in coma, disabili mentali, venendosi così a configurare una distinzione tra esseri umani e p., sia sul piano filosofico sia sul piano giuridico-sociale, con il rischio di una grave discriminazione nella tutela giuridica della vita, che viene differenziata per gradi. Nel dibattito bioetico attuale, infatti, si è giunti a mettere in dubbio che la vita umana possieda sempre carattere personale e si sono evidenziate due tendenze contrapposte: una a separare il concetto di p. da quello di essere umano e di vita umana, l’altra che, sulla scia della tradizione filosofica occidentale, fa invece coincidere i due concetti. Nel primo approccio, detto separazionista e sostenuto, tra gli altri da P. Singer, J. Harris e H.T. Engelhardt, p. non è l’individuo umano in sé e per sé (in senso ontologico) ma solo l’individuo (umano o non umano) in quanto capace di manifestare alcuni caratteri o qualità accidentali (in senso funzionalista ed empirista). L’approccio personalista (S. Cotta, R. Spaemann, J. Habermas) fa invece corrispondere il riconoscimento dell’identità personale all’appartenenza oggettiva dell’individuo alla specie umana, riconfermando la priorità della natura umana e della sostanza sulle funzioni (sensitive, razionali, autocoscienti, volitive) e la sua oggettiva e inalienabile dignità. L’essere p., in tal senso, è una condizione ontologica radicale, caratterizzata dall’uni-totalità corpo-spirito: ogni essere umano è p. dall’inizio dell’esistenza corporea (la fecondazione) fino alla morte naturale, a prescindere dallo sviluppo, dall’età o dalle condizioni di malattia.
Nel linguaggio giuridico, con il termine persona si indica in generale il soggetto di diritto, titolare di diritti e obblighi, investito all’uopo della necessaria capacità giuridica e del quale è regolata la possibilità di circolazione tra ordinamenti diversi. La p. fisica viene a esistenza nel momento della nascita dell’essere umano, più precisamente quando il medesimo nasce vivo (mentre non è oggi richiesto il requisito della vitalità o idoneità del nato a continuare la vita), anche se la legge attribuisce rilievo al concepito e al non concepito. Il fatto della nascita è il sostegno naturalistico dell’attribuzione della capacità giuridica. L’uomo si trova naturalmente in particolari rapporti con l’ambiente sociale, sia esso familiare o sociale in senso lato, dai quali egli non può separarsi e dai quali il diritto non può prescindere: con riferimento a siffatti rapporti, alla p. fisica sono riconosciuti particolari status, dai quali derivano diritti e doveri, e che ineriscono essenzialmente a ogni p., la quale non può cederli né farne oggetto di transazioni o pattuizioni: la cittadinanza, cioè il rapporto che lega ogni individuo a uno Stato; la famiglia, cioè il rapporto che lega ogni individuo ad altre p. per vincolo di consanguineità e di matrimonio. I diritti della personalità, species rispetto al genus dei diritti assoluti, sono quelli che proteggono la p. come tale, nei suoi aspetti essenziali e nelle sue manifestazioni immediate; essi sorgono, come si è accennato, con il nascere del soggetto, e talvolta anche prima (v. il diritto alla vita del concepito) o in seguito, ma sempre originariamente, essendo diritti intrasferibili: tra essi sono particolarmente rilevanti il diritto alla vita, al nome, all’onore, alla propria immagine, e così via. Con riferimento alla posizione che la p. assume nello spazio, l’ordinamento disciplina gli istituti del domicilio, della residenza, della dimora. Mediante gli istituti della scomparsa, dell’assenza e della morte presunta, sono inoltre disciplinati, nell’ordinamento italiano, gli effetti che derivano dalla materiale scomparsa della p. fisica dal domicilio o dalla residenza senza che sia possibile reperire notizie che provino la sua sopravvivenza. La p. fisica si estingue con il fatto naturale della morte dell’individuo: la sua capacità giuridica cessa e ciò che, in un significato materiale e ideale, rimane dopo la morte non può più essere soggetto, ma oggetto di diritti. Data l’importanza che può avere il conoscere se la morte di una p. abbia preceduto o seguito quella di altre p., l’ordinamento italiano introduce la presunzione della commorienza.
Legati alle p. fisiche e alle loro vicende naturali e giuridiche sono gli atti dello stato civile. La p. giuridica è quell’organismo unitario, caratterizzato da una pluralità di individui o da un complesso di beni, al quale viene riconosciuta dal diritto capacità di agire in vista di scopi leciti e determinati. Gli elementi costitutivi (o presupposti materiali) per l’esistenza della p. giuridica sono: una pluralità di p., un patrimonio autonomo, uno scopo lecito e determinato per la realizzazione di interessi scientifici, artistici, commerciali, di beneficenza, ma i primi due elementi non concorrono necessariamente o comunque non si presentano ugualmente importanti: la pluralità di p. può in alcuni tipi di p. giuridiche presentarsi non in primo piano o mancare del tutto, mentre è essenziale in altri tipi di p. giuridiche (come le associazioni). La presenza di questi elementi normalmente deve desumersi dall’atto costitutivo della p. giuridica, nel quale trova manifestazione la volontà di coloro che gettano le basi dell’ente (atto che per la categoria delle cosiddette fondazioni è detto negozio di fondazione), e dallo statuto della medesima. Il momento giuridico dell’attribuzione della personalità giuridica all’ente qualificato dagli elementi o presupposti summenzionati è il riconoscimento giuridico, che ha efficacia costitutiva, derivando da esso la creazione di un nuovo soggetto (titolare) di imputazione di rapporti giuridici. A seguito del riconoscimento, l’ente può legittimamente esprimere una propria volontà mediante gli organi all’uopo predisposti, e legittimamente avere un proprio patrimonio, dotato di completa autonomia rispetto a ogni altro, compresi anche quelli delle p. che abbiano contribuito alla formazione del patrimonio della p. giuridica. Il riconoscimento può assumere forme diverse, essere cioè conferito genericamente mediante la preventiva determinazione delle condizioni volute dalla legge per concedere la personalità giuridica, sicché per quegli enti rispetto ai quali le condizioni richieste si siano verificate, l’attribuzione in concreto della personalità deriva dalla sola osservanza di formalità, ovvero può essere conferito specificatamente mediante un provvedimento dell’autorità amministrativa, la quale, oltre a verificare l’esistenza delle condizioni richieste preventivamente dalla legge, può scendere anche a valutare in concreto la rilevanza oggettiva, la liceità e la determinatezza dello scopo che la p. giuridica in formazione intende perseguire (per es., per le associazioni, fondazioni, istituzioni private). La capacità giuridica della p. giuridica, conseguente al riconoscimento, è più limitata rispetto a quella propria delle p. fisiche, non potendo estrinsecarsi in numerosi rapporti che presuppongono la personalità fisica (per es., rapporti di diritto familiare) e dovendosi sviluppare nella direzione richiesta dallo scopo: la capacità è generale nei rapporti giuridici patrimoniali, e più limitata invece nell’ambito dei diritti della personalità e connessi (diritto al nome, all’onore, ecc.). La capacità di agire della p. giuridica deve essere ammessa anche se il suo esercizio richiede la partecipazione di rappresentanti (amministratori), i quali comunque derivano la loro posizione giuridica dalla volontà dell’ente. I modi di estinzione possono essere naturali, a seguito del venir meno dell’elemento personale, per scioglimento volontario, secondo quanto stabilito nell’atto costitutivo o nel negozio di fondazione, a seguito della realizzazione dello scopo o della impossibilità, o legali, a seguito della revoca del riconoscimento o per fusione e trasformazione dell’ente. La funzione di pubblicità concernente la vita delle p. giuridiche è esercitata, analogamente a quanto avviene per le p. fisiche con i registri dello stato civile, dallo Stato, il quale vi provvede mediante la tenuta e la conservazione (presso la cancelleria del tribunale di ogni capoluogo di provincia) di un pubblico registro delle p. giuridiche. Delle p. giuridiche si danno numerose distinzioni sulla base della presenza di elementi determinati a caratterizzare un tipo. La distinzione fondamentale è quella tra associazioni e fondazioni. Con il d. lgs. n. 231/2001 è stata introdotta nel sistema giuridico italiano un’articolata disciplina della responsabilità amministrativa delle p. giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica.
Insieme con la libera circolazione delle merci, dei servizi e dei capitali, è una delle quattro libertà fondamentali garantite dall’ordinamento giuridico dell’Unione Europea (UE). Inizialmente fu concepita dai Trattati istitutivi come libera circolazione degli operatori economici al fine di prestare lavoro subordinato all’interno degli Stati membri; in seguito agli Accordi di Schengen del 1985, e del Trattato di Maastricht (art. 18 TCE e seg.), che ha introdotto l’istituto della cittadinanza europea, tale principio ha assunto un valore più ampio, includendo anche il più generale diritto per i cittadini europei di soggiorno e circolazione in tutto il territorio dell’UE. La libera circolazione delle p. comporta l’abolizione di ogni discriminazione tra lavoratori degli Stati membri fondata sulla nazionalità, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e qualunque altra condizione di lavoro, compresi i diritti di rispondere a offerte di lavoro, spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri, prendere dimora in uno Stato membro al fine di svolgervi un’attività lavorativa e altresì rimanervi dopo aver occupato un impiego (art. 39 TCE). La libera circolazione delle p. implica anche il divieto di restrizioni alla libertà di stabilimento nel territorio di un altro Stato al fine di aprire agenzie, succursali, filiali, costituire imprese e società, nonché esercitare attività non salariate (art. 43 TCE); in tale contesto si collocano le politiche in materia di mutuo riconoscimento di diplomi e titoli di studio. Uniche eccezioni a tale libertà ammesse dai Trattati sono quelle giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica.
La libera circolazione delle p., nel creare uno spazio senza frontiere interne, ha comportato una cooperazione intergovernativa in materia di visti, asilo e immigrazione, che ha visto la sua comunitarizzazione con il Trattato di Amsterdam del 1997.
I delitti contro la p. sono previsti nel 12° titolo del vigente c.p., nel quale sono stati distintamente raggruppati i fatti che ledono l’integrità fisica (capo I, delitti contro la vita e l’incolumità individuale: omicidio [art. 575-577], infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale [art. 578], omicidio del consenziente [art. 579], istigazione o aiuto al suicidio [art. 580], percosse [art. 581], lesione personale [art. 582, 583, 585], omicidio preterintenzionale [art. 584, 585], morte o lesioni quale conseguenza di delitto doloso [art. 586], rissa [art. 588], omicidio colposo [art. 589], lesioni personali colpose [art. 590], abbandono di persone minori o incapaci [art. 591], omissione di soccorso [art. 593]), quelli che attentano alla integrità morale (capo II, delitti contro l’onore: ingiuria [art. 594], diffamazione [art. 595]) e quelli che violano il diritto alla libertà individuale, intesa come il complesso delle condizioni necessarie allo svolgimento delle attività consentite per la libera esplicazione della personalità umana (capo III, delitti contro la libertà individuale, distinti in delitti contro la personalità individuale, contro la libertà personale, contro la libertà morale, contro l’inviolabilità del domicilio, contro l’inviolabilità dei segreti: art. 600-623 bis c.p.).
Con una significativa modificazione nella sistematica del c.p., la l. 66/1996 ha abrogato il capo I del titolo IX relativo ai delitti contro la libertà sessuale e ha introdotto nel capo III del titolo XII, concernente i delitti contro la libertà individuale, gli art. 609 bis-609 decies, che prevedono i delitti contro la libertà sessuale delle persone. La l. 269/1998 ha poi introdotto nel medesimo capo del titolo XII gli art. 600 bis-600 septies, che prevedono e sanzionano, come nuove forme di riduzione in schiavitù, lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia e del turismo sessuale in danno dei minori.
Anche nell’ordinamento canonico p. equivale a soggetto di diritto: i soggetti di diritto possono essere tanto le p. fisiche, cioè gli esseri umani, quanto le p. giuridiche, cioè gli insiemi di p. o insiemi di cose (can. 96-100 e 113-118). In particolare, per il diritto canonico, ogni essere umano è p., cioè soggetto di diritto; però i fedeli, vale a dire i battezzati nella Chiesa cattolica, sono i soggetti primari di tale ordinamento in quanto destinatari delle sue norme generali (can. 11) e particolari; i battezzati nelle altre Chiese e comunità cristiane, in quanto incorporati al Cristo e alla Chiesa mediante il vincolo fondamentale del battesimo, godono di una certa soggettività, e quindi dell’esercizio dei diritti, corrispondenti al grado di comunione con la Chiesa, secondo il dettato del concilio Vaticano II, mentre i non battezzati (detti una volta «infedeli») ne sono soggetti secondari in quanto destinatari della evangelizzazione. Sotto il profilo dell’istituzione divina e della partecipazione al sacerdozio del Cristo i battezzati si distinguono in chierici e laici (can. 207, par. 1), mentre dagli uni e dagli altri provengono i consacrati mediante la professione dei consigli evangelici (can. 207, par. 2).
Le p. giuridiche sono costituite o dalla stessa disposizione del diritto (per es. diocesi, parrocchie ecc.) oppure dalla concessione speciale da parte della competente autorità ecclesiastica (istituti di vita consacrata, associazioni ecc.).
Nella filosofia moderna le critiche al concetto di p. sono determinate soprattutto dal carattere d’identità temporale a essa considerato intrinseco. In particolare, la critica humiana, muovendo dal concetto che l’Io si riduce a un semplice fascio di sensazioni interne, nega per ciò stesso la stabilità oggettiva della p., e apre la via al nuovo concetto di Io trascendentale avanzato da Kant ed elaborato dai postkantiani. Le caratteristiche di ‘dignità’ e di ‘insostituibilità’ della p. in quanto p. umana sono state particolarmente sottolineate nel pensiero etico di Kant.
I temi della finitezza, della libertà e della responsabilità della p. hanno acquistato particolare rilievo nell’ambito del pensiero contemporaneo, soprattutto in quello francese (valgano come esempio le teorizzazioni di G. Marcel). Una distinzione tra p. e individuo ha tentato J. Maritain, intendendo per individuo la materialità, per p. invece le caratteristiche spirituali, mantenendo peraltro l’inscindibilità delle due componenti. Una posizione originale è quella di M. Scheler, che definisce la p. fondamentalmente come ‘rapporto al mondo’. Questo concetto di p. ha costituito poi il punto di partenza dell’esistenzialismo heideggeriano, il quale si incentra appunto nella categoria del Dasein («esserci», «esserci nel mondo» ecc.). Il concetto di p. è stato riproposto, nell’ambito del dibattito sulla natura degli stati mentali tipico della filosofia analitica (➔ mente), soprattutto da W. Sellars, S.N. Hampshire e P.F. Strawson, che con esso hanno inteso riferirsi all’individuo in quanto parte di un contesto socioculturale e in quanto unità psicofisica a cui si attribuiscono coscienza, desideri, credenze e responsabilità morale, caratteristiche non riducibili a una considerazione strettamente neurofisiologica dell’attività mentale.
Nell’uso grammaticale si chiamano nomi di p. quelli che si riferiscono a individuo determinato (nomi propri di p.) o a categoria di persone (nomi comuni di p.), in opposizione a nomi di cosa (➔ nome).
Si usa il termine p. a proposito delle forme del pronome o del verbo, secondo che si riferiscano a chi parla (prima p. singolare), o a colui che ascolta (seconda p. singolare), oppure a p. (o cosa) diversa da questi due (terza p. singolare); e, trattandosi di gruppo di due o più p. (o cose), se in queste è inclusa la prima p. (prima p. plurale o duale), o se gli ascoltatori sono più p. (o cose) fra cui è incluso l’uditore (seconda p. plurale o duale), o infine se né chi parla né chi ascolta fanno parte del gruppo (terza p. plurale o duale). Nel verbo le p. sono indicate dalle desinenze che a volte, per es. nel verbo semitico e in certe forme di origine nominale nel verbo slavo, possono distinguere anche il genere maschile o femminile o neutro.
Nella dottrina psicologica di C.G. Jung, il termine latino persona («maschera») indica quella parte della personalità che copre le strutture più profonde e che definisce l’individuo nella considerazione e nelle esigenze del suo ambiente sociale quotidiano. P. è quindi la maschera sociale che ogni individuo deve assumere in rapporto al proprio ruolo nella società; quanto più accentuata è la p., tanto più oscura è l’ombra, che costituisce l’‘altro lato’ oscuro della personalità. L’archetipo dell’ombra è l’archetipo del male ed è parte dell’inconscio collettivo; in quanto tale, si carica di ogni contenuto represso ma anche di ogni possibilità trasformativa e creativa.
In psichiatria, misconoscimento di p., disturbo dell’identificazione delle p. sia sotto forma di riconoscimento di sconosciuto sia – più raramente – sotto forma di disconoscimento di conosciuto. Si riscontra in molte forme di psicosi, sia organiche sia schizofreniche.
Nella tradizione cristiana, le tre p. divine, quelle che insieme costituiscono la Trinità: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo. Il termine latino persona fu usato in teologia trinitaria, per primo da Tertulliano, per designare quello che i Greci indicavano con i termini ὑπόστασις e πρόσωπον. Si possono ridurre a tre le ipotesi formulate sull’introduzione di questo termine: quella che lo considera mutuato dal linguaggio giuridico, nel quale persona indica il soggetto di diritto; quella cosiddetta prosopologica, che lo vuole derivato dall’esegesi biblica dei Padri, rivolta talora a individuare la p. a nome della quale fossero pronunciati alcuni passi biblici (in particolare dei Salmi); quella che ritiene il termine derivante dal lessico comune del tempo, cioè come equivalente di individualità umana concreta ed empirica. Quest’ultima ipotesi sembra la più probabile.
Il chiarimento definitivo del termine in teologia si ebbe nel Concilio di Calcedonia del 451, che distinse ϕύσις da ὑπόστασις e da πρόσωπον. La ϕύσις indica che cosa è Gesù Cristo, designando la sua duplice natura, umana e divina, mentre la ὑπόστασις e il πρόσωπον indicano chi è Gesù, designando la sua unica p. divina. A partire da Boezio, a cui risale la definizione «persona est rationalis naturae individua substantia», la teologia scolastica ha sottolineato di più la sussistenza che la relazionalità dell’essere personale.
Approfondimento:
Lo status giuridico di consumatore: caratteristiche e singole accezioni di Emilio Graziuso