Unione fisica, morale e legale dell’uomo (marito) e della donna (moglie) in completa comunità di vita, al fine di fondare la famiglia e perpetuare la specie.
Se inteso nella sua definizione minima, come unione fra un uomo e una donna, tale che i figli nati da questa unione siano riconosciuti come progenie legittima di entrambi i coniugi (o anche di uno solo degli stessi), il m. può essere considerato un’istituzione universale, comune a tutti i popoli conosciuti di ogni continente e di ogni epoca. False dunque le teorie evoluzionistiche secondo le quali il m. sarebbe sorto per gradi, passando per forme via via più perfezionate, a partire da un primordiale stato di agamia e di promiscuità sessuale generale, sino a raggiungere, con la forma monogamica, la sua espressione più alta, aprioristicamente considerata tale in quanto propria della cultura occidentale. Mentre risulta vano il tentativo di risalire alle forme originarie dell’istituzione, rimane tuttavia il fatto assodato che tutte le popolazioni attuali note conoscono il m. come vincolo socialmente riconosciuto fra individui singoli, lo sottopongono a leggi restrittive o ingiuntive spesso molto precise e severe e, nella maggior parte dei casi, gli attribuiscono carattere di lunga durata e stabilità.
Quando si prende in considerazione il numero dei coniugi che ogni persona (donna o uomo) può contemporaneamente avere, si parla di poliandria, poliginia o monogamia. Di queste tre possibili forme di m., la monogamia è di gran lunga la più diffusa tra tutti i gruppi umani; fatto senza dubbio determinato in buona parte da una naturale causa biologica, quella del sensibile equilibrio numerico di ogni gruppo umano fra individui dell’uno e dell’altro sesso. La poliginia, istituzione molto comune fra i popoli di tutti i continenti, non costituisce in sostanza che l’autorizzazione giuridica in base alla quale l’uomo può avere contemporaneamente più di una moglie legittima; ma l’istituzione, che da parte delle diverse società può essere tollerata, normalmente ammessa o raccomandata (quasi mai ingiunta), si rivela statisticamente seguita solo da una frazione spesso piccola e privilegiata di individui, così che anche nelle società teoricamente poligame la monogamia rimane per lo più la regola, per forti che siano gli incoraggiamenti alla poliginia (desiderio di maggiore discendenza, di prestigio sociale, di potenziamento della forza lavorativa costituita dal gruppo familiare ecc.). La poliandria è forma assai più rara del m. poligamico (alcuni gruppi dell’India meridionale, del Tibet ecc.), e anche dove è praticata coesiste (come fra gli Scioscioni e alcuni Inuit) con la poliginia e la monogamia.
A partire dalle teorie di C. Lévi-Strauss, l’analisi antropologica ha elaborato una griglia concettuale particolare che ha totalmente modificato lo studio delle istituzioni matrimoniali di tutti i gruppi umani, viste come sistemi regolati di scambio di donne tra gruppi di uomini. Da un simile punto di vista, momento centrale nell’analisi del m. è la definizione di un ambito minimo di proscrizione matrimoniale e sessuale.
Proscrizione matrimoniale. - Il tabù dell’incesto, vietando l’accesso a un certo numero di donne, rende necessaria la ricerca del coniuge al di fuori di determinate aree parentali. Pertanto il principio dell’esogamia si impone automaticamente come formulazione positiva della regola negativa dell’incesto. Le società umane sembrano aver scelto tra un numero ristretto di possibilità di formulazione di tale regola positiva. Alcune, dopo aver precluso a un uomo l’accesso a talune donne, indicano con precisione, spesso in maniera prescrittiva, con chi ci si deve sposare. Sono questi i sistemi elementari di parentela, studiati da Lévi-Strauss, e legati ad alcune forme di m. tra cugini. Lévi-Strauss mostrò infatti come la forma più semplice di m. prescrittivo è quella che, escludendo dal numero dei coniugi le cugine parallele di «ego» maschio (le figlie, reali e classificatorie, della sorella della madre e del fratello del padre di «ego»), indica nello scambio di sorelle tra due uomini la forma preferita di matrimonio. In questi casi l’unione prende la forma del m. tra cugini incrociati bilaterali (un uomo sposa la figlia del fratello della madre, che è anche la figlia della sorella di suo padre), che conduce automaticamente alla formazione di un sistema di metà legate tra loro da vincoli di alleanza coniugale. A questo scambio ristretto elementare, si affianca uno scambio matrimoniale ristretto e dilazionato, connesso con il m. di un uomo con la figlia della sorella del padre. In questo caso si assiste a una circolazione di donne/spose che, variando di senso a ogni generazione, lega tra loro almeno tre gruppi. All’altra forma di m. tra cugini incrociati (un uomo sposa la figlia del fratello della madre) si associa uno scambio di donne che collega tra loro più gruppi, connessi in maniera stabile da vincoli asimmetrici tra datori e prenditori di donne.
A questi sistemi, diffusi in tutti i continenti, che indicano con precisione la classe (parentale) nella quale occorre scegliere il coniuge, si affiancano sistemi che si limitano a prescrivere alcune classi di parenti, lasciando in teoria libera ogni altra scelta. In questi sistemi, detti semicomplessi (o Crow-Omaha, dal nome di due gruppi americani), un individuo maschio non può sposarsi, secondo le teorie di Lévi-Strauss, con una donna di gruppi nei quali uomini del suo gruppo abbiano preso donne nelle generazioni precedenti. Di fatto, indagini più recenti hanno mostrato che, anche nei sistemi semicomplessi, la scelta del coniuge, per quanto legata a meccanismi complessi e comprensibili solo attraverso analisi statistiche, non è mai casuale, ma costantemente legata alla ricerca di legami che ricuciano, appena possibile, vincoli di consanguineità altrimenti destinati a disperdersi.
Esogamia ed endogamia. - Alla luce di queste scoperte, anche lo studio delle scelte matrimoniali nelle società europee, specie in quelle contadine e in tutte le società di epoca medievale e moderna, ha assunto connotati diversi. L’importanza delle chiusure consanguinee determinate da scelte matrimoniali nell’ambito della parentela, legate a strategie patrimoniali o dettate da interne coerenze strutturali, è ormai evidente nelle più recenti analisi di storici e antropologi. Oltre alle scelte esogamiche, importanti sono, in alcune società umane, le scelte matrimoniali legate a una specifica ricerca di m. endogamici: tipici esempi sono i m. tra cugini incrociati patrilaterali del mondo arabo o di alcuni gruppi contadini europei nel corso dell’Ottocento. Frequente poi l’endogamia di casta, o di ceto (tipica di tutte le campagne europee fino ai nostri giorni). Più raro il cosiddetto incesto legalizzato praticato un tempo dalle stirpi regnanti o dal solo sovrano in vari regni del Sudan, nell’Egitto faraonico, nel Perù precolombiano, nel Siam, nelle Hawaii, e il cui fine era di salvaguardare la purezza del sangue, esaltando al contempo la potenza magica del sovrano attraverso un m. che per il suo carattere di innaturalità ne evidenziasse la posizione di superiorità.
L’istituto della dote. - Il m. comporta il passaggio, per lo più definitivo, di un individuo da un gruppo sociale (clan, lignaggio, villaggio) a un altro. Si parla allora di m. virilocale, quando la donna si sposta a vivere presso il marito; di m. patrilocale, quando marito e moglie vivono presso i genitori di lui. Vi è poi una forma di m. matrilocale, quando è il marito a spostarsi presso la moglie, e neolocale, quando la coppia si stabilisce in una nuova situazione residenziale. Il m. comporta inoltre che la prole dei coniugi appartenga all’uno e/o all’altro dei gruppi dei quali i genitori sono membri, pur discendendo biologicamente da entrambi. Sono queste le ragioni fondamentali, insieme alla necessità di scambiare donne, che rendono necessari accordi e compensazioni bilaterali fra i gruppi sociali cui gli sposi appartengono. Questi si risolvono ordinariamente in pagamenti che in numerose società non europee prendono il carattere di prezzo della sposa (bestiame, attrezzi di lavoro, armi, moneta), versato dallo sposo e dai suoi parenti ai parenti della sposa. Nelle società europee, e anche in altre, si ha l’istituto della dote, pagata dai parenti della sposa allo sposo e a volte al suo gruppo.
Secondo un’accreditata teoria, i sistemi matrimoniali europei si distinguerebbero da quelli subsahariani proprio per la presenza della dote e della devoluzione divergente dei beni (i beni di un’unità coniugale si trasmettono tanto ai maschi, sotto forma di eredità, quanto alle donne, sotto forma appunto di dote) e dalla conseguente assenza di un prezzo della sposa (legato al carattere parallelo della devoluzione dei beni: questi passano a individui dello stesso sesso del proprietario). In altre parole, il m. nell’Europa cristiana sarebbe legato all’esigenza di costituire di volta in volta un patrimonio consustanziale all’unità coniugale, attraverso la devoluzione dei beni delle due famiglie di provenienza dei coniugi. Nell’Africa subsahariana, al contrario, attraverso il pagamento del prezzo della sposa si eviterebbe il costituirsi di nuove unità matrimoniali/patrimoniali, a vantaggio del perpetuarsi di gruppi che controllano beni, riproduzione e individui. Il cerimoniale e i riti cui simili pagamenti sono associati contribuiscono a rendere solenne la stipulazione del m. e a sanzionarne pubblicamente la stabilità.
La complessità e la ricchezza dei riti nuziali varia notevolmente da regione a regione e da popolo a popolo. Ma anche quando essi si riducono ad atti di estrema semplicità, mantengono sempre il loro valore simbolico che ha il fine di evidenziare il distacco della sposa dalla casa paterna (nel caso di residenza virilocale), o l’unione degli sposi, o lo stato di nuovi coniugi o la posizione di preminenza dell’uomo all’interno della famiglia, o il legame tra la nuova famiglia e gli antenati che attraverso di essa continuano a partecipare alla vita del gruppo, ricevendone il culto e gli onori dovuti.
Durata del matrimonio. - La stabilità e la durata del m. sono molto variabili: mentre sono relativamente poche (e per lo più appartenenti al mondo dei cacciatori, raccoglitori e agricoltori inferiori) le popolazioni che considerano indissolubile il vincolo matrimoniale, presso tutte le altre lo scioglimento del m. è possibile, sebbene nella maggioranza dei casi l’uso sia temperato in pratica dal rispetto dell’unità della famiglia quando esistano figli, dal riscontro di motivi obiettivamente validi ecc.
Il termine m. in diritto civile ha due differenti accezioni: con la prima, si intende il m.-atto, ovvero il negozio giuridico con il quale un uomo e una donna dichiarano con le dovute formalità di volersi prendere reciprocamente per marito e moglie, formando così una famiglia; con la seconda, si intende il m.-rapporto, comprensivo di tutti gli effetti di natura sia personale sia patrimoniale, che scaturisce dalla celebrazione del negozio matrimoniale.
Costituzione e codice. - Il m. è innanzitutto regolato dalla Costituzione: in particolare, l’art. 29 dispone che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul m. e che quest’ultimo è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, mentre l’art. 31 statuisce che la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Il principio di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi non era invece originariamente presente nel codice civile, che disciplina dettagliatamente il m. nel titolo VI del libro I (art. 79-230 bis) e che è stato infatti ampiamente novellato e modificato per armonizzarlo con la Costituzione (in particolare, con la l. 151/1975, che ha riformato il diritto di famiglia).
M.-atto. - Il m.-atto è un negozio giuridico personalissimo, in quanto può essere posto in essere solo dai diretti interessati (anche nel m. per procura, riservato dall’art. 111 c.c. al caso di militari e persone di servizio al seguito delle forze armate in tempo di guerra, nonché al caso di residenza all’estero di uno degli sposi, concorrendo gravi motivi da valutarsi dal tribunale nella cui circoscrizione risiede l’altro sposo, in quanto chi manifesta la volontà in luogo del nubendo non è un rappresentante ma un mero nuncius). È un negozio puro, in quanto la dichiarazione degli sposi non può essere sottoposta né a termine né a condizione, che, anche laddove fossero introdotti, si avrebbero per non apposti (art. 108 c.c.); è libero, poiché nessuno può essere giuridicamente vincolato a sposarsi (un’eventuale promessa di m. non obbliga a contrarlo né ad eseguire ciò che si fosse convenuto per il caso di non adempimento: art. 79 c.c.); è solenne, in quanto si svolge secondo determinate formalità.
In particolare, il m. può essere celebrato secondo tre possibili riti. Il rito canonico-civile, comunemente detto concordatario (disciplinato dal concordato lateranense tra la Santa Sede e l’Italia dell’11 febbraio 1929, modificato dall’accordo del 18 febbraio 1984, ratificato con l. 121/1985), ha luogo secondo le norme del diritto canonico e davanti a ministro del medesimo culto; al m. così celebrato sono riconosciuti anche gli effetti civili a condizione che l’atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile, previe pubblicazioni nella casa comunale. Subito dopo la celebrazione, il parroco o il suo delegato spiegherà ai contraenti gli effetti civili del m., dando lettura degli articoli del codice civile riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi, e redigerà quindi, in doppio originale, l’atto di m., nel quale potranno essere inserite le dichiarazioni dei coniugi consentite secondo la legge civile. La trascrizione non potrà avere luogo qualora gli sposi non rispondano ai requisiti della legge civile circa l’età richiesta per la celebrazione o sussista un impedimento che la legge civile considera inderogabile, ma sarà ammessa quando, secondo la legge civile, l’azione di nullità o di annullamento non potrebbe essere più proposta. Il m. produce gli effetti civili dal momento della celebrazione, anche se l’ufficiale dello stato civile, per qualsiasi ragione, abbia effettuato la trascrizione oltre il termine prescritto. Nel caso dei culti acattolici ammessi nello Stato, il rito del m. è celebrato davanti a ministri autorizzati ed è regolato dalle disposizioni relative al m. di rito civile, salvo quanto stabilito nella legge speciale concernente tale m. (art. 83 c.c.). Il ministro celebrante compila l’atto di m. e lo trasmette all’ufficiale dello stato civile per la trascrizione. Il rito civile, infine, è celebrato davanti all’ufficiale dello stato civile, che, alla presenza di due testimoni, legge ai nubendi gli art. 143, 144 e 147 c.c., riceve da ciascuna delle parti personalmente, l’una dopo l’altra, la dichiarazione che esse si vogliono prendere rispettivamente per marito e moglie e di seguito dichiara che esse sono unite in m. (art. 107 c.c.). L’atto di m. deve essere compilato immediatamente dopo la celebrazione.
La prova della celebrazione del m. può essere data esclusivamente sulla base dell’atto di m., salvo il caso di distruzione o smarrimento dei registri dello stato civile; in questo caso la celebrazione del m. può essere provata con ogni mezzo.
Non può validamente contrarre m. chi è minorenne (se tuttavia ha compiuto 16 anni e se ricorrono gravi motivi, può essere ammesso al m. con decreto del tribunale, accertata la sua maturità psicofisica e la fondatezza delle ragioni addotte), chi è vincolato da precedente m. (➔ bigamia), chi è interdetto per infermità di mente e la donna entro 300 giorni dallo scioglimento, dall’annullamento o dalla cessazione degli effetti civili del precedente m. (il tribunale può tuttavia autorizzare il m. quando è inequivocabilmente escluso lo stato di gravidanza o se risulta da sentenza passata in giudicato che il marito non ha convissuto con la moglie nei 300 giorni precedenti lo scioglimento, l’annullamento o la cessazione degli effetti civili del m.; il divieto cessa dal giorno in cui la gravidanza è terminata). Inoltre, non possono contrarre m. tra loro: ascendenti e discendenti in linea retta; fratelli e sorelle (germani, consanguinei o uterini); lo zio e la nipote, la zia e il nipote; gli affini in linea retta (all’infinito) o collaterale (in secondo grado); l’adottato e i figli dell’adottante; l’adottato e il coniuge dell’adottante, l’adottante e il coniuge dell’adottato; le persone delle quali l’una è stata condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell’altra.
M.-rapporto. - Il m.-rapporto è regolato dagli art. 143 e seg. c.c., che stabiliscono che con il m. marito e moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri, sia personali sia patrimoniali, tra cui l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione; l’obbligo a contribuire ai bisogni della famiglia in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro, l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. A seguito del m. la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze. I coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e stabiliscono la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa.
M. tra persone dello stesso sesso. - In Italia le relazioni alternative al modello matrimoniale eterosessuale sono rimaste a lungo e per definizione ‘non coniugali’, quindi prive di rilevanza giuridica. Dal 2016 hanno avuto riconoscimento giuridico in Italia anche le relazioni affettive alternative ai rapporti propriamente coniugali fondati sul matrimonio. La l. n. 76/2016 ha introdotto nell’ordinamento italiano le unioni civili tra persone dello stesso sesso e le convivenze di fatto tra «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale …» (art. 1, co. 36). Conformemente alle indicazioni della giurisprudenza costituzionale e di legittimità la cd. Legge Cirinnà, alle unioni omosessuali un trattamento «omogeneo» rispetto alla «coppia coniugata» (C. cost., 15.4.2010, n. 138; Cass., 15.3.2012, n. 4184). Il testo di legge rende così effettivo anche in Italia il diritto alla vita familiare senza connotazione sessuali enunciato dalle Carte internazionali dei diritti (artt. 8 e 12 ECHR; artt. 7 e 9 Carta di Nizza). La legge riconosce l’unione civile omosessuale «quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione» (art. 1) difendendo la specificità della famiglia fondata sul matrimonio e sull’art. 29 della Costituzione. Tuttavia, sia pure soltanto al fine «di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivante dall’unione civile tra persone dello stesso sesso», si applicano alle unioni civili tutte «le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e … contenenti le parole ‘coniuge’ o termini equivalenti» (art. 1, co. 20). Così, mentre i diversi riferimenti costituzionali escludono l’equiparazione tra unione civile e unione matrimoniale, la disciplina delle unioni civili delinea un’inedita e più ampia categoria di coniugalità che sostanzialmente assorbe le relazioni affettive giuridicamente riconosciute nel loro insieme, sia propriamente coniugali perché matrimoniali, sia mediatamente coniugali benché non matrimoniali. Il baricentro dell’ordine pubblico familiare italiano sembra ormai spostarsi dal matrimonio alla coniugalità.
Nel diritto internazionale privato, la disciplina del m. regola sia la forma della celebrazione e delle condizioni necessarie per contrarlo, sia i rapporti personali e patrimoniali che si instaurano tra i coniugi e con i figli, nonché l’eventuale sospensione dell’efficacia in caso di separazione o il definitivo scioglimento a causa di morte o divorzio.
Più in particolare, la l. 218/1995 sulla riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato disciplina l’istituto negli art. 26-28, relativi anzitutto alla promessa di m., in ragione dell’importanza che la promessa riveste in taluni ordinamenti stranieri, nonché alle condizioni per contrarlo e alla forma. Gli aspetti giurisdizionali sono invece regolati dall’art. 32. La promessa di m. rileva sotto il profilo delle conseguenze risarcitorie dovute alla sua violazione. L’art. 26 individua quali criteri di collegamento la legge nazionale comune dei nubendi e, in via sussidiaria, la lex fori. La capacità matrimoniale, intesa sia come capacità giuridica sia come capacità di agire, e le altre condizioni per contrarre m., quali età, autorizzazioni necessarie, impedimenti, vizi della volontà, sono sottoposte alla legge nazionale di ciascuno dei nubendi al momento del m. e rispetto a essi opera il limite dell’ordine pubblico.
Gli aspetti relativi alla forma comprendono: il modo in cui viene manifestata la volontà di contrarre m., l’autorità pubblica competente a celebrarlo, le formalità procedurali e la formazione dell’atto pubblico. Alla forma si riferiscono i criteri di collegamento alternativi della legge applicabile per determinare la validità del m.: la legge del luogo di celebrazione, o la legge dello Stato di cui almeno uno dei coniugi sia cittadino al momento della celebrazione o, ancora, la legge dello Stato di comune residenza dei coniugi in tale momento.
I delitti contro il m. sono contemplati nel capo primo del titolo XI (delitti contro la famiglia) del codice penale. In questo gruppo figura per primo il delitto di bigamia che la dottrina distingue in propria (art. 556 c.p.) e impropria (557 c.p.): commette la prima colui che essendo legato da m. avente effetti civili, contrae un nuovo m.; la seconda è commessa, invece, da colui che, libero da vincolo coniugale, contrae m. con una persona legata da m. avente effetti civili. Obiettivo comune a entrambe le norme è la tutela del principio di monogamia. Il delitto si consuma nel momento e nel luogo di celebrazione del secondo m.; se il secondo m. è religioso, l’illecito si consuma nel momento e nel luogo in cui esso viene trascritto nei registri dello stato civile, perché è con la trascrizione che esso acquista effetti civili.
Altra figura di delitto, introdotta dal legislatore del 1930, è l’induzione al m. mediante inganno che consiste nel contrarre m. avente effetti civili occultando all’altro coniuge, con mezzi fraudolenti, l’esistenza di un impedimento che non sia quello derivante da un precedente m. (art. 558). Il fatto è punibile a condizione che il m. stesso venga annullato a causa dell’impedimento occultato. Il delitto si consuma nel momento e nel luogo in cui viene contratto il matrimonio. Elemento psicologico comune ai delitti di cui sopra è il dolo generico.
Il vigente codice prevedeva anche i delitti di adulterio (art. 559, 561) e di concubinato (art. 560) che non avevano subito notevoli modificazioni rispetto alla disciplina del codice Zanardelli; era però prevista, inoltre, l’ipotesi della «relazione adulterina» (art. 559, co. 3, c.p.), che costituiva una forma aggravata di adulterio. In seguito a pronuncia della Corte costituzionale, sia il concubinato sia l’adulterio non costituiscono più reato, ma solo illecito civile, che può esser fatto valere dal coniuge offeso quale causa di separazione.
L’istituto del m. si inserisce all’interno di un panorama assai complesso di rapporti familiari, in cui il divorzio, l’aborto, il riconoscimento delle coppie di fatto, il m. tra partner dello stesso sesso, nonché la possibilità di concepire un figlio con inseminazione artificiale e in vitro, hanno posto l’esigenza di riflettere sul concetto di ‘famiglia’ in termini non più univoci. Inoltre, malgrado il processo di uniformazione del diritto attualmente in corso, il m. si inserisce in una realtà di istituti familiari e ‘parafamiliari’ assai composita, che presenta ancora discipline diversificate nei singoli Stati. Ciò è dovuto alla stretta connessione di tale istituto con la religione, le tradizioni civili e la storia delle varie popolazioni.
Forme di matrimonio. - Attualmente si possono riconoscere tre forme principali di m.: la prima, ispirata a una concezione laica, pur non precludendo la cerimonia religiosa, prevede per il m. la sola forma civile; la seconda, di contro, ammette il m. solo in forma religiosa; la terza consente di ricorrere alternativamente a entrambe.
La prima forma si riscontra nei paesi che seguono la tradizione giuridica occidentale, anche se al loro interno la celebrazione risulta avere discipline differenti. In Francia, Olanda, Svizzera, Austria e Germania, per es., la cerimonia è pubblica e si tiene davanti a un ufficiale di stato civile, alla presenza di due testimoni. A questa gli sposi possono poi aggiungere un ulteriore rito religioso, che da solo non ha però forza giuridica. Il diritto matrimoniale dell’Europa continentale trova, infatti, una matrice storica comune nell’elaborazione dell’istituto da parte dei canonisti, sulla base del diritto romano. I requisiti essenziali del m. rimangono gli stessi del diritto romano classico, ovvero: raggiungimento da parte dei nubendi di un’età minima prestabilita, assenza di parentela entro un certo grado, libero consenso al m. (unito a quello dei genitori o del tutore qualora il nubendo non abbia raggiunto la maggiore età). La principale differenza tra il diritto romano classico e quello contemporaneo è stata introdotta nel Medioevo, per opera dei canonisti, e consiste nell’ulteriore requisito della celebrazione formale della cerimonia (per il diritto romano era sufficiente il semplice consenso delle parti).
In seguito al Concilio di Trento (1563), per i cattolici è subentrato l’obbligo della celebrazione della cerimonia davanti a un ministro del culto e due testimoni (a tale forma solenne l’Inghilterra si è adeguata solo nel 1753, mentre la Scozia ha mantenuto sino al 1940 la validità del m. basato sull’informale manifestazione della volontà). I paesi di common law inglese prevedono che la cerimonia di m. possa avvenire in forma sia religiosa sia laica, ovvero dinanzi a un funzionario dello Stato.
Di diversa impostazione è invece il m. nei paesi musulmani; nel codice civile marocchino, o nel codice dello statuto personale tunisino, per es., viene riconosciuta la sola cerimonia religiosa, senza l’intervento di autorità pubbliche, e la materia è disciplinata dal Corano.
Norme disciplinanti. - La scelta di riconoscere il m. civile piuttosto che quello religioso (o viceversa) da parte di un ordinamento giuridico comporta inoltre, al di là della forma della cerimonia, che la disciplina sostanziale dell’istituto segua le norme civilistiche disciplinanti la capacità e gli impedimenti, oppure si affidi invece alle regole religiose, o, in taluni casi, sottragga a queste ultime le norme in materia di capacità e impedimenti, lasciando la competenza religiosa esclusivamente in materia di celebrazione. In particolare, tutti i paesi di common law, pur riconoscendo la libertà individuale di scegliere tra forma civile o religiosa, sono caratterizzati dalla competenza esclusiva della legge civile in materia di matrimonio.
Così, nonostante la persistenza di antiche consuetudini, i limiti minimi di età per contrarre m., pur variando da paese a paese, soddisfano in generale il requisito del raggiungimento di una sufficiente maturità psicofisica. Infatti anche alcune codificazioni moderne di paesi musulmani, pur seguendo la legge religiosa, nello specificare l’età minima prescritta, si discostano dal diritto islamico arcaico, il quale si limita a chiedere che i nubendi abbiano raggiunto la pubertà. A volte il limite di età prescritto è differente per l’uomo e la donna: in Francia, Belgio e Marocco, per es., sono richiesti 18 anni per l’uomo e 15 per la donna; nei Paesi Bassi, in Brasile, Giappone e Australia 18 anni per l’uomo e 16 per la donna. In altri casi, invece, è stato fissato un limite unico per l’uomo e la donna: 16 anni in Inghilterra, 18 anni in Germania, Colombia e Danimarca. In quasi tutti gli ordinamenti è peraltro prevista la possibilità di contrarre m. al di sotto dei limiti di età, per mezzo di una dispensa dell’autorità competente.
In quasi tutte le legislazioni un’ulteriore limite è rappresentato dalla parentela, in linea retta e in linea collaterale – di solito fino al terzo grado, ma alcuni paesi, come la Cina e la Romania, si arriva fino al quinto – e dall’affinità. Anche l’infermità mentale costituisce in numerosi ordinamenti un impedimento al matrimonio. In questi casi, per es. in Francia, è prevista la possibilità di contrarre m. solo dietro autorizzazione specifica dei genitori, del consiglio di famiglia o dell’autorità tutelare.
Un ulteriore limite al m. è dato, nei paesi a regime monogamico, dalla libertà di status. Laddove, invece, è ammessa la poligamia – in alcuni paesi dell’Africa subsahariana e dell’Estremo Oriente, prevalentemente in base al principio coranico della superiorità dell’uomo sulla donna – l’uomo può avere fino a 4 mogli, purché sia in grado di mantenerle.
Superiorità e parità. - Il principio di superiorità del marito rispetto alla moglie è peraltro riscontrabile anche nell’esperienza dell’Europa continentale, dove fino alla metà del 20° sec. tra gli effetti civili del m. vi era anche quello di assoggettare sostanzialmente la moglie al marito, il quale diveniva altresì responsabile del suo mantenimento e di quello dei figli. Tale impostazione era peraltro sancita anche nei codici civili francese e tedesco, come pure nel common law inglese, dove l’effetto del m. era quello di rendere i coniugi «un’unica persona» e unico il patrimonio, amministrato dal marito. La situazione si è gradualmente modificata con l’affermazione della ‘Europa dei diritti fondamentali’ e l’introduzione da parte dei singoli Stati di norme volte sempre più alla parificazione dei ruoli dei coniugi. L’innovazione si è realizzata in Germania principalmente attraverso la «legge sulla parità dei diritti fra uomo e donna» del 1957, in Francia con la legge del 13 luglio 1965. Oltre ad abolire le situazioni di formale soggezione della moglie nei confronti del marito, tali interventi normativi anche introdotto il principio della «comunione legale» sul patrimonio acquisito in costanza di m., applicabile in tutti quei casi in cui i coniugi non si siano accordati in maniera diversa.
Cessazione del matrimonio. - Le norme regolatrici dei rapporti patrimoniali tra coniugi rivestono una grande importanza in caso di scioglimento del matrimonio. In linea generale, si può infatti osservare come il modello tradizionale di famiglia, quello della cosiddetta western tradition, ossia la famiglia fondata sul m. e sulla convivenza dei coniugi fino alla morte e dei figli fino al loro inserimento nel mondo del lavoro, sia essenzialmente tramontato, mentre lo scioglimento del m. a mezzo del divorzio risulti statisticamente più frequente di quello mortis causa. L’istituto del divorzio, ormai introdotto in tutta Europa, rimanda alla nozione romana del m. basato sul consenso, e dunque dissolubile con il venir meno della volontà dei coniugi; esso è stato introdotto in Inghilterra con il Divorce reform act del 1969 (ora affiancato dal Matrimonial causes act del 1973), in Francia con la legge del 1975 e in Germania con la legge del 1976. Tra le cause di scioglimento del m., in molti paesi poligamici di matrice islamica persiste ancora l’istituto del ripudio della moglie da parte del marito.
Il m. canonico è inteso come patto con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e all’educazione della prole, elevato da Cristo alla dignità di sacramento (➔). Tra i battezzati non può sussistere un valido contratto di m. che non sia per ciò stesso sacramento. Dall’inseparabilità del contratto di sacramento deriva la competenza della Chiesa nella regolamentazione dell’istituto, la sua idoneità a stabilire gli impedimenti al m. canonico e a trattare dei giudizi di nullità, mentre l’autorità civile è competente a disciplinare gli effetti meramente civili del m. canonico. Questo consta di 4 elementi: i ministri (gli sposi); la volontà di contrarre matrimonio, manifestata con il consenso; la materia, che consiste nella mutua donazione dei coniugi in funzione della costituzione tra loro della comunità di tutta la vita; e la forma, cioè la parole usate per celebrare il m. canonico. Il consenso in particolare può essere viziato o mancare del tutto quando la manifestazione dello stesso sia espressa da un soggetto incapace di intendere e di volere, quando sia stato estorto mediante violenza fisica o sussista errore ostativo (si intendeva dire no e si è detto sì), se vi è discordanza tra volontà e vizio del consenso (riserva mentale, simulazione, rappresentazioni teatrali ecc.). Il sacerdote che assiste i coniugi funge solo da teste qualificato, così come il diacono, la cui presenza è richiesta solo ad validitatem, onde facilitare la prova della celebrazione. Il m. canonico consta, inoltre, di alcune proprietà essenziali, tra cui: l’unità, che esclude ogni forma di poligamia e di poliandria, e l’indissolubilità, che esclude il divorzio.
Nell’Egitto antico sembra che il m. fosse di regola monogamico, eccezion fatta per il re e, forse, per gli strati più alti della società. In Mesopotamia, secondo il codice di Hammurabi, la validità del m. era subordinata a un contratto scritto; il marito comprava la moglie che, se rimaneva vedova, disponeva liberamente della propria dote; alla fedeltà coniugale era obbligata soltanto la moglie; il marito, pur potendo avere concubine, non poteva prendersi una seconda moglie, salvo il caso di sterilità della prima. Il divorzio avveniva per ripudio da parte del marito e per maltrattamenti da parte della moglie.
Nell’India vedica il m. era, di regola, monogamico e indissolubile, contratto per libera scelta dagli interessati, previo pagamento di un prezzo da parte del marito, mentre la moglie portava una dote. La donna partecipava ai riti religiosi a fianco del consorte ma non alla vita pubblica. In tempi postvedici prevalsero i m. tra bambini, combinati dai genitori; la sposa rimaneva nella casa paterna fino alla pubertà; vigeva il divieto di sposare un individuo di casta inferiore e, fino al 1829, il costume che le vedove salissero sul rogo accanto alla salma del marito. Nella Persia avestica il m. era consensuale, monogamico e costituiva un dovere religioso.
Nell’antica Cina il m. era pattuito dalle famiglie e poteva avvenire anche in età infantile; era monogamico ma il concubinato, così come il divorzio, era consentito al marito. Non molto dissimili erano le forme del m. nell’antico Giappone.
Presso gli antichi Ebrei, nella concezione biblica il m. aveva notevole importanza, come base della famiglia e premessa della conservazione del popolo. Primo atto di esso era il versamento di un prezzo d’acquisto (con doni alla fanciulla) da parte del futuro sposo al padre della futura sposa. La famiglia di lei provvedeva una dote. Il m. avveniva con feste e cerimonie solenni. Dopo il m. la sposa generalmente entrava nella famiglia del marito. La poligamia era consentita e abitualmente in uso, l’adulterio era severamente punito e il marito poteva ripudiare la moglie. Il diritto e le consuetudini matrimoniali ebraiche hanno subito profonde modifiche nel tempo, fino all’abolizione della poligamia e alla trasformazione del ripudio in divorzio.
Le forme più antiche di m., per ratto e per compera della sposa, erano già attenuate notevolmente nell’età omerica: il ratto, accordato tra lo sposo e il padre della sposa, sussisteva solo a Sparta e la compera cominciò a cedere il passo dinanzi alla promessa solenne che il padre della futura sposa faceva al richiedente. Scopo del m. era esplicitamente la procreazione di figli legittimi. Malgrado la posizione nettamente inferiore della donna, esclusa dalla vita pubblica, soltanto lo stato matrimoniale era considerato «perfetto». In Atene (5°-4° sec. a.C.) condizioni necessarie al m. erano, infatti, oltre allo status di cittadini degli sposi, la promessa del padre e la coabitazione degli sposi. Il m. si spezzava o per morte di uno dei coniugi o per ripudio (da parte dello sposo), o abbandono della casa (da parte della sposa), o per intervento del padre della sposa o del parente che avrebbe avuto diritto a sposarla, o infine per adulterio (solo della donna) o provato stato di non cittadinanza di essa. I m. tra consanguinei erano riprovati e si tollerava solo quello tra fratellastri e tra suocera e genero. Ai non cittadini era concesso il m. solo nel caso che all’aspirante sposo fosse stato concesso tale privilegio dalla città della sposa (epigamia). L’uomo era in genere assai più libero della donna nel m. e poteva avere concubine, purché non le conducesse in casa.
Le nozze, presso i Greci, si celebravano in giorni fausti, per lo più nei mesi invernali. Nell’età omerica erano celebrate con un sontuoso banchetto nella casa dello sposo, alla quale con un gioioso corteo veniva condotta la sposa. Ad Atene, dopo i riti preparatori, il padre della sposa offriva un festino, al termine del quale essa era condotta in corteo alla casa del marito. Tra gli usi più caratteristici era la focaccia di sesamo, simbolo di fecondità e, in Atene, l’offerta di una mela cotogna alla sposa quando essa giungeva nella casa maritale.
Nell’antica Roma il m. era il rapporto di convivenza dell’uomo e della donna con l’intenzione di essere marito e moglie. I due requisiti del m. romano erano il consenso (duraturo e continuo) e la convivenza effettiva dei coniugi. Nell’antico diritto romano il m. importava l’assoggettamento della donna alla potestà (manus) del marito o, se questo era filiusfamilias, del paterfamilias nelle forme o della confarreatio o della coemptio o, in mancanza di queste forme, mediante l’usus (➔ famiglia). Requisito perché il m. fosse legittimo era la capacità civile o ius connubii: e lo avevano solo i cittadini romani tra loro. Durante l’Impero fu vietato il m. di persone di rango senatorio con attrici e libertine, o quello del tutore con la pupilla; non potevano contrarre m. gli impuberi e, nel diritto giustinianeo, gli evirati. Era richiesto infine il consenso del paterfamilias, essenziale in origine, poi ridotto a un assentimento passivo.
Il m. si intendeva realizzato con la deductio in domum della donna che dava inizio alla convivenza; una volta iniziata questa, il rapporto perdurava anche se di fatto i coniugi abitavano separati. Nell’età cristiana e quindi nella legislazione giustinianea, questa fisionomia tipica del m. romano appare alterata: Giustiniano è incline ad ammettere l’esistenza del rapporto indipendentemente dalla convivenza comune; in compenso si afferma l’importanza delle forme, essenziali per la sua validità. Nel diritto bizantino, in omaggio al precetto della Chiesa orientale che considerava peccato la celebrazione delle nozze senza la benedizione, per l’esistenza del matrimonio fu resa indispensabile la benedizione religiosa.
Mentre nella Gallia i Celti davano alla donna una posizione di favore anche nella vita pubblica, nelle isole britanniche la degradavano a comune proprietà dei maschi di una famiglia. Nel mondo germanico il m. era un istituto in cui il maggiore interessato non era tanto il marito, quanto il capo della famiglia di lui. In epoca storica constava di due negozi: la promessa bilaterale stretta fra il titolare del mund sulla donna e lo sposo, in cui il primo si impegnava a consegnare e il secondo si impegnava a ricevere; la consegna della donna stessa.
La concezione germanica del m. non rimase a lungo intatta; inserita nel mondo italico, non poté non risentire l’influenza della tradizione latina e, soprattutto, della Chiesa, che già nella fase classica della patristica aveva fissato i criteri fondamentali di una propria concezione dell’istituto. Questi si raccolgono, sostanzialmente, nella dottrina agostiniana del triplex bonum: la fides, consistente nella reciproca fedeltà dei due coniugi, il sacramentum, che è l’indissolubilità del rapporto, la proles (che però può mancare), dottrina che restò quasi immutata fino all’11° secolo. Questa concezione spiritualizzata del m., nella quale si era inserito il concetto paolino dell’indissolubilità del vincolo come simbolo dell’unione di Cristo con la Chiesa, non poteva lasciare indifferente la società longobarda, soprattutto dopo la conversione al cattolicesimo. L’influenza della Chiesa si sentì nel progressivo ridursi della compera della donna a compera del mundio, con carattere sempre più simbolico, mentre, per mezzo della subarrhatio cum anulo (consegna dell’anello dallo sposo alla sposa, che dichiarava di accettarlo), la volontà della donna comincia ad acquistare rilievo.
A partire dal 12° sec. la storia del m. è opera della Chiesa, che, riconoscendogli definitivamente la dignità di sacramento, ne avocò a sé la regolamentazione. La concezione canonistica del m. non fu, peraltro, né semplice, né pacifica. Particolarmente controverso fu l’elemento della sacramentalità, che la tradizione patristica non aveva mai definito. Ma ancora più controversa fu la questione del momento in cui il m. si perfeziona; una diversità di vedute si manifestò fra dottrina italiana e dottrina francese: la prima sostanzialmente riteneva che il m. commixtione perficitur, mentre la seconda riteneva perfetto il m. che fosse benedetto dal sacerdote, col solo consenso degli sposi.
I principi generali del m. cattolico furono fissati dal Concilio di Trento, quando venne definita la dottrina generale dei sacramenti (1563): fu stabilita la nullità di tutti i m. che non fossero contratti davanti al parroco (o a un sacerdote da lui delegato) e a due testimoni, con la condanna dei m. clandestini.
Nell’età moderna il potere statale in molti paesi si disinteressò della legislazione matrimoniale e lasciò alla Chiesa l’esclusivo potere di regolarlo. Il m. civile fu introdotto, per la prima volta come facoltativo, nei Paesi Bassi nel 1580; comparve brevemente in Inghilterra sotto O. Cromwell e, nella seconda metà del 17° sec., in qualche colonia dell’America Settentrionale. La Rivoluzione francese sancì il principio che lo stato civile degli uomini dovesse essere indipendente dalle loro opinioni religiose, e che quindi il m. non potesse essere considerato dalla legge dello Stato se non come contratto civile (22 ag. 1791). Il codice di Napoleone regolò il m. al tit. V del libro I: il m. doveva essere celebrato dinanzi all’ufficiale dello Stato civile del domicilio di una delle due parti, previe pubblicazioni alla municipalità. Era ammesso il divorzio per cause determinate o per dissenso reciproco. Fu inoltre vietata la celebrazione del m. religioso senza previo m. civile.
La “partecipazione” all’acquisto del coniuge non acquirente al vaglio delle Sezioni Unite di Arianna Scacchi